Ordinanza n.368 del 1987

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ORDINANZA N. 368

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 5, 10, 51 u.c. e 58 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), promossi con ordinanze emesse il 29 ed il 21 settembre 1981 dalla Commissione tributaria di 1ø grado di Biella e il 15 aprile 1985 dalla Commissione tributaria di 1ø grado di Novara, iscritte rispettivamente ai nn. 122 e 123 del registro ordinanze 1982 e al n. 737 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 192 e 185 dell'anno 1982 e n. 12/ prima serie speciale dell'anno 1986;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1987 il Giudice relatore Francesco Saja;

Ritenuto che nel corso di un giudizio iniziato dalla società semplice immobiliare Sant'Anna ed avente ad oggetto il mancato riconoscimento della deducibilità degli interessi passivi esposti dalla stessa nella dichiarazione dei redditi, la Commissione tributaria di primo grado di Biella, con ordinanza del 21 settembre 1981 (Reg. ord. 123/1982) sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, ultimo comma, e 58 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597;

che la Commissione denunciava le citate disposizioni relative al reddito d'impresa perché non applicabili alla determinazione del reddito delle società semplici, con la conseguente indeducibilità per le stesse degli interessi passivi, dando luogo così, a suo avviso, ingiustificatamente, all'"unico caso di indeducibilità degli stessi, sia per quanto riguarda le società di persone sia per quanto riguarda le società di capitale";

che ciò sembrava, alla Commissione, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. in quanto lesivo dei principi di eguaglianza e della tassazione secondo l'effettiva capacità contributiva;

che, nel corso di un giudizio iniziato dalla società semplice immobiliare Nilau ed avente ad oggetto la deducibilità, da parte della società o dei singoli componenti, degli interessi passivi dipendenti da mutuo garantito da ipoteca su immobili, la stessa Commissione tributaria di primo grado di Biella, con ordinanza del 29 settembre 1981 (Reg. ord. n. 122 / 1982) sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597;

che la Commissione riteneva che le citate norme, impedendo la detrazione degli interessi passivi dipendenti da mutuo ipotecario documentato, tanto alle società semplici, per la mancanza di testuale disposizione al riguardo, quanto alle singole persone fisiche componenti la società, per la diversa identità soggettiva di queste ultime rispetto al soggetto d'imposta, violassero i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.), costituendo, a suo dire, la suddetta deducibilità principio generale valevole in ogni caso;

che gli artt. 5 e 10 del citato d.P.R. venivano denunciati per gli stessi motivi anche dalla Commissione tributaria di primo grado di Novara, con ordinanza del 15 aprile 1985 (reg. ord. 737/1985) nel corso di un giudizio instaurato da Peretti Gianfranco e Milesi Maria Elena avverso la cartella esattoriale relativa al recupero a tassazione IRPEF per l'anno 1980;

che la Presidenza del Consiglio dei ministri rappresentata dall'Avvocatura dello Stato, intervenuta nei giudizi, ad eccezione di quello promosso con ordinanza del 21 settembre 1981 dalla Commissione tributaria di primo grado di Biella, chiedeva che le questioni proposte fossero dichiarate infondate;

Considerato che le tre ordinanze concernono sostanzialmente le medesime questioni, affermandosi dalle stesse sotto differenti profili, che in violazione dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.) sarebbe esclusa la deduzione degli interessi passivi relativamente ai redditi della società semplice: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unico provvedimento;

che, in particolare, l'ordinanza n. 123/1982 ha denunciato in proposito gli artt. 51, ultimo comma, e 58 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 sul presupposto che la seconda di dette norme consentirebbe la deduzione in esame soltanto se trattasi di reddito di impresa, e che tale sarebbe unicamente quello delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, con esclusione della società semplice;

che evidente é l'erroneità dell'accennato presupposto, giacché il cit. art. 58 ha contenuto precettivo del tutto differente da quello accolto dal giudice a quo, disponendo che non possono essere dedotti dal reddito complessivo del contribuente quegli interessi passivi che lo stesso art. 58 non consente di computare ai fini della determinazione del reddito di impresa;

che la qualificazione di reddito d'impresa in relazione all'art. 51 richiede che debba trattarsi, sotto l'aspetto oggettivo, di reddito derivante dall'esercizio di imprese commerciali, intendendo per tale quello proveniente dalla professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività di cui all'art. 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma d'impresa, ovvero che vi sia, sotto l'aspetto soggettivo, una espressa previsione legislativa per l'applicazione della disciplina in questione, come avviene per il reddito delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, ancorché esercitanti attività diverse da quelle indicate nel suddetto articolo;

che il reddito delle società semplici non risponde a nessuno dei due requisiti, in quanto, da un lato, esse non esercitano un'attività commerciale, e, dall'altro, non rientrano nei due tipi di società previsti dall'ultimo comma dell'art. 51;

che nella denunciata disciplina non é dato ravvisare alcuna ingiustificata disparità di trattamento tra le società semplici e le altre società di persone, trattandosi di tipi diversamente regolati dal codice civile, il che non irrazionalmente si riflette anche nel campo tributario;

che peraltro va precisato che la citata norma dell'art. 51, la quale attrae nell'ambito del reddito di impresa anche quelli delle società in nome collettivo e in accomandita semplice non esercitanti attività commerciale, ha formato oggetto di serie critiche ed é stata sospettata di incostituzionalità (appunto non é stata riportata dal corrispondente art. 51 del recente d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 recante il testo unico delle imposte sui redditi che entrerà in vigore il 1ø gennaio 1988 e avrà effetto per il periodo successivo al 31 dicembre 1987): sicché sarebbe sicuramente impossibile estenderne la portata anche alla società semplice che per definizione, senza eccezione alcuna, si caratterizza per il fatto di non esercitare attività commerciale;

che, inoltre, non può condividersi l'affermazione dei giudici a quibus, secondo cui tale deduzione corrisponderebbe ad un regola generale del nostro ordinamento: la deduzione é infatti ammessa soltanto nei casi e con le modalità stabilite di volta in volta discrezionalmente dal legislatore, ciò che risulta, tra l'altro, inequivocabilmente dal cit. art. 58, il quale nella determinazione del reddito d'impresa la ammette soltanto in alcune ipotesi e per un ammontare stabilito, nonché dallo stesso art. 10, d.P.R. 597 del 1973, il quale, dopo aver subito varie modificazioni, impone varie condizioni e limitazioni per la deducibilità dal reddito complessivo degli oneri sostenuti dal contribuente;

che pertanto non ha fondamento neppure la dedotta disparità di trattamento fra società semplice e persone fisiche data la evidente diversa natura dei soggetti;

che, peraltro, spetta al giudice a quo stabilire in via interpretativa se, in relazione all'ampia previsione degli artt. 5 e 10 e dato il minimo grado di autonomia patrimoniale della società semplice (inferiore a quello della società in nome collettivo e in accomandita semplice), la deduzione in questione non possa essere operata proporzionalmente al reddito complessivo di ogni socio come espressamente ora stabilisce l'art. 10 n. 3 del cit. d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (norma non direttamente applicabile, come già si é detto, in base al disposto dell'art. 136 dello stesso d.P.R., ma eventualmente rilevante in sede ermeneutica);

che conclusivamente, le due questioni sollevate in questo giudizio si presentano per le ragioni sopra dette manifestamente prive di giuridico fondamento;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi, dichiara manifestamente non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 51 e 58 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 e quella degli artt. 5 e 10 dello stesso d.P.R., sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. dalle Commissioni tributarie di primo grado di Biella e di Novara con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1987

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: SAJA

Depositata in cancelleria il 4 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI