Sentenza n.364 del 1987

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SENTENZA N. 364

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promossi con ordinanze emesse il 5 marzo 1985 dalla Commissione tributaria di 1ø grado di Piacenza e il 14 febbraio 1986 dalla Commissione tributaria di 1ø grado di Grosseto (n. 2 ordinanze), iscritte rispettivamente al n. 900 del registro ordinanze 1985 e ai nn. 72 e 73 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17/1a serie speciale dell'anno 1986, e n. 14/1a serie speciale dell'anno 1987;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1987 il Giudice relatore Francesco Saja;

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento iniziato da Franchi Giuseppe ed avente per oggetto l'accertamento del reddito percepito nel 1975 ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, la Commissione tributaria di primo grado di Piacenza con ordinanza del 5 marzo 1985 (reg. ord. n. 900 del 1985) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 55, terzo comma, seconda parte, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il quale, disponendo in materia di violazioni, da parte del contribuente, della disciplina dell'accertamento delle imposte sui redditi, così stabilisce: "Se la violazione é stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche... la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora, nel termine di trenta giorni dalla data del relativo verbale, sia stato eseguito versamento diretto all'esattoria pari ad un sesto del massimo della pena".

Secondo la Commissione, la limitazione del detto beneficio ai soli casi in cui la violazione fosse stata accertata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche, ossia la sua non estensione alle ipotesi in cui le infrazioni fossero state accertate in ufficio, sembrava contrastare col principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), dando luogo ad un trattamento diverso di situazioni sostanzialmente identiche.

Sempre ad avviso del collegio rimettente, la violazione del principio di eguaglianza appariva tanto più evidente considerando che l'art. 58 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo sostituito dall'art. 1 d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), disponendo le sanzioni in materia di imposta sul valore aggiunto, prevedeva il beneficio in questione quale che fosse stato il modo di accertamento della violazione.

2. - Nel corso di due procedimenti, iniziati rispettivamente da Sammaritano Luigi e da s.r.l. Europa 2000 ed avente per oggetto l'irrogazione di pene pecuniarie per ritardata od omessa presentazione della dichiarazione di sostituto d'imposta, ai sensi dell'art. 47 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (contenente disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), la Commissione tributaria di primo grado di Grosseto con ordinanze del 14 febbraio 1986 (reg. ord. nn. 72 e 73 del 1987) sollevava questione di legittimità costituzionale del citato art. 47, in riferimento all'art. 3 Cost. Secondo la Commmissione la norma impugnata, comminando la stessa pena senza distinguere tra pura e semplice omissione della dichiarazione ed omissione accompagnata dall'evasione dell'imposta, parificava situazioni diverse, ossia violazioni formali e sostanziali, così sembrando ledere il principio di eguaglianza.

Nelle stesse ordinanze la Commissione toscana sollevava anche la questione avente per oggetto l'art. 55, terzo comma, stesso d.P.R. con la motivazione già adottata dalla Commissione di Piacenza nell'ord. n. 900 del 1985, di cui sopra.

3. - La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva soltanto nei giudizi relativi alle ordinanze nn. 72 e 73 del 1987, chiedendo che la questione relativa all'art. 47 d.P.R. n. 600/1973 fosse dichiarata manifestamente infondata, in quanto già decisa da questa Corte con sentenza n. 128 del 1986.

Nessuna delle parti private si costituiva.

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze hanno in comune la questione concernente l'art. 55 d.P.R. n. 600 del 1973, ciò che rende opportuna la riunione dei giudizi.

2. - Quanto al merito della detta questione, é necessario mettere a confronto, come giustamente fa l'ordinanza della Commissione piacentina, l'impugnato art. 55 d.P.R. n. 600 del 1973, con l'art. 58 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che istituisce e disciplina l'imposta sul valore aggiunto.

L'art. 55 cit., dopo aver previsto l'applicazione di pene pecuniarie per la violazione degli obblighi stabiliti nello stesso decreto in materia di accertamento delle imposte sui redditi, stabilisce (terzo comma, seconda parte): "Se la violazione é stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguite ai sensi dell'art. 33, la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora, nel termine di trenta giorni dalla data del relativo verbale, sia stato eseguito versamento diretto all'esattoria di una somma pari ad un sesto del massimo della pena".

Disposizione del tutto analoga era contenuta nel testo originario dell'art. 58 cit. Sennonché con d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, emanato anche in attuazione della delega prevista dalla l. 13 novembre 1978, n. 765, riguardante l'adeguamento della disciplina dell'i.v.a. alla normativa comunitaria, quel testo originario venne modificato e, come si legge nella relazione al d.P.R. ult. cit., la possibilità di oblazione venne generalizzata "onde eliminare inconvenienti verificatisi nell'applicazione dell'attuale quarto comma, consentendo così l'oblazione stessa anche per le violazioni constatate in ufficio". Il quarto comma dell'art. 58 d.P.R. n. 633/1972, pertanto, oggi suona così: "La pena pecuniaria non può essere irrogata qualora nel termine di trenta giorni dalla data del verbale di constatazione della violazione sia stata versata all'ufficio una somma pari ad un sesto del massimo della pena".

É evidente da ciò una diversità di trattamento, priva di giustificazione. Diversità di trattamento che si riscontra sia nell'ambito delle violazioni, accertate fuori o in ufficio, della disciplina delle imposte sui redditi, sia tra le violazioni del d.P.R. n. 600 /1973 e quelle del d.P.R. n. 633/1972. Quest'ultima disparità, anzi, non può essere giustificata neppure dalla diversa natura dei tributi, diretti (imposte sui redditi) e indiretto (iva), disciplinati dai rispettivi decreti presidenziali, e si spiega solo con un difetto di coordinamento dell'intervento legislativo, rimasto limitato, in sede di correzione e di adeguamento alla normativa comunitaria, al solo tributo indiretto.

Stante il rilevato contrasto con l'art. 3 Cost., deve perciò essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 55, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui limita la possibilità di oblazione, mediante versamento diretto all'esattoria di una somma pari ad un sesto del massimo della pena, alle sole violazioni constatate in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti ai sensi del precedente art. 33.

É appena il caso di aggiungere che spetta ai giudici comuni stabilire se il termine di trenta giorni per effettuare l'oblazione, previsto nello stesso terzo comma, possa decorrere non solo dalla data del verbale di constatazione ma anche, quando é il caso, dalla notifica dell'avviso di accertamento.

3. - Manifestamente infondata é invece la questione avente per oggetto l'art. 47 dello stesso d.P.R. n. 600 del 1973.

Infatti essa é stata già esaminata e dichiarata non fondata da questa Corte con sentenza n. 128 del 1986, in cui si é osservato che la dichiarazione de qua, contrariamente a quanto ritenuto nelle ordinanze di rimessione, non mira soltanto ad assicurare all'Erario la quota che il sostituto trattiene al sostituito, ma ha altresì una funzione di controllo, in quanto consente agli uffici di apprendere che il sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli conseguentemente in grado di verificare l'esistenza e l'entità delle dichiarazioni che egli a sua volta é obbligato a rendere. Pertanto, sotto questo riguardo, non si tratta di mere violazioni formali, ché anzi esse rivestono un notevole rilievo sostanziale, posto che qualsiasi omissione o ritardo della prescritta dichiarazione rende impossibile, o almeno intralcia gravemente, la suddetta attività di controllo, così ledendo o mettendo in pericolo interessi materiali dell'Erario. Del resto nella citata sentenza si é osservato ancora che il giudice tributario ben può tenere conto, nella determinazione delle pene in concreto, anche dei principi dettati dall'art. 54 dello stesso decreto, che fa riferimento alla gravità del danno o del pericolo e alla personalità dell'autore della violazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 55, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole "Se la violazione é stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti ai sensi dell'art. 33";

dichiara manifestamente non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 stesso d.P.R., sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Grosseto con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: SAJA

Depositata in cancelleria il 4 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI