SENTENZA N. 526
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Dott. Francesco SAJA , Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, lett. d, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie), promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1986 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Parma su ricorso proposto dai Communalia di Baselica contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale dell'anno 1987;
Visto l'atto di costituzione dei Communalia di Baselica nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella pubblica udienza del 10 novembre 1987 il Giudice relatore Francesco Saja;
Uditi l'avv. Franco Bassi per i Communalia di Baselica e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Avverso la cartella esattoriale per irpeg ed ilor relativa al 1980 i Communalia di Baselica proponevano ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Parma, affermando di essere esenti da dette imposte ai sensi dell'art. 5 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601.
Il ricorso veniva rigettato, concernendo il cit. art. 5 soltanto "i redditi dei terreni e dei fabbricati appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni ed ai relativi consorzi, destinati ad usi o servizi di pubblico interesse".
Avendo l'ente proposto appello, la Commissione di secondo grado con ordinanza del 4 giugno 1986 (reg. ord. n. 126 del 1987) sollevava, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.P.R. cit., che (lett. d) riduce alla metà l'imposta sui redditi delle persone giuridiche per le "partecipanze ed università agrarie".
Sembrava alla Commissione che l'assoggettamento ad irpeg, sia pure in misura dimezzata, dei redditi dei terreni appartenenti alle dette associazioni e partecipanze, mentre erano esenti quelli degli immobili comunali, desse luogo ad una violazione del principio di eguaglianza. Infatti l'identità della consistenza fisica, della destinazione e delle norme d'uso dei detti immobili rendeva ingiustificato, ad avviso del collegio rimettente, il diverso regime tributario, a seconda che essi appartenessero ai comuni o alle associazioni agrarie.
2. - La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta, riteneva che vero oggetto della questione di legittimità costituzionale fosse l'art. 5 d.P.R. cit. ed osservava che l'esenzione ivi prevista era giustificata dall'"essenzialità" e "indispensabilità" dei beni demaniali e patrimoniali (indisponibili) al soddisfacimento delle necessità dei comuni e degli altri enti territoriali; caratteristiche che non sussistevano per i beni di uso civico.
Nella subordinata ipotesi che oggetto della censura dovesse ritenersi l'art. 6 d.P.R. cit., l'interveniente osservava che esso stabiliva un'agevolazione soltanto soggettiva e che perciò, riguardando il giudizio di provenienza solo la natura e la funzione dei beni assoggettati a tributo, la questione doveva ritenersi inammissibile per irrilevanza.
3. - I Communalia di Baselica, costituitisi, si riportavano sostanzialmente agli argomenti dell'ordinanza di rimessione, anche in una memoria depositata in prossimità dell'udienza.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza in epigrafe la Commissione tributaria di secondo grado di Parma ha denunciato la disposizione dell'art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, relativo alla disciplina delle agevolazioni tributarie. Secondo il giudice a quo tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui - lett. d) - prevede la riduzione alla metà dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche relativamente alle partecipanze e università agrarie, mentre l'art. 5 dello stesso provvedimento escluderebbe dalla tassazione lo Stato, le province, i comuni e i relativi consorzi, enti tutti che non sarebbero differenti da quelli indicati nella ricordata lett. d) dell'art. 6, perché analogamente perseguenti la soddisfazione di interessi pubblici.
2. - La censura é priva di giuridico fondamento.
A parte la considerazione che essa avrebbe dovuto più propriamente essere rivolta non all'art. 6 bensì all'art. 5, criticandosi in realtà con l'ordinanza di rimessione che tale seconda disposizione non comprenda anche le partecipanze e università agrarie, é comunque da rilevare come sia del tutto inesatto il presupposto da cui muove il giudice a quo, in quanto la previsione delle due norme non é quella da lui assiomaticamente ritenuta.
L'art. 6, che dispone la riduzione del tributo, concerne l'imposta sul reddito delle persone giuridiche considerata nella sua unitarietà, anziché nelle sue componenti, ed é quindi riferita al reddito complessivo del soggetto tassato. Per contro l'art. 5 prevede bensì l'esenzione totale, ma limitatamente ad una sola di dette componenti e cioè ai redditi di alcuni immobili aventi determinate caratteristiche, mentre per il residuo reddito anche gli enti indicati nella disposizione ora richiamata soggiacciono alla medesima disciplina delle partecipazione ed università agrarie (art. 6, n. 1).
Risulta conseguentemente di tutta evidenza come il giudice a quo, chiamato a stabilire la legittimità dell'accertamento dell'intero reddito del contribuente, non potesse fare riferimento a una norma, il citato art. 5, che concerne una situazione profondamente eterogenea e quindi non assimilabile a quella sottopostagli.
Sebbene la superiore osservazione sia decisiva ed assorbente, può peraltro aggiungersi che l'esenzione ex art. 5, come già accennato, non riguarda tutti gli immobili appartenenti agli enti territoriali, ma esclusivamente i beni demaniali e quelli patrimoniali indisponibili: ossia quei beni pubblici che sono destinati ai medesimi enti per l'immediata soddisfazione, secondo la disciplina dettata dall'ordinamento, dei bisogni socialmente rilevanti delle comunità da essi istituzionalmente rappresentate. Il che é correlato al fatto che trattasi di enti a fini generali (intendendo, naturalmente, tale definizione con la necessaria, intuitiva relatività, per quanto concerne le regioni) rispetto ai quali quei beni rappresentano il mezzo necessario per la soddisfazione degli interessi collettivi ad essi affidati.
In ciò appunto sta la ratio dell'esonero tributario stabilito dal cit. art. 5, ossia nello stretto collegamento tra qualità dell'ente istituzionalmente preposto alla soddisfazione degli interessi propri di intere comunità e la destinazione di quei beni all'immediata soddisfazione degli interessi medesimi, sicché il legislatore ha ritenuto opportuno, limitatamente a tali beni, escludere l'imposizione del tributo. La detta ratio non ricorre chiaramente rispetto agli altri soggetti pubblici, così come non ricorre neppure, per gli stessi enti territoriali indicati nell'art. 5, relativamente ai redditi provenienti da beni disponibili, redditi che godono soltanto della riduzione alla metà dell'imposta, secondo la previsione del successivo art. 6, lett. a.
Deve quindi concludersi che la censura non può essere condivisa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, lettera d), d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. dalla Commissione tributaria di secondo grado di Parma con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1987.
Il Presidente: SAJA
Il Redattore: SAJA
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI