Sentenza n.522 del 1987

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SENTENZA N. 522

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, 7 e 8 del d.l. 12 settembre 1983, n. 462 (Modificazioni degli art.li 10 e 14 del decreto legge 25 gennaio 1982, n. 94, in materia di sfratti, nonché disposizioni procedurali per l'edilizia agevolata), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 (Conversione, con modificazioni, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 462, concernente modifiche agli art.li 10 e 14 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1982, n. 94 in materia di sfratti, nonché disposizioni procedurali per l'edilizia pubblica), promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1986 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Montagna Tarcisio, iscritta al n. 637 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 28 ottobre 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo;

Ritenuto in fatto

1. - La Corte di Cassazione - Sez. III penale, con ordinanza 13 giugno 1986 sollevava questione di legittimità costituzionale degli art.li 5,7 ed 8 d.l. 12 ottobre 1983 n. 463, convertito con modifiche nella l. 11 novembre 1983 n. 638, con riferimento agli art.li 3 e 25 Cost.

La questione traeva origine dal ricorso di un imprenditore, che era stato condannato nei due gradi di merito per il delitto previsto nell'art. 2 del d.l. citato, avendo omesso di versare all'INPS le ritenute previdenziali relative ai mesi di febbraio, marzo ed aprile 1983: ritenute ammontanti ad importo superiore a quello all'imprenditore anticipato per conto della gestione previdenziale.

Il ricorrente aveva eccepito che i fatti a lui addebitati risalivano ad un periodo in cui erano penalmente irrilevanti, e si erano compiuti prima che la norma incriminatrice fosse emanata. Né gli sarebbe stato, comunque, possibile approfittare dell'estinzione del reato, prevista dall'art. 5 per coloro che avessero effettuato i versamenti omessi entro sei mesi dalla data per essi stabilita, perché, almeno per la scadenza relativa al mese di febbraio 1983, il termine utile veniva a maturarsi prima che la norma che lo prevede fosse emanata.

Da ciò, la violazione dell'art.25 Cost., se si fosse ritenuto che la nuova disciplina avesse inteso di elevare ad oggetto della qualificazione penalistica anche fatti antecedenti all'entrata in vigore della nuova normativa: e, comunque, la violazione del principio di uguaglianza per la disparità di trattamento nei confronti di coloro che avevano omesso i versamenti dal gennaio 1983 in poi, perché venivano ingiustificatamente esclusi da un beneficio concesso a tutti gli altri, che i versamenti avevano omessi in epoca precedente.

La Cassazione, modificando una precedente più favorevole giurisprudenza, aveva condiviso tali doglianze, attribuendo all'art. 5 della legge l'intento di dare rilevanza penale anche a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. Sollevava, perciò, la questione con riferimento ad ambo i parametri indicati, pur osservando che quella relativa all'art. 25 Cost. doveva ritenersi assorbente.

2. - Interveniva nel giudizio davanti alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiedeva che la questione venisse dichiarata non fondata.

Secondo l'Avvocatura, non sussisterebbe violazione dell'art. 25 Cost. perché la legge consente ai trasgressori di adeguarsi entro un termine ragionevole al dettato della nuova disciplina: né il termine semestrale, previsto per la regolarizzazione, pregiudicherebbe o discriminerebbe coloro che hanno omesso il versamento dal 1ø gennaio 1983 in poi.

Considerato in diritto

1. - Va innanzitutto meglio precisato l'oggetto della censura. Non si tratta, infatti, dell'art.5 del decreto, ma del comma 5 dello stesso art.2, che al comma 1 delinea la fattispecie delittuosa, e al comma 5 appunto detta le condizioni per quella regolarizzazione delle violazioni precedenti al 1ø gennaio 1983 che comporta l'estinzione del reato.

Altrettanto dicasi per i definiti art.li 7 ed 8 che sono in realtà altrettanti commi dell'art.2.

2. - Deve riconoscersi che, in prima lettura, l'interpretazione che l'ordinanza assume del comma 5 sembra corretta, e che conseguentemente esatta appare la doglianza d'illegittimità in riferimento all'art. 25 Cost. Se, infatti, la regolarizzazione delle posizioni debitorie relative ai periodi di paga antecedenti al 1ø febbraio 1983, sia pure limitatamente a coloro che risultavano in regola per i periodi successivi, e purché eseguita entro il 30 novembre 1983, determinava l'estinzione del reato, ciò non poteva avere altro significato se non che il legislatore considerava penalmente rilevanti anche le omissioni antecedenti all'entrata in vigore della nuova disciplina: il che non poteva ritenersi compatibile col principio d'irretroattività della legge penale.

Né ha pregio il rilievo, fatto proprio dall'Avvocatura Generale, secondo cui si tratterebbe di un reato permanente, a struttura analoga ad altre configurazioni criminose, come quella concernente la costituzione di capitali all'estero, o la detenzione di armi ed altre.

Non ha pregio perché innanzitutto - come esattamente rileva nell'ordinanza la Corte di Cassazione - ammessa la natura permanente del reato, la permanenza comunque non può avere inizio se non dal momento in cui entra in vigore la legge che eleva il fatto ad oggetto della qualificazione penalistica: le eventuali violazioni precedenti resterebbero, comunque, penalmente irrilevanti à sensi del primo comma dell'art. 2 cod. pen., costituzionalizzato dall'art. 25 Cost.

Quanto poi all'analoga struttura di altre configurazioni, come quelle citate, va detto che in realtà non sussiste alcuna analogia di queste ultime con il disposto di cui al comma 5 dell'art. 2 in parola.

Le norme concernenti le infrazioni valutarie - ad esempio - incriminano il fatto di chi non fa rientrare entro un certo termine i capitali costituiti all'estero (cfr. comma 5, ult. inciso, dell'art. 2 della l. 30 aprile 1976 n. 159, così come sostituito dall'art. 3 l. 26 settembre 1986 n. 599) o i natanti battenti bandiera estera etc. Ma la rilevanza penale inizia da quel momento e non coinvolge i fatti precedenti che restano puniti con sanzioni amministrative. Quanto, poi, alle disposizioni sulle armi da guerra, queste effettivamente prevedevano un termine entro il quale, se consegnate, si sarebbero evitate le conseguenze sanzionatorie penali per la precedente abusiva detenzione, ma ciò perché anche quella precedente situazione era penalmente rilevante.

Nel caso del comma 5 impugnato, invece, le precedenti omissioni costituivano - secondo l'assunto dell'ordinanza - mere inadempienze amministrative, che la nuova legge, però, mostrava di voler considerare reato proprio con il prevederne l'estinzione a seguito della regolarizzazione.

Tanto meno, poi, può essere accolto l'altro assunto dell'Avvocatura Generale, secondo cui "il riconoscimento della rilevanza penale delle situazioni anteriori all'entrata in vigore della norma incriminatrice non vulnera il principio dell'art. 25 Cost. se la legge, come in effetti é avvenuto, mette in grado i soggetti che hanno tenuto la condotta trasgressiva di adeguarsi entro termini ragionevoli al dettato della norma innovatrice".

A parte che nessuna consentita regolarizzazione amministrativa potrebbe mai sanare l'illegittimità costituzionale di una norma, sta di fatto che la possibilità di "adeguamento", prevista dal comma 5 in parola, presuppone una situazione penalmente rilevante che é effetto proprio della denunziata illegittimità della norma.

3. - Per siffatta via, dunque, non é possibile rendere compatibile il comma impugnato con il principio di cui all'art. 25 Cost.

Occorre domandarsi, tuttavia, se non esista una lettura compatibile attraverso un più attento esame della normativa precedente.

In realtà, non sempre e non tutte le omissioni concernenti i versamenti delle contribuzioni previdenziali e assistenziali erano in precedenza penalmente irrilevanti. Infatti, la l. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) prevedeva all'art. 37 che l'omesso versamento di contributi e premi, previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, per un importo mensile non inferiore a cinque milioni, quando fosse conseguenza di omesse o infedeli registrazioni era punito con la reclusione fino a due anni. Questa legge non distingueva fra l'obbligo contributivo per la quota gravante sul datore di lavoro a titolo proprio e quello concernente la quota dovuta per conto dei lavoratori. La legge attuale, invece, mentre al comma 2 dell'art. 2 depenalizza in ogni caso l'omesso versamento di contributi e premi dovuti dal datore di lavoro a titolo proprio, conserva ed allarga l'incriminazione per l'omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, eliminando il limite dei cinque milioni mensili e prescindendo dal collegamento dell'omesso versamento con omissioni o infedeltà nelle registrazioni. La ratio di questa distinzione é piuttosto trasparente: il maggior disvalore dell'omesso versamento di quanto l'imprenditore trattiene prelevandolo da salari e stipendi dei dipendenti.

La dottrina, però, ha mosso qualche obbiezione alla possibilità di collegare l'estinzione del reato di cui parla il comma 5 in parola con la fattispecie delineata nell'art. 37 della l. n. 689 del 1981. Si é detto, infatti, che il delitto ivi previsto si sostanzierebbe più nella falsa ed omessa registrazione contributiva che nella pura e semplice evasione, in guisa che il versamento dei contributi non potrebbe svolgere alcun effetto regolarizzatore sulla parte falsa o reticente della registrazione.

Ma l'obiezione dimostra troppo. Se l'assunto, infatti, fosse esatto, si potrebbe altresì dubitare che la depenalizzazione di cui al comma 2 riguardi esclusivamente gli omessi versamenti non collegati ad alterate denunzie e non eccedenti i 5 milioni mensili. Comunque, anche da ciò prescindendo, la tesi riportata potrebbe avere qualche fondamento solo considerando l'omissione del versamento come condizione di punibilità di quella fattispecie, e perciò ritenendo che il reato delineato dalla norma sia già perfetto con l'alterazione delle registrazioni, restandone sospesa solo l'applicazione della pena che resterebbe subordinata al verificarsi dell'evento omissione dei versamenti. Ma la condizione di punibilità, così intesa, é un avvenimento futuro ed incerto assolutamente estrinseco al fatto di reato, e perciò al di fuori di ogni relazione causale con la condotta descritta. Persino chi ritiene (ma si tratta di posizioni minoritarie) che la condizione possa anche essere determinata dall'azione di fattispecie, precisa tuttavia che essa, comunque, "non ne costituisce il risultato necessario, non é la tipicizzazione finale dell'azione". Proprio tutto il contrario di quanto si verifica nell'art. 37 della citata legge, dove l'alterazione della registrazione é predisposta allo scopo di rendere più agevole l'omissione del versamento e più difficile l'accertamento dell'illecito. Tanto che il legislatore avrebbe potuto benissimo costruire la fattispecie finalizzando la condotta e punendola di per se stessa, salvo ad assegnare poi all'omesso versamento la funzione di aggravamento dell'evento; oppure attribuendo alle alterate registrazioni ruolo di modalità dell'azione. Ma, nell'uno come nell'altro caso, avrebbe reso comunque punibile la condotta (nella seconda ipotesi a titolo di tentativo) anche se l'evento omissione di versamento non si fosse in concreto verificato. Poiché, invece, da una parte, ciò che in definitiva il legislatore intendeva punire così gravemente era proprio l'omissione dei versamenti, sia pure quando avessero trovato supporto nel falso, a causa del maggiore disvalore che il fatto veniva ad assumere, ma, dall'altra, allora come ora, intendeva soprattutto favorire in ogni modo l'afflusso di denaro alle casse esauste dell'INPS, ha dato alla fattispecie una struttura tale da consentire la completa immunità, dalla pena comminata dal comma in parola all'imprenditore che, dopo avere predisposto le infedeli registrazioni, provvedesse tuttavia a versare il dovuto. Ma sul piano dommatico quell'avvenimento é tutt'altro che estrinseco al fatto di reato, ché in realtà é proprio invece il necessario risultato della condotta, la sua finale tipicizzazione, dato che a questo e a null'altro tendevano le infedeli registrazioni.

Allora, non può stupire se, dettando la nuova disciplina che più direttamente mira al risanamento della grave situazione finanziaria dell'INPS, il legislatore abbia indicato proprio nel versamento dei contributi quella regolarizzazione che estingue anche il reato inerente a talune pregresse situazioni debitorie, quali quelle di cui si é parlato. In altri termini, la regolarizzazione di posizioni debitorie, relative a periodi di paga precedenti al 1ø febbraio 1983, estingue il reato là dove ovviamente reato si sia in precedenza verificato.

4. - Così interpretato il comma 5 impugnato, non é più necessario affrontare anche il quesito concernente la sua compatibilità nei confronti dell'art. 3 Cost., come rilevava, del resto, la stessa ordinanza di rimessione.

Salvo che non ricorrano, nelle violazioni precedenti al 1ø febbraio 1983, ipotesi corrispondenti alla fattispecie di cui all'art. 37 della l. n. 689 del 1981, della quale non però, si ritrova nell'ordinanza alcun cenno.

Nemmeno é necessario motivare in ordine agli artt. 7 e 8 della legge (i quali pure - come si é detto - vanno rettificati nei corrispondenti commi dell'art. 2), giacché questi commi sono stati impugnati soltanto per sollecitare l'estensione ad essi di eventuale declaratoria d'illegittimità, in quanto "ripetono" - scrive l'ordinanza - la norma di cui al comma 5.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 7 ed 8 (rectius dei commi 5, 7 ed 8 dell'art. 2) del d.l. 12 settembre 1973 n. 463, convertito con modifiche nella legge 11 novembre 1983 n. 638, sollevata dalla Corte di Cassazione con ordinanza 13 giugno 1986 (reg.ord. n. 637/1986) con riferimento agli art.li 3 e 25 Cost.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI