Sentenza n.481 del 1987

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SENTENZA N. 481

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto luogotenenziale 20 maggio 1917, n. 876 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione dell'art. 22 del decreto luogotenenziale 12 novembre 1916, n. 1598, sulle pensioni privilegiate di guerra), in riferimento all'art. 100, primo comma, ultima proposizione, del t.u. 21 febbraio 1895, n. 70 (testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari), ed in relazione agli artt. 11 e 14, lett. c), r.d.-l. 27 luglio 1934, n. 1340 (trattamento di pensione al personale militare della Regia aeronautica), convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 1935, n. 834 (conversione in legge, con modificazioni, del r. decreto-legge 27 luglio 1934, n. 1340, riguardante le pensioni del personale militare della Regia aeronautica), e all'art. 67, secondo e quinto comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092 (approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in relazione agli artt. 52, terzo comma, 53, primo comma e 54, decimo comma, dello stesso t.u., promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1982 dalla Corte dei Conti - Sezione IV giurisdizionale, sui ricorsi riuniti proposti da Chiariello Pasquale, iscritta al n. 1140 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47- bis dell'anno 1985;

Udito nella Camera di Consiglio del 28 ottobre 1987 il giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa l'8 novembre 1982 - pervenuta alla Corte costituzionale il 5 ottobre 1984 - la Corte dei Conti - sez. IV giurisdizionale, ha sollevato d'ufficio, in riferimento all'art. 3 Cost., una questione di legittimità costituzionale "dell'art. 3 del d. luog.le 20 maggio 1917, n. 876, con riferimento all'art. 100, primo comma, ultima proposizione del t.u. 21 febbraio 1895, n. 70, ed in relazione alla tabella delle pensioni di anzianità di cui agli artt. 11 e 14, lett. c) del r.d.-l. 27 luglio 1934, n. 1340, convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 1935, n. 834 (e dei corrispondenti artt. 67, secondo e quinto comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, in relazione ai precedenti artt. 52, terzo comma, 53, primo comma, e 54, decimo comma)".

Nel giudizio a quo - precisa l'ordinanza - sono in discussione i criteri di liquidazione dell'assegno privilegiato di 5a categoria, determinato a suo tempo nel 60% della pensione massima di riposo, aumentata di due terzi (come previsto dalle sopracitate disposizioni del 1895, 1917 e 1934): assegno liquidato a Chiariello Pasquale in dipendenza del riconoscimento come dipendente da causa di servizio di un'infermità tubercolare.

Costui aveva prestato servizio per circa nove anni (dal 15 aprile 1926 al 4 aprile 1935) nell'allora corpo aeronautica, ma il suddetto assegno (prorogato e poi diventato vitalizio) era stato rapportato al grado di aviere in quanto, per una gravissima mancanza disciplinare, egli era stato, poco prima della cessazione dal servizio, retrocesso dal grado di sergente maggiore prima conseguito: grado, questo, che l'interessato chiedeva fosse assunto come termine di ragguaglio.

Secondo la Corte rimettente, é da escludere, sul piano interpretativo, che a tal fine sia applicabile il criterio, precedentemente in vigore, della media degli assegni percetti nell'ultimo triennio (nella specie, in gran parte col grado di sergente maggiore), dovendosi far riferimento all'ultimo stipendio o paga (d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20) ed al grado rivestito all'atto della cessazione dal servizio; ed é del pari da escludere che tale grado possa essere quello rivestito all'atto dell'evento di servizio, causa dell'infermità - giusta quanto previsto dalle norme in tema di pensioni di guerra (artt. 15 r.d. 12 luglio 1923, n. 1491 e 27 l. 10 agosto 1950, n. 648) - in quanto la normativa sulle pensioni privilegiate di guerra non é applicabile, salvo espresso rinvio, a quelle ordinarie e concerne situazioni non assimilabili a quelle della pensionistica ordinaria, (stante la natura risarcitoria delle prime: sentt. 113/68, 147/71, 55/80).

Ciò premesso, il giudice a quo ricorda che le norme che prevedono la perdita o riduzione della pensione per i militari cessati dal servizio per fatti disciplinari sono state dichiarate costituzionalmente illegittime (sentt. 3/1966, 78/1967, 112/1968) e poi abrogate con l. 8 giugno 1966, n. 424; ed osserva che, a seguito di ciò, la normativa vigente in tema di pensioni riconosce al militare che sia cessato dal servizio (tra l'altro) per perdita del grado il diritto alla pensione normale, ove abbia compiuto venti anni di effettivo servizio (art. 52, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 - t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato - e successivi artt. 53, primo comma e 54, decimo comma).

Un'analoga disposizione - lamenta la Corte rimettente - non é dettata in tema di pensioni privilegiate per il personale militare nel corrispondente art. 67, secondo e quinto comma, del medesimo t.u.: ed alla luce delle richiamate giurisprudenza costituzionale e legislazione in tema di incidenza di fatti disciplinari sul diritto a pensione, tale omissione é a suo avviso in contrasto col principio di uguaglianza, in quanto impedisce di liquidare la pensione privilegiata in base ai criteri ed agli assegni percepiti anteriormente alla perdita del grado, quando l'evento si sia manifestato, come nel caso di specie, prima del provvedimento disciplinare.

Né l'assunzione a tertium comparationis della disposizione in tema di pensioni ordinarie trova ostacolo, a giudizio della medesima Corte, nella circostanza che al militare incorso nella perdita del grado é richiesta, per l'acquisto del diritto a pensione, un'anzianità minima di venti anni di servizio effettivo: e ciò, sia perché "tale minimo segna comunque il limite, salvo casi particolari, per il riconoscimento del diritto a pensione normale di riposo, sia perché ciò che rileva é che per effetto delle pronunce costituzionali sopraindicate riprende vigore con tutte le possibili conseguenze l'attività prestata al servizio dello Stato anteriormente al provvedimento di perdita del grado": sicché - specifica la Corte in punto di rilevanza - "l'eventuale declaratoria d'illegittimità comporterebbe un tutt'altro criterio di liquidazione e la valorizzazione degli assegni relativi al grado di sergente maggiore".

Il Presidente del Consiglio dei Ministri non é intervenuto, né si é costituita la parte privata.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte dei Conti sez. IV giurisdizionale - dubita, in riferimento all'art. 3 Cost., della legittimità costituzionale di una serie di disposizioni dettate in materia di pensioni privilegiate militari, e precisamente: a) dell'art.14, lett. c) del r.d.-l. 27 luglio 1934, n. 1340, convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 1935, n. 834 che, nel disciplinare le pensioni privilegiate dei militari di truppa della aeronautica, fa riferimento alla tabella di cui al precedente art. 11 e richiama, per la classificazione in categorie delle infermità che danno titolo alla pensione, la disposizione di cui all'art. 3 del decreto luogotenenziale 20 maggio 1917, n. 876, e per la determinazione della base pensionabile, l'art.100 del r.d. 21 febbraio 1895, n. 70 (previgente t.u. delle leggi sulle pensioni civili e militari): disposizioni che peraltro - precisa l'ordinanza - sono da intendersi alla stregua di quanto stabilito dal successivo d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, che prevede che la base pensionabile sia costituita dall'ultimo stipendio o paga e che debba farsi riferimento al grado rivestito all'atto della cessazione dal servizio; b) dell'art. 67, secondo e quinto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) recante la disciplina della misura delle pensioni privilegiate dei militari. Sono dunque impugnate, di tale disciplina, tanto le disposizioni previgenti (ma applicabili al caso di specie, concernente la pensione privilegiata di quinta categoria liquidata a militare cessato dal servizio col grado di aviere) quanto quella attualmente in vigore: le une e le altre, in quanto assumono come base pensionabile l'ultimo stipendio o paga e fanno riferimento al grado rivestito all'atto della cessazione dal servizio.

Ad avviso del giudice a quo, dovrebbe invece farsi riferimento al grado (e corrispondente stipendio) rivestito al momento del riconoscimento come dipendente da causa di servizio dell'infermità che dà titolo alla pensione privilegiata: e ciò, onde evitare che sulla misura di questa incidano i provvedimenti disciplinari irrogati successivamente (nel caso di specie, perdita del grado, con retrocessione da sergente maggiore ad aviere).

2. - La questione non é fondata.

Il giudice a quo richiama, a conforto del proprio assunto, le norme di cui alla legge 8 giugno 1966, n. 424 e le sentenze di questa Corte (nn. 3 del 1966, 78 del 1967, 112 del 1968

; ma v. anche, al riguardo, le sentt. nn. 113 del 1968, 144 e 147 del 1971, 25 del 1972, 24 del 1975, 83 del 1979, 288 del 1983) con le quali sono state abrogate e, rispettivamente, dichiarate costituzionalmente illegittime le previgenti disposizioni che prevedevano la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, come conseguenza di condanne penali o di provvedimenti disciplinari. Ma tale richiamo é inconferente, in quanto le norme impugnate non contengono alcuna disposizione che preveda simili effetti.

La specifica censura di violazione del principio d'uguaglianza é peraltro motivata, nell'ordinanza di rimessione, assumendo come tertium comparationis la disposizione di cui all'art. 52, terzo comma - integrata da quelle di cui ai successivi artt. 53, primo comma e 54, decimo comma - del citato d.P.R. n. 1092 del 1973. Tale disposizione riconosce al militare che sia cessato dal servizio (tra l'altro) per perdita del grado, il diritto alla pensione normale ove abbia compiuto venti anni di effettivo servizio: e l'ordinanza lamenta che analoga disposizione non sia dettata in tema di pensioni privilegiate dei militari.

Il proposto raffronto non conforta, però, la tesi sostenuta dalla Corte rimettente.

Innanzitutto, il citato art. 52 non prevede affatto - come questa vorrebbe - che la perdita del grado resti priva di effetti sul diritto alla pensione normale, dato che, al contrario, dispone che esso, in tal caso, si acquisisca solo al compimento di almeno venti anni di servizio effettivo, anziché, come di norma, con "una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo" (art.52, primo comma).

Inoltre, l'assunto secondo cui dovrebbe aversi riguardo allo stipendio (ed al grado) conseguito al momento in cui sorge il diritto alla pensione privilegiata é sprovvisto del necessario supporto normativo, atteso che nella disciplina richiamata la base pensionabile, tanto per le pensioni normali che per quelle privilegiate, é costituita dall'ultimo stipendio o paga (art.53, primo comma, richiamato dall'art. 67). In entrambi i casi può perciò verificarsi che le sanzioni disciplinari, in quanto comportino una riduzione del trattamento economico in attività, finiscano per spiegare effetti indiretti sulla misura della pensione: il che é cosa ben diversa dal disporre - come facevano le norme abrogate con la citata l. n. 424 del 1966 - che il trattamento pensionistico liquidabile secondo i comuni criteri vigenti in materia vada ridotto (o addirittura non debba corrispondersi) in conseguenza dell'irrogazione delle predette sanzioni ovvero di condanne penali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, lett. c) del r.d.-l. 27 luglio 1934, n. 1340, convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 1935, n. 834 - in relazione all'art. 11 dello stesso decreto ed agli artt. 3 del d. luog.le 20 maggio 1917, n. 876 e 100, primo comma, del r.d. 21 febbraio 1895, n. 70 - nonché dell'art. 67, secondo e quinto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Corte dei Conti - sez. IV giurisdizionale, con ordinanza emessa l'8 novembre 1982 e pervenuta alla Corte costituzionale il 5 ottobre 1984 (r.o. 1140/84).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: SPAGNOLI

Depositata in cancelleria il 10 dicembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI