Sentenza n.519 del 1987

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SENTENZA N. 519

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 579, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1982 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Bari nei confronti di Laudati Pasquale, iscritta al n. 734 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 dell'anno 1983;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio dell'11 novembre 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso;

Ritenuto in fatto

La Corte di cassazione, chiamata a decidere sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Bari in ordine alla scelta della decisione da eseguire nei confronti di Laudati Pasquale, avendo il Pretore di Bari ed il Pretore di Prato emesso contro di lui per lo stesso fatto sentenza di condanna passata in giudicato, ha, con ordinanza del 22 marzo 1982, denunciato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'art. 579 del codice di procedura penale, "nella parte in cui esclude la notifica del ricorso del P.M. all''interessato".

Rilevato che soggetto interessato alla tutela apprestata dalla norma sottoposta a censura é colui che nei processi di cognizione ha rivestito la qualità di imputato, il giudice a quo osserva come non possa negarsi il concreto ed attuale interesse di tale soggetto ad avere formale "notizia" dell'instaurazione dell'iter processuale disciplinato dall'art. 579 del codice di procedura penale, donde la violazione dell'art. 24 della Costituzione, determinata dall'impossibilità di partecipazione alla detta procedura del "soggetto giudicato", "quale portatore dell'interesse a prospettare, dedurre e far quindi valere ogni sua ragione, di qualsivoglia natura, comunque giuridicamente rilevante".

Il fatto che nel giudizio di cassazione non sia prevista la comparizione personale della parte privata e nel giudizio in camera di consiglio nemmeno la comparizione del difensore non assume, ad avviso della Corte di cassazione, alcuna rilevanza. Nella specie, infatti, la partecipazione dell'interessato potrebbe "idoneamente svolgersi attraverso la nomina di un difensore di fiducia", mentre l'esigenza ad essa sottostante non potrebbe essere soddisfatta con l'eventuale nomina di un difensore di ufficio ai sensi degli artt. 532 e 533 del codice di procedura penale, essendo tale nomina subordinata alla condizione che l'interessato non abbia provveduto alla nomina di un difensore di fiducia.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.74 del 16 marzo 1983.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Premesso che l'art. 579 del codice di procedura penale é volto ad eliminare l'"errore di funzionamento" in cui incorre la giustizia penale quando, per il medesimo fatto, la stessa persona sia stata giudicata e condannata più di una volta, e che tutta la procedura é ispirata al principio del favor rei, l'Avvocatura ritiene che l'omessa partecipazione dell'imputato non pregiudichi minimamente il diritto di difesa. Proprio perché la norma impugnata fa obbligo alla corte di cassazione - priva di ogni potere discrezionale al riguardo - di adottare la soluzione più favorevole all'imputato, non sussisterebbe alcun interesse difensivo "pregiudicato dalla mancata notifica del ricorso", né la difesa potrebbe espletare alcuna utile funzione "in ordine alla scelta che la Corte dovrebbe operare".

La difesa, conclude l'Avvocatura, non tende a garantire una partecipazione meramente formalistica, ma mira "ad assicurare - sostanzialisticamente - la tutela dei beni della vita": nella specie, le posizioni sostanziali dell'imputato non sono per nulla minacciate, "onde appaiono carenti" sia "l'interesse sostanziale involto nel procedimento che determinerebbe l'insorgere del diritto di difesa" sia "l'interesse processuale ad interloquire, che ne costituirebbe la misura d'esercizio";

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 579 del codice di procedura penale, "nella parte in cui esclude la notificazione del ricorso del P. M. all'"'interessato", per contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

Più precisamente, a venire in discussione, sotto il profilo dell'"inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento", sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, é la parte centrale del primo comma dell'art. 579 del codice di procedura penale. Tale comma, infatti, dopo aver premesso che "Se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il procuratore generale o il procuratore della Repubblica della circoscrizione a cui appartiene uno dei giudici che pronunciarono le sentenze predette, promuove anche d'ufficio in qualsiasi tempo, con ricorso alla corte di cassazione, la decisione circa la sentenza che deve essere eseguita" e prima di disporre che "La corte in camera di consiglio dichiara con ordinanza doversi eseguire la sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave e annulla le altre", detta testualmente: "Tale ricorso non é notificato all'interessato".

2. - L'ordinanza di rimessione muove dal rilievo che "il principio fondamentale posto dall'art. 24 della Costituzione" comporta "l'esigenza di rendere possibile la partecipazione" del "soggetto giudicato" anche ad "un iter processuale" come quello disciplinato dall'art. 579 del codice di procedura penale, "in ogni caso da ricomprendersi nel lato concetto di "procedimento incidentale", essendo tale soggetto "portatore dell'interesse a prospettare, dedurre e far quindi valere ogni sua ragione, di qualsivoglia natura, comunque giuridicamente rilevante".

Tenuto conto dei limiti formali previsti per i giudizi di cassazione, il giudice a quo ritiene che l'unico strumento idoneo a consentire in qualche modo la partecipazione dell'interessato all'iter in esame sia ravvisabile nella nomina di un difensore di fiducia e, solamente se l'interessato non vi abbia provveduto, nella nomina di un difensore d'ufficio (art. 532, secondo comma, del codice di procedura penale). Ma, poiché la nomina di un difensore di fiducia in tanto é possibile in quanto l'interessato sia messo al corrente dell'avvio del procedimento, risulta innegabile l'esistenza di un suo "concreto ed attuale interesse" ad avere "formale notizia e, quindi, conoscenza dell'instaurazione dell'iter processuale disciplinato dall'art. 579". Lineare la conclusione che se ne trae: il primo comma dell'art. 579, obliterando completamente tale interesse, non sarebbe conforme all'art. 24 della Costituzione.

3. - La questione é fondata.

Le argomentazioni attraverso le quali l'ordinanza di rimessione perviene a denunciare l'illegittimità costituzionale di quella parte dell'art. 579 del codice di procedura penale che esclude la notifica del ricorso del pubblico ministero all'interessato, trovano ampio riscontro nella giurisprudenza di questa Corte. Molteplici sono, invero, le affermazioni di principio e le applicazioni specifiche che vi si rinvengono, sia per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, a procedimenti giurisdizionali diversi da quello di cognizione, come i procedimenti incidentali o complementari (v., nell'ambito penale, sentenze n. 280 del 1985, n. 98 del 1982, n. 188 del 1980, n. 125 del 1979, n. 5 del 1976, n. 168 e n. 122 del 1972, n. 69 del 1970, n. 83 del 1969,n. 53 del 1968), sia per quanto riguarda la funzione determinante della difesa tecnica (sentenze n. 74 del 1973, n. 63 del 1972, n. 96 del 1971, n. 76 e n. 69 del 1970, n. 149 e n. 148 del 1969), sia per quanto riguarda la necessità che all'imputato o al condannato sia assicurata l'effettiva conoscenza degli atti essenziali al fine del procedere (sentenze n. 280 del 1985, n. 178 del 1980, n. 57 del 1975, n. 177 del 1974, n. 186 del 1973, n. 168 e n. 77 del 1972, n. 25 del 1970, n. 74 del 1965), così da consentirgli, anzitutto, "di designare il difensore di fiducia" (sentenza n. 186 del 1973).

Altrettanto indiscutibile si appalesa l'adattabilità di ciascuno di tali asserti all'istituto cui attiene la norma in esame: il ricorso presentato dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 579 del codice di procedura penale introduce un procedimento sicuramente incidentale, autonomo rispetto ai normali incidenti di esecuzione, legato com'é alla particolare problematica concernente l'esecuzione di due o più giudicati in conflitto; la presenza di un difensore gioverebbe a prospettare, dedurre e far valere ogni eventuale ragione dell'interessato attraverso la presentazione di memorie o di istanze, non essendo prevista nei giudizi di cassazione la comparizione personale delle parti private e, trattandosi di decisione in camera di consiglio, nemmeno quella dei difensori; la notifica del ricorso all'interessato sarebbe, data la semplicità della procedura prevista dall'art. 579, la più logica, se non l'unica, via per informare l'interessato dell'imminenza della decisione circa la sentenza da eseguire nei suoi confronti, consentendogli di attivarsi per esternare il punto di vista a lui più favorevole.

4. - Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, che, nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, conclude per l'infondatezza della questione, l'asserito interesse del condannato alla notifica del ricorso ed alla nomina di un difensore onde far valere il proprio punto di vista sarebbe privo di reale consistenza, riducendosi ad un vuoto formalismo, dal momento che l'art. 579 del codice di procedura penale, chiaramente ispirato al principio del favor rei, già di per sé obbliga la corte di cassazione ad adottare, senza alcuna discrezionalità, "la soluzione più favorevole per l'imputato". In un contesto del genere, nessun effetto sarebbe in grado di provocare l'intervento della difesa, né alcuna incidenza avrebbero eventuali memorie difensive, trattandosi di una "scelta, oltre che di mera legittimità, anche vincolata".

5. - L'obiezione dell'Avvocatura dello Stato, pur muovendo da premesse indiscutibili, non può essere condivisa. Nessun dubbio che nell'art. 579 del codice di procedura penale trovi estrinsecazione il principio del favor rei; nessun dubbio che la corte di cassazione sia obbligata a disporre che si dia esecuzione "alla condanna meno grave". Ma ciò non significa che la "scelta" sia talmente "vincolata" da risultare automatica. L'apparente automatismo, che il secondo e il terzo comma dell'art. 579, limitandosi a fissare criteri aritmetici per il ragguaglio fra eventuali pene di specie diversa, sembrerebbero avallare, é smentito dalla constatazione che i casi in cui la sentenza di condanna si risolve nella semplice comminatoria di una pena principale non sono certo i più frequenti.

Accanto alla pena principale può trovar posto una misura di sicurezza, una pena accessoria, un beneficio, un altro più particolare effetto penale. La stessa eventuale diversità del titolo di reato ritenuto in sentenza può avere, a parità di sanzioni, riflessi non indifferenti. Ma, anche a limitarsi alla comminatoria della sola pena principale, le incertezze nella scelta tra due o più sentenze possono risultare non lievi, quando - come nel caso che ha dato origine al procedimento a quo - essendosi in presenza di fatti legati ad altri dal vincolo della continuazione, specie se in differenti composizioni, si debba addivenire alla scomposizione degli episodi e della pena complessivamente inflitta per individuare, in ordine al fatto oggetto di più sentenze, quella che ha pronunciato la condanna meno grave.

La configurabilità di un interesse processuale ad interloquire, mediante il difensore tecnico, anteriormente all'emanazione della pronuncia contemplata nella terza parte del primo comma dell'art. 579 del codice di procedura penale, non può, di conseguenza, essere negata, donde l'illegittimità costituzionale di quell'altra parte dello stesso comma, la seconda appunto, che esclude la notifica del ricorso del pubblico ministero all'interessato, condizione in mancanza della quale resta preclusa la nomina di un difensore di fiducia.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 579, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, riferendosi al ricorso del pubblico ministero, dispone: "Tale ricorso non é notificato all'interessato".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI