Sentenza n.422 del 1987

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 422

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art.530, primo e secondo comma del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 ottobre 1984 dal Pretore di Nicosia nel procedimento penale a carico di Pirrone Giuseppe, iscritta al n. 1272 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 80- bis dell'anno 1985;

2) ordinanza emessa il 26 novembre 1984 dal Pretore di Leonforte nel procedimento penale a carico di Cocuzza Gaetano, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.137- bis dell'anno 1985;

3) ordinanza emessa il 22 gennaio 1986 dal Pretore di Fermo nel procedimento penale a carico di Fratalocchi Leonardo, iscritta al n. 817 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 prima ss. dell'anno 1987;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'Udienza pubblica del 13 ottobre 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo;

Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

Il Pretore di Nicosia, con ord. 24 ottobre 1984 (n. 1272/84 reg. ord.), il Pretore di Leonforte, con ord. 26 novembre 1984 (n. 33/85 reg. ord.), impugnavano l'art. 530, primo co., cod. pen. con riferimento all'art. 36 Cost.

Il Pretore di Fermo, con ord. 22 gennaio 1986 (n. 817/86 reg. ord.), impugnava primo e secondo co. dello stesso articolo, e sempre in riferimento allo stesso parametro costituzionale.

Le argomentazioni, tuttavia, sono comuni a tutte le ordinanze.

Lamentano, in buona sostanza, i giudici rimettenti che l'art. 530 cod.pen. non consenta al giudicante di valutare la maturità etico-intellettuale del minore infrasedicenne ma ultraquattordicenne.

Per tal modo non é possibile conoscere se il consenso del minore prestato per un atto sessuale integri una responsabile manifestazione del diritto alla propria autodeterminazione sessuale, sì da poter essere valutato nel contesto della scriminante di cui all'art. 50 cod. pen.

Secondo i primi giudici, una siffatta presunzione juris et de jure di immaturità, equipara, agli effetti del trattamento sanzionatorio giuridico-penale, due situazioni diverse nelle quali la prestazione del consenso svolge ruolo di evidente differenziazione, a seconda che promani da soggetto maturo o da chi tale non é.

Trattamento eguale, peraltro, privo di razionalità ove si consideri che l'art. 98 cod. pen. prevede, invece, l'accertamento caso per caso della maturità dei minori di anni 18 ultraquattordicenni autori di reati.

Per cui accade che, ove due minori, nelle dette condizioni di età, consumassero consensualmente un rapporto sessuale, il minore che avesse preso l'iniziativa dell'induzione, e perciò imputato del delitto di cui all'articolo in esame, sarebbe sottoposto all'accertamento del grado di maturità, mentre per il partner si dovrebbe presumere l'immaturità.

D'altra parte, secondo in particolare il Pretore di Nicosia, proprio le sentenze di questa Corte n. 151 del 1973 e n. 209 del 1983, confermando la "ragionevolezza" dell'analoga presunzione di immaturità degl'infraquattordicenni in relazione al delitto di cui agli artt. 519 n. 1 e 524 cod. pen, offrono argomenti che rivelano a contrario l'incoerenza e l'irragionevolezza della presunzione che impone l'immaturità dei minori ultraquattordicenni. Mentre, infatti, nei casi esaminati dalla Corte la presunzione trova riscontro nell'art. 97 cod. pen. che la prevede anche per gli autori di reato infraquattordicenni, nell'area dell'art. 530 cod.pen. s'é visto invece l'insorgere di un manifesto contrasto con quanto dispone l'art. 98 cod. pen. Altrettanto dicasi per quanto si riferisce al comune attuale modo di sentire ed alle tendenze dell'ordinamento giuridico-penale segnatamente, dato che, a differenza di quanto esattamente rilevava questa Corte per gli infraquattordicenni, la presunzione assoluta di immaturità non é stata mantenuta per gli ultraquattordicenni infrasedicenni nel disegno di legge contenente "nuove norme a tutela della libertà sessuale" approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati: salvo per le note ipotesi in cui il minore si trovi in particolari condizioni di subalternità psicologica.

Per quanto, poi, si riferisce alle difficoltà delle indagini sul grado di maturità dei minori, rileva lo stesso Pretore che esse non sono diverse da quelle che devono essere affrontate quando il minore é autore di reati: e così dicasi per il pesante coinvolgimento dei minori nello scontro processuale.

Aggiunge, poi, il Pretore di Leonforte che, già prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, la donna di età fra i 14 e i 16 anni poteva contrarre matrimonio dietro autorizzazione del competente Tribunale: di tal che il giudice penale, se quella stessa donna avesse consentito ad un unico rapporto sessuale avrebbe dovuto considerarla presuntivamente immatura e incapace, mentre il Tribunale minorile, premessi i dovuti accertamenti, la dichiarava matura e capace di esprimere valido consenso a duraturi rapporti matrimoniali.

Interveniva in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale chiedeva che le sollevate questioni fossero dichiarate infondate.

Secondo l'Avvocatura, la predeterminazione dell'età, a partire dalla quale il minore debba essere considerato maturo e capace di prestare valido consenso all'atto sessuale, é una scelta discrezionale del legislatore che non può essere censurata sul piano della legittimità costituzionale, come questa Corte avrebbe già ritenuto risolvendo l'analoga questione relativa all'art. 519 cod. pen. (sent. 28 giugno 1973 n. 151 e 30 giugno 1983 n. 209).

Una tale scelta non risulterebbe irragionevole - secondo l'Avvocatura - alla luce delle correnti valutazioni etico-sociali. Solo il legislatore, pertanto, potrebbe adottare diversa soluzione tenendo conto di eventuale evoluzione del costume e del diverso grado di maturità psico-sessuale dei minori.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze dei Pretori di Nicosia, Leonforte e Fermo sollevano la stessa questione di legittimità. Gli incidenti possono, quindi, essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Secondo, dunque, le tre ordinanze pretoree, correttamente la Corte Costituzionale ha negativamente risolto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 519 n. 1 e 524 cod. pen. (cfr. sentenze n. 151 del 1973 e 209 del 1983), in quanto ne ha messo in luce la coerenza rispetto al sistema e alle sue linee tendenziali, nonché la loro sostanziale ragionevolezza. Da una parte, infatti, la presunzione di immaturità del minore infraquattordicenne, che impedisce ogni indagine del giudice su di un'eventuale prestazione di consenso, trova corrispondenza nell'analoga disposizione dell'art. 97 cod. pen. che sancisce uguale presunzione nei confronti del minore infraquattordicenne, autore di reati, e magari proprio del reato di cui il partner é soggetto passivo. Dall'altra, il testo unificato del disegno di legge, approvato dalla Commissione di Giustizia della Camera dei deputati nella precedente legislatura, attesta che le linee tendenziali dell'ordinamento sono nello stesso senso perché l'art. 3 mantiene la presunzione assoluta d'immaturità dei minori infraquattordicenni, soggetti passivi dei reati previsti da quelle fattispecie.

Ma proprio siffatte argomentazioni, che i rimettenti condividono, danno spunto alla questione sollevata nei riguardi dell'art. 530 cod. pen. in esame. Secondo le ordinanze, infatti, qui verrebbe meno la rispondenza rispetto all'analoga disposizione sull'imputabilità dei minori, perché l'art. 98 cod.pen. stabilisce, invece, che per i minori ultraquattordicenni (e quindi anche per gli infrasedicenni) l'immaturità dev'essere accertata caso per caso per stabilire se fosse stata o non presente la capacità d'intendere e di volere: mentre l'art. 530 cod. pen. continuerebbe contraddittoriamente a presumere quell'immaturità fino al sedicesimo anno di età. Inoltre, l'articolo in esame contraddice anche le linee tendenziali dell'ordinamento, dato che lo stesso già citato disegno di legge testimonierebbe il ben diverso attuale comune sentire con l'eliminazione, dal testo approvato dalla Commissione Giustizia della Camera, di qualsiasi riferimento all'illecito in esame.

Alla luce di siffatte considerazioni, non sembra avere consistenza l'obbiezione dell'Avvocatura Generale che fa semplice riferimento alle già ricordate sentenze di questa Corte in tema di artt. 519 n. 1 e 524 cod. pen. I rimettenti, infatti, rilevano che la predeterminazione dell'età, a partire dalla quale il minore é considerato maturo, é una scelta che in quelle fattispecie il legislatore ha fatto secondo criteri di coerenza e di ragionevolezza, che mancano invece nella fattispecie impugnata: ed a quei rilievi l'Avvocatura non risponde.

In realtà, in prima approssimazione questo attribuire, da una parte, e negare, dall'altra, al giudice il potere di indagare sulla maturità del minore ultraquattordicenne ma infrasedicenne, a seconda che egli si presenti quale vittima o quale autore del reato, c'é chi ritiene che possa effettivamente non apparire ispirato a criteri di razionalità.

Sennonché il problema, così come proposto dalle ordinanze di rimessione, non ha fondamento.

Se é vero, infatti, che qua e là, nel contesto delle motivazioni, si allude ad una presunzione che impedisce al giudice di indagare sulla maturità del minore infrasedicenne, é pur vero, però, che - secondo le ordinanze - una siffatta indagine dovrebbe condurre a stabilire "se il consenso prestato dal minore integri un consapevole e responsabile atto di disposizione del diritto all'autodeterminazione sessuale" che dovrebbe avere - ad avviso dei giudici - efficacia scriminante nell'area dell'art. 50 cod. pen. Altrimenti, nella situazione attuale, si avrebbe la lesione dell'art. 3 Cost., in quanto il legislatore avrebbe equiparato "il trattamento penale della fattispecie in cui l'imputato ha commesso il fatto in presenza di un consenso del soggetto passivo validamente prestato, e quello della differente fattispecie in cui l'imputato ha commesso il reato con un consenso minorile invalido per l'immaturità del soggetto passivo".

3. - In realtà, i termini della questione non possono essere questi, se si ha rispetto al significato della norma impugnata e di quelle corrispettive richiamate.

Nella fattispecie di cui all'art. 530 cod. pen. il consenso del minore ultraquattordicenne é scontato, ed é ritenuto dal legislatore validamente prestato. Se il consenso mancasse o se, comunque, fosse invalido a causa di immaturità o di infermità mentale o a cagione di condizioni d'inferiorità fisica o psichica, la fattispecie applicabile sarebbe quella di cui all'art. 519, o quella dell'art. 521 cod. pen., a seconda della qualità degli atti di libidine consumati. La struttura materiale dell'art. 530 cod. pen. é, infatti, esattamente la stessa di quella delineata nell'art. 521 cod. pen.: colla sola differenza che nell'art. 530, quando si nominano gli "atti di libidine", non é ripetuta l'espressione "diversi dalla congiunzione carnale" che si legge, invece, nell'art. 521. Il che comporta che gli "atti di libidine", di cui parla la fattispecie impugnata, ricomprendono anche la "congiunzione carnale".

Per verità, nell'art. 530 cod. pen. é prevista in più l'ipotesi degli atti di libidine compiuti "in presenza del minore": dal che é chiaramente rilevabile il carattere diverso della tutela che qui il legislatore appresta al minore. Ma, per il resto, tutti gli atti sessuali descritti nelle due predette fattispecie sono richiamati dall'art. 530 cod. pen.: la differenza fra quest'ultima ipotesi e le altre due - salvo quanto si é osservato per gli atti compiuti in presenza del minore - é data esclusivamente proprio dalla presenza o dalla mancanza di un valido consenso da parte del minore ultraquattordicenne ma infrasedicenne.

Come testimonia la stessa espressione "fuori dei casi etc.", solo se il minore ha validamente prestato il suo consenso, diventa applicabile la fattispecie di cui all'art. 530 cod. pen. Non avrebbe senso, pertanto, dichiarare l'illegittimità della norma per consentire un'indagine diretta a stabilire ciò che é già chiaramente affermato dal legislatore. Il quale, fra l'altro, proprio consentendo al minore ultraquattordicenne di esprimere un valido consenso al compimento degli atti di libidine descritti negli artt. 519 e 521 cod. pen., gli ha già riconosciuto il diritto di autodeterminazione sessuale. Non senza ragione, quei due reati sono posti sotto il capo che ha per rubrica "delitti contro la libertà sessuale".

La questione, peraltro, é malposta non soltanto perché non si é tenuto conto di siffatti elementi essenziali delle fattispecie chiamate in causa, ma anche perché non é stata rettamente intesa la natura del delitto contemplato nell'articolo impugnato.

Non si tratta, infatti, come s'é visto, dell'autodeterminazione sessuale né del consenso al compimento degli atti di libidine ivi descritti, che il legislatore riconosce e presuppone, ma si tratta della tutela che, a torto o a ragione, il legislatore dell'epoca ha inteso dare, secondo la rubrica del Capo II "al pudore o all'onore sessuale", o più correttamente all'integrità etica del minore in un momento delicato dello sviluppo dell'età evolutiva: quello appunto fra i 14 e i 16 anni.

Ed il legislatore ha costruito la tutela incriminando direttamente quegli atti quando siano compiuti con il consenso del minore di quell'età, senza accennare nel testo della norma alla corruzione, che é lasciata soltanto alla rubrica dell'articolo. Ne é così risultata una fattispecie di pericolo presunto o - come pure suol dirsi - di condotta pericolosa, dove la punibilità non é subordinata al concreto verificarsi di una contaminazione spirituale, essendo sufficiente il presentarsi del comportamento, che il legislatore presume iuris et de jure carico di pericolo, e la sua contemporanea incidenza sul piano dei valori.

Ora, pur immaginando la delegittimazione della fattispecie di pericolo presunto per dare ingresso ad una indagine del giudice, non si comprenderebbe quale mai consenso essa dovrebbe accertare. Escluso, per le ragioni già illustrate, che possa trattarsi di quello proposto dalle ordinanze, non é pensabile un consenso ad essere "spiritualmente contaminato", ad essere "depravato", "guastato", visto che tale é il significato di "corruzione" secondo il lessico più autorevole.

In realtà, dovrebbe trattarsi di un'indagine di tutt'altra natura; diretta bensì a stabilire la maturità del minore infrasedicenne, ma non certo - come si chiede - per dedurne un consenso agli atti di libidine (che é scontato). L'indagine, invece, dovrebbe tendere ad accertare se il minore, per avere raggiunto un grado di sufficiente maturità psichica nel processo dell'età evolutiva, recepisca quegli atti, anziché traumaticamente, come naturale espressione dei rapporti fra i due sessi.

Tutto questo, però, dovrebbe essere poi valutato anche in relazione a quella maturità che il legislatore ritiene, al contrario, già raggiunta dall'infrasedicenne, al punto da rendere lecita la piena e libera disponibilità sessuale del suo corpo, ai sensi degli artt. 519 e 521 cod. pen. Non sembra, infatti, conciliabile questa consapevole e libera disponibilità ad atti che poi, per altro verso, il legislatore considera pericolosi per lo sviluppo etico-evolutivo del minore.

Ma la questione sollevata é indirizzata in ben altro senso: a risolvere, cioè, un quesito di legittimità, che é già risolto, per definizione, nella norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 530 cod. pen. sollevate dal Pretore di Nicosia con ordinanza 24 ottobre 1984 (n. 1272/84 reg. ord.), dal Pretore di Leonforte con ordinanza 26 novembre 1984 (n. 33/85 reg. ord.), dal Pretore di Fermo con ordinanza 22 gennaio 1986 (n. 817/86 reg. ord.), tutte con riferimento all'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 26 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI