Ordinanza n.423 del 1987

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ORDINANZA N. 423

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 39, ultima parte, del codice di procedura penale, in relazione alla legge 21 (recte: 31) luglio 1984, n. 400 (Nuove norme sulla competenza penale e sull'appello contro le sentenze del pretore), promosso con ordinanza emessa il 31 luglio 1986 dal Tribunale di Teramo nel procedimento penale a carico di Saccomandi Enrico ed altri, iscritta al n. 698 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57, prima serie speciale, dell'anno 1986.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale di Teramo, con ordinanza del 31 luglio 1986, emessa nel giudizio a carico di Saccomandi Enrico ed altri, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, l'art. 39, ultima parte, del codice di procedura penale, "in relazione alle norme di cui alla legge 21 luglio 1984 n. 400" (recte: 31 luglio 1984, n. 400), nella parte in cui stabilisce che, laddove sussista continuazione fra reati, dei quali alcuni di competenza del tribunale ed altri di competenza del pretore, se il reato più grave é di competenza pretorile, la cognizione per tutti i reati appartiene al pretore;

e che il giudice a quo perviene a tale interpretazione della norma censurata muovendo dalla convinzione che, ove non si rendesse possibile l'instaurazione del simultaneus processus e la conseguente attribuzione al pretore "anche della cognizione dei reati... di competenza superiore", diverrebbe impossibile applicare la disciplina del reato continuato, con la necessaria applicazione - "contro il principio del favor rei" - delle norme sul cumulo materiale delle pene;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

considerato che - a parte ogni rilievo circa l'interpretazione prospettata dal giudice a quo relativamente alla competenza ratione materiae nell'ipotesi di reati uniti dal vincolo della continuazione - l'art. 39, terzo comma, del codice di procedura penale appare erroneamente coinvolto nel giudizio di legittimità costituzionale, in quanto la norma censurata regola non già gli effetti della continuazione sulla competenza per materia (tali effetti rientrano, invece, nella disciplina dell'art. 46, primo comma, del codice di procedura penale), ma esclusivamente gli effetti della continuazione sulla competenza per territorio;

e che, quindi, risulta denunciata una norma che mai dovrebbe ricevere applicazione nel giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Considerato che - a parte ogni rilievo circa l'interpretazione prospettata dal giudice a quo relativamente alla competenza ratione materiae nell'ipotesi di reati uniti dal vincolo della continuazione - l'art. 39, terzo comma, del codice di procedura penale appare erroneamente coinvolto nel giudizio di legittimità costituzionale, in quanto la norma censurata regola non già gli effetti della continuazione sulla competenza per materia (tali effetti rientrano, invece, nella disciplina dell'art. 46, primo comma, del codice di procedura penale), ma esclusivamente gli effetti della continuazione sulla competenza per territorio;

e che, quindi, risulta denunciata una norma che mai dovrebbe ricevere applicazione nel giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, terzo comma, del codice di procedura penale, in relazione alle norme di cui alla legge 31 luglio 1984, n. 400 (Nuove norme sulla competenza penale e sull'appello contro le sentenze del pretore), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, dal Tribunale di Teramo con ordinanza del 31 luglio 1986.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 26 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI