Sentenza n.382 del 1987

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SENTENZA N. 382

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) promossi con n. 3 ordinanze emesse il 26 gennaio 1982 dal Tribunale di Vicenza, il 14 ottobre 1982 dal Tribunale di Mondovì, e il 21 aprile dal Tribunale di Bassano del Grappa, iscritte rispettivamente ai nn. 512, 513, 514 e 877 del registro ordinanze 1982 e n. 636 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 357 dell'anno 1982, nn. 4 e 156 dell'anno 1983 e n. 18 dell'anno 1984;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di Consiglio del 30 settembre 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto in fatto

1. - Il Tribunale di Vicenza, con tre distinte ordinanze, pronunziate in tre diversi procedimenti penali, sotto la stessa data del 26 gennaio 1982 (nn. 512, 513 e 514/1982 reg. ord.), il Tribunale di Mondovì con ordinanza 14 ottobre 1982 (n. 887/1982 reg.ord.), il Tribunale di Bassano del Grappa con ordinanza 21 aprile 1983 (n. 636/1983 reg. ord.), sollevavano questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma terzo della legge 18 aprile 1975, n. 110, in riferimento all'art. 3 Cost.

I Tribunali di Vicenza e Bassano ritenevano pregiudicato il principio di eguaglianza dalla comminazione di una pena più grave per il delitto di omessa immatricolazione di un'arma comune da sparo rispetto a quella stabilita per la detenzione abusiva di un'arma comune: maggiore gravità che quei giudici desumevano dalla possibilità di concedere al delitto di abusiva detenzione di arma comune da sparo e a questo soltanto, l'attenuante del fatto di lieve entità, prevista dall'art. 5 della legge n. 895 del 1967. Ritenevano in subordine quegli stessi giudici sussistere comunque il denunziato pregiudizio per il solo fatto che ambo le predette violazioni fossero punite con il comune minimo edittale di mesi sei di reclusione, mentre doveva ritenersi - così come infatti ritenuto da questa Corte con sent. n. 207 del 1982 - più grave l'ipotesi della abusiva detenzione di arma comune rispetto alla sua omessa immatricolazione.

Infine, uguale contrasto, rispetto all'art. 3 Cost., sembrava ai menzionati giudici derivare dalla mancata distinzione nell'articolo impugnato fra detenzione denunziata di arma clandestina e detenzione abusiva della stessa, che irrazionalmente risultavano così punite con la stessa pena, pur essendo quest'ultima situazione diversa e più grave; contrasto che inoltre si aggravava per la mancata previsione di circostanza attenuante analoga a quella prevista dall'art. 5 della legge n. 895 per il caso di fatto di lieve entità.

A sua volta, il Tribunale di Mondovì limitava l'impugnazione al profilo concernente la mancata previsione dell'attenuante per il fatto di lieve entità relativamente alla fattispecie di cui all'art. 23, comma terzo della legge in esame, mentre essa é prevista per la più grave ipotesi criminosa dell'abusiva detenzione di arma comune da sparo (artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967).

2. - Interveniva in tutti i giudizi innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale chiedeva declaratoria d'infondatezza per tutte le questioni sollevate, rilevando che spetta al legislatore la scelta dell'intensità con cui reprimere le varie violazioni della legge penale: scelta politica incensurabile sul piano della costituzionalità fino a quando l'esercizio di tale potere non ecceda i limiti della razionalità. Quanto poi all'attenuante di cui all'art. 5 della legge del 1967, é opinione dell'Avvocatura Generale che essa sia estensibile in via interpretativa.

Considerato in diritto

1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze dei tre tribunali sono, in tutto o in parte, identiche, in guisa che i procedimenti possono essere riuniti per essere definiti con unica sentenza.

Poiché i giudici rimettenti dubitano, ampiamente motivando, proprio in punto razionalità della norma impugnata, la generica obbiezione d'infondatezza opposta dall'Avvocatura dello Stato non può essere accolta, dovendosi previamente esaminare se la lamentata irragionevolezza non renda incostituzionale l'asserito differenziale trattamento.

Né é il caso di indugiare sulla prospettata alternatività per subordinate avanzata dal Tribunale di Vicenza (e che, se fosse reale, comporterebbe l'inammissibilità per consolidata giurisprudenza di questa Corte), in quanto in realtà essa é apparente, trattandosi di varianti sullo stesso tema di fondo, nel senso di ulteriori argomentazioni sull'unica soluzione avanzata.

Ciò precisato, va detto subito innanzitutto che non esiste nella legge una fattispecie di "omessa immatricolazione" come recita l'ordinanza del Tribunale di Vicenza: esiste soltanto l'ipotesi contemplata dalla norma impugnata che integra il reato di "detenzione di armi clandestine". Il che é conforme al sistema generale della legge, dato che se il detentore non sottopone all'immatricolazione, entro il termine di cui all'art.11 della legge, l'arma legittimamente posseduta in precedenza senza numero, oppure non la restituisce al produttore o all'importatore, o non la abbandona alla dogana, nei casi di cui all'art. 14, egli diventa automaticamente "detentore di arma clandestina" ai sensi del primo comma dell'art. 23 ed é punibile ai sensi dell'impugnato terzo comma. Correttamente, infatti, come tale definisce la fattispecie l'ordinanza del Tribunale di Mondovì.

Ed é esatto, comunque, che - come ha ritenuto anche questa Corte - si tratta di fattispecie di minore gravità rispetto alla detenzione abusiva di arma immatricolata, ma non é esatto che la pena comminata sia superiore a quella prevista per quest'ultima ipotesi. Stando ai criteri suggeriti, sia pure agli effetti processuali dall'art. 255 cod. proc. pen., la gravità del reato va desunta dalla pena edittale, e delle circostanze attenuanti non si tiene conto, salvo per l'età e per quella prevista dall'art. 62 n. 4 cod. pen.: e non c'é dubbio che la detenzione di arma clandestina é notevolmente più tenue dell'altra. La circostanza, proprio perché non riguarda gli essentialia delicti, ma soltanto la quantitas in concreto, ha carattere eventuale, accidentale, e non può influire sulla comparazione fra due pene edittali così come comminate in astratto da due norme penali.

D'altra parte é corretto il rilievo dell'Avvocatura Generale in ordine all'estensibilità per via interpretativa dell'attenuante di cui all'art. 5 della legge n. 895 del 1967 anche all'ipotesi in esame. Analogamente, del resto, a quanto deciso da questa Corte con sent. n. 199 del 1982 a proposito della fattispecie di collezioni di armi senza licenza, e alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha rilevato l'assurdità delle conseguenze di una diversa interpretazione che priverebbe dell'attenuante ipotesi più lievi, quando essa é applicabile a fattispecie di gran lunga più gravi, come quella della detenzione abusiva di armi da guerra. In realtà, solo perché clandestina non muta la natura dell'arma, che é pur sempre quella di cui all'art. 7 della legge del 1967, cui pacificamente é applicata l'attenuante in parola.

Né può essere presa in considerazione - come si vorrebbe dei rimettenti - l'identità del minimo della pena fra le due ipotesi in comparazione per ritenere violato l'art. 3 Cost. La maggior gravità della pena va considerata nella sua intera espansione, e poco rileva il minimo comune se poi l'una pena si estende fino a livelli notevolmente superiori a quelli dell'altra.

Quanto, infine, al fatto che nel terzo comma dell'articolo impugnato non si distingue la detenzione di arma clandestina denunziata da quella non denunziata, si tratta di un evidente equivoco. Quella disposizione, infatti, non può contemplare tale distinzione perché si limita a punire la detenzione di arma clandestina senza ulteriori specificazioni. Ché se poi la detenzione é anche abusiva perché l'arma non é nemmeno denunziata, allora si ha concorso formale di reati con l'ipotesi di cui agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110, sollevate dal Tribunale di Vicenza con tre ordinanze datate 26 gennaio 1982 (nn. 512, 513 e 514/1982 reg. ord.), dal Tribunale di Mondovì con ordinanza 14 ottobre 1982 (n. 887/1982 reg. ord.) e dal Tribunale di Bassano del Grappa con ordinanza 21 aprile 1983 (n. 636/1983 reg. ord.), in riferimento all'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, palazzo della Consulta il 29 ottobre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 12 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI