Ordinanza n.39 del 1988

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ORDINANZA N.39

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 164 del codice di procedura civile, in riferimento all'art. 435, terzo comma, nuovo testo, del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 15 febbraio 1985 e il 29 ottobre 1986 dalla Corte d'appello di Bari, iscritte rispettivamente al n. 311 del registro ordinanze 1985 e al n. 17 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 220 bis dell'anno 1985 e n. 11, prima Serie speciale, dell'anno 1987.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 novembre 1987 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto che la Corte d'appello di Bari con due ordinanze di analogo contenuto, emesse, la prima, il 15 febbraio 1985 (R.O. n. 311 del 1985) e, la seconda, il 29 ottobre 1986 (R.O. n. 17 del 1987), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione, dell'art. 164 del codice di procedura civile nella parte in cui prevede - secondo la costante interpretazione della Corte di cassazione-che la costituzione dell'appellato non sana la nullità della citazione in appello dovuta all'insufficienza del termine a comparire e comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado;

che a parere del giudice a quo la norma censurata violerebbe gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra la posizione dell'appellante nel processo ordinario e la posizione dell'appellante nel procedimento del lavoro, nel quale ultimo l'insufficienza del termine a comparire non esercita alcuna influenza sulla validità dell'impugnazione che e assicurata dal tempestivo deposito del ricorso; che in entrambi i giudizi e intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione; che i giudizi, concernendo questioni identiche, possono essere riuniti e congiuntamente decisi.

Considerato che il giudice a quo ipotizza una ingiustificata ed arbitraria diseguaglianza tra la situazione dell'appellante nel rito ordinario e la situazione dell'appellante nel procedimento del lavoro, con riguardo all'ipotesi di assegnazione all'appellato di un termine per comparire minore di quello stabilito dalla legge, senza tener conto delle differenze di struttura tra i due riti e, segnatamente, delle diversità riscontrabili nella fase introduttiva dei due tipi di giudizio;

che nel rito ordinario la validità della citazione é elemento essenziale dell'esercizio del potere di impugnazione, per cui si giustifica la conseguenza che la sua nullità non possa essere sanata dalla costituzione dell'appellato successiva alla scadenza del termine utile per la proposizione del gravame e non impedisca perciò il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado;

che nel rito del lavoro, invece, il potere di impugnazione si perfeziona con la costituzione dell'appellante al momento del deposito del ricorso e l'udienza di comparizione non é stabilita dall'appellante, ma dal giudice già investito del gravame ed é perciò soluzione razionale che la violazione del termine previsto dall'art. 435, terzo comma, del codice di procedura civile (nel testo novellato dalla legge n. 533 del 1973) possa essere sanata, anche dopo la scadenza del termine per l'impugnazione, dalla notificazione del ricorso e di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza o dalla costituzione dell'appellato;

che le segnalate differenze tra i riti inducono ad escludere che la norma impugnata violi il principio di eguaglianza ed attui, nel processo ordinario, la compressione delle garanzie previste dall'art. 24 della Costituzione;

che per le suesposte ragioni le questioni in esame risultano manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 164 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Bari con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/01/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 19 Gennaio 1988.