Sentenza n.226 del 1987

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SENTENZA N. 226

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"), promosso con ordinanza emessa il 25 luglio 1980 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Vicinelli Gianfranco e l'I.N.A.I.L., iscritta al n. 716 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1980;

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L. e di Vicinelli Gianfranco, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1987 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Uditi l'avvocato Enrico Ruffini per l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Bologna, con ordinanza del 25 luglio 1980, in riferimento agli articoli 2, 3, secondo comma, 4, primo comma, 35, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione, solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"), nella parte in cui esclude che l'infezione malarica possa costituire infortunio sul lavoro. Il procedimento ha origine da causa civile avente ad oggetto il ricorso di Vicinelli Gianfranco contro l'I.N.A.I.L., per ottenere pensione di invalidità per gli esiti permanenti - splenomegalia con fibrosi - derivanti da infezione malarica contratta in luogo di lavoro in Ghana.

2. - Per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato assume la infondatezza della questione proposta, sostenendo che non sarebbero censurabili sul piano della legittimità costituzionale le scelte di merito del legislatore nel definire presupposti e condizioni di applicazione del sistema garantistico degli infortuni. La esclusione della malaria dal novero delle cause di infortunio troverebbe giustificazione nel carattere anomalo del processo causativo dell'evento dannoso rispetto alla fattispecie legale dell'infortunio per causa violenta in occasione di lavoro. Compenserebbe tale esclusione il trattamento disposto, in caso di morte da febbre perniciosa, dall'art. 329 del Testo unico delle leggi sanitarie, sostituito da quello stabilito dall'art. 1 della legge 11 marzo 1953, n. 160.

3. - Per quanto riguarda le parti private, costituite in giudizio, l'I.N.A.I.L. sostiene l'infondatezza della questione, mentre il Vicinelli Gianfranco argomenta, in adesione alla ordinanza di rimessione, sia nel senso della inattualità della normativa rispetto alla evoluzione della malaria, sia assumendo che la puntura della zanzara costituisce causa violenta verificabile in occasione di lavoro, per il rischio cui il lavoratore é esposto in ambiente infestato.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Bologna, con ordinanza del 25 luglio 1980, ritiene che l'art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"), nella parte in cui esclude che l'evento dannoso derivante da infezione malarica sia compreso tra i casi di infortunio sul lavoro, e richiama disposizioni speciali, che limitano, in materia ogni tutela al caso di morte da febbre perniciosa, "non solo appare manifestamente irragionevole, ma contrastante, da un lato, con i generali principi costituzionali che riconoscono l'inviolabile diritto alla salute (art. 2 Cost.), la parità sostanziale fra i cittadini (art. 3, secondo comma), la tutela della posizione di lavoro (art. 4, primo comma) e, dall'altro, con quelli più specifici che garantiscono il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35, primo comma) e che delineano la struttura del sistema previdenziale (art. 38, secondo comma)".

2. - La questione é fondata.

La norma impugnata recita: "L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni.

"Agli effetti del presente decreto, é considerata infortunio sul lavoro l'infezione carbonchiosa. Non é invece compreso tra i casi di infortunio sul lavoro l'evento dannoso derivante da infezione malarica, il quale é regolato da disposizioni speciali".

La esclusione della malaria dall'elenco delle patologie riconducibili a infortuni sul lavoro proviene dall'art. 16 della legge 22 giugno 1933, n. 851, dall'art. 2 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, ed é ribadita nel primo comma dell'art. 329 del Testo unico delle leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), il quale ultimo recita: "L'infezione malarica non é compresa fra i casi di infortunio per causa violenta in occasione di lavoro, che sono preveduti dalle vigenti disposizioni sugli infortuni degli operai sul lavoro e sulla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura".

Negli anni cui risalgono queste norme la malaria infestava intere regioni del Paese e costituiva un rischio generico di malattia e di morte per le popolazioni, non un rischio specifico dei lavoratori. Era pertanto allora giustificato che la malattia da infezione malarica fosse esclusa dal sistema assicurativo contro gli infortuni sul lavoro, e che si provvedesse invece con una sovvenzione, ai sensi dell'art. 329, secondo comma, assegnata ai discendenti, ascendenti, coniugi, fratelli o sorelle dell'operaio deceduto per febbre perniciosa. Tale norma, peraltro, é stata sostituita dalla legge 11 marzo 1953, n. 160, che dispone in luogo della sovvenzione l'estensione del trattamento stabilito per i casi di morte per infortunio sul lavoro in agricoltura, ai sensi dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1950, n. 64.

Nel secondo dopoguerra, mediante l'uso del DDT (diclorodifeniltricloroetano), la infestazione malarica, che durava da molti secoli, é stata in pochi anni debellata. Non ha oggi perciò più alcuna ragionevolezza un regime giuridico, che in materia di infezione malarica continui a postulare un rischio generico per gli abitanti, e ad escludere un rischio specifico in occasione di lavoro in circoscritto ambiente infesto, e che provveda alla tutela in caso di morte, e non anche in caso di danno.

3. - Questa Corte ritiene che il regime vigente sopradescritto, comprensivo non solo della norma impugnata, ma anche dell'art. 16, primo comma, della legge 22 giugno 1933, n. 851, dell'art. 329, comma primo, del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, nonché dell'art. 2, secondo comma, parte seconda, del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, leda il valore costituzionale della salute, esplicitamente garantito dall'articolo 32 della Costituzione, e che come diritto umano fondamentale e inviolabile, non può, senza alcuna apprezzabile ratio, tollerare limitazioni o esclusioni del corrispondente inderogabile dovere di solidarietà, secondo il precetto dell'articolo 2 della Costituzione. Inoltre, quando il lavoratore, in occasione di lavoro, soggiacendo alla causa violenta, che configura l'infortunio, quale é la repentina puntura dell'anofele, inoculatrice dei parassiti patogeni, contrae la malattia con esito di danno grave e permanente, invalidante le sue capacità di lavoro, il diritto previsto dall'art. 38, comma secondo, della Costituzione risulta violato, se il regime assicurativo, continui ad escludere dalle ipotesi di infortunio l'infezione malarica, nella presentazione epidemiologica attuale, non in quella della prima metà di questo secolo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'articolo 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali") nella parte in cui non comprende tra i casi di infortunio sul lavoro l'evento dannoso derivante da infezione malarica, regolato da disposizioni speciali;

b) dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - la illegittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, della legge 22 giugno 1933, n. 851 ("Coordinamento e integrazione delle norme dirette a diminuire le cause

della malaria"), dell'art. 329, comma primo, del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 ("Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie") e dell'art. 2, secondo comma, parte seconda, del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765 ("Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali").

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: CASAVOLA

Depositata in cancelleria il 17 giugno 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE