Sentenza n.211 del 1987

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SENTENZA N. 211

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599 (Istituzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi) in relazione agli artt. 19 n. 5 e 49, terzo comma, lett. b, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), promossi con le ordinanze emesse il 25 giugno 1979 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Milano nei procedimenti vertenti tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e la società A.A.F. International e Signode Corporation, iscritte ai nn. 430 e 462 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 194 del 16 luglio 1980 e n. 235 del 27 agosto 1980;

Visti nell'udienza pubblica del 14 aprile 1987 il Giudice relatore Francesco Saja;

Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza del 24 giugno 1977 la Commissione tributaria di primo grado di Milano accoglieva il ricorso proposto dall'Amministrazione delle finanze dello Stato contro la A.A.F. International società con sede principale negli USA e priva di stabile organizzazione in Italia, e inteso ad ottenere il rimborso di una somma pagata per Ilor su redditi da royalties (altrimenti dette "redevances") conseguiti in Italia nel 1974.

La Commissione di secondo grado, adìta per appello, con ordinanza del 25 giugno 1979 (reg. ord. n. 430 del 1980) sollevava,per contrasto con gli artt. 3, 53 e 77 (recte; 76) Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599 in relazione agli artt. 19 e 49, terzo comma, lett. b, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597.

La Commissione osservava che l'impugnato art. 3 d.P.R. n. 599/1973 definiva come "prodotti nel territorio dello Stato", ai fini dell'Ilor, "i redditi indicati nell'art. 19 d.P.R. n. 597/1973" (concernente l'Irpef). Questo art. 19 assoggettava ad imposta soltanto i redditi di impresa, derivanti da attività qui esercitate "mediante stabile organizzazione" (n. 5) mentre il successivo art. 49 concerneva i soli redditi di lavoro autonomo derivanti dall'utilizzazione di beni immateriali.

Il complesso di queste disposizioni portava ad escludere - ma la commissione rimettente osservava che questo punto era controverso in giurisprudenza - che fossero assoggettabili ad Ilor i redditi da "royalties" percepiti in Italia da imprese o società straniere qui prive di stabile organizzazione.

La esclusione sembrava però determinare un ingiustificato trattamento di favore per le suddette imprese o società, pur in presenza di indici rivelatori della loro capacità contributiva, rispetto alle persone fisiche residenti all'estero (artt. 3 e 53 Cost.). Inoltre, l'art. 4 n. 2 l. 9 ottobre 1971 n. 825, in base alla cui delega erano stati emessi i d.P.R. n. 597 e 599 del 1973, prevedeva dover essere applicata l'Ilor agli enti o alle organizzazioni prive di personalità giuridica, con o senza una stabile organizzazione nel territorio italiano. Ciò induceva a ritenere che la norma impugnata contrastasse anche con l'art. 76 Cost. per eccesso di delega.

2. - Le stesse questioni venivano sollevate dalla medesima Commissione tributaria con ordinanza emessa in pari data su ricorso dell'Amministrazione delle finanze contro la società statunitense Signode Corporation (reg. ord. n. 462 del 1980).

3. - In entrambi i giudizi interveniva la Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, al fine di sostenere la non fondatezza delle questioni, respingeva l'interpretazione della norma impugnata, data dai giudici rimettenti. Secondo l'interveniente, infatti, i redditi conseguiti da società straniere non aventi stabile organizzazione in Italia rilevavano fiscalmente non quali redditi d'impresa, appunto per l'inesistenza di un'"impresa" sul territorio nazionale, bensì, per fictio iuris, quali redditi di lavoro autonomo: ne conseguiva la loro tassabilità ai sensi degli artt. 19 n. 4 e 49 lett. b d.P.R. n. 597/1973.

La Presidenza del Consiglio precisava che, trattandosi nei casi di specie di società statunitensi, l'Irpeg era esclusa dall'art. VIII della convenzione del 1955, resa esecutiva con l. 15 luglio 1956 n. 943 e dal successivo scambio di note del 1974, reso esecutivo con l. 6 aprile 1977 n. 233; restava però salva l'Ilor.

In conclusione, secondo l'interveniente la tassabilità delle "royalties" in discorso faceva venire meno il presupposto stesso delle questioni di costituzionalità.

In prossimità dell'udienza, tuttavia, essa depositava una memoria in cui riconosceva che secondo la più recente giurisprudenza, anche delle Sezioni unite civili della Cassazione, i redditi in questione dovevano ritenersi non tassabili; essa tuttavia insisteva nel chiedere la dichiarazione di non fondatezza delle questioni.

Considerato in diritto

1. - Con le due ordinanze in epigrafe la Commissione tributaria di secondo grado di Milano sottopone alla Corte due questioni di analogo contenuto, concernenti l'assoggettamento all'Ilor dei redditi appresso specificati; i relativi giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Il giudice a quo premette che in base alla normativa applicabile (combinato disposto degli artt. 3 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, relativo all'imposta locale sui redditi, e 19 n. 5 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, concernente l'imposta sul reddito delle persone fisiche) non sono soggetti all'Ilor i redditi di impresa, ai quali egli riconduce quelli in esame, derivanti da attività esercitate nel territorio italiano da soggetti (stranieri) privi nel medesimo territorio di stabile organizzazione. L'ordinanza di rimessione indica anche, senza motivare, l'art. 49 cit. d.P.R. n. 597 del 1973, relativo ai redditi di lavoro autonomo, ma tale disposizione é chiaramente estranea alla censura formulata, trattandosi nella specie, secondo la stessa ordinanza e in contrasto con la tesi dell'Avvocatura, di redditi di impresa.

Ciò premesso, il detto giudice sospetta di illegittimità costituzionale detta normativa sotto duplice profilo. Precisamente dubita che essa contrasti:

1) con l'art. 76 Cost.,in quanto la disposizione dell'art. 4 n. 2 della legge-delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971 n. 825, in base alla quale sono stati emessi i citt. d.P.R. n. 597 e 599 del 1973, prevede, a suo avviso, che l'Ilor sia applicata agli enti stranieri ancorché privi di stabile organizzazione nel territorio italiano;

2) con gli artt. 3 e 53 Cost., perché, sempre ad avviso del giudice rimettente, la normativa impugnata, con l'esonero in discorso, riserva un ingiustificato trattamento di favore alle dette imprese, pur in presenza di indici rivelatori della loro capacità contributiva.

3. - La Presidenza del Consiglio ha eccepito nell'atto di intervento l'inesattezza dell'interpretazione adottata dal giudice a quo, deducendo che i redditi su indicati, consistenti in compensi corrisposti per l'utilizzazione di marchi di fabbrica - e quindi compresi nella più ampia categoria delle royalties o redevances non costituiscono redditi di impresa bensì, come già si é accennato, redditi di lavoro autonomo, come tali tassabili a norma del cit. art. 49 d.P.R. n. 597 del 1973, indipendentemente dall'esistenza di una stabile organizzazione in Italia.

Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, però, l'Avvocatura dello Stato ha preso atto della giurisprudenza ordinaria e tributaria ormai pacifica, secondo cui i detti compensi costituiscono redditi di impresa e perciò, in difetto di una stabile organizzazione in Italia, non sono soggetti all'Ilor; essa ha pertanto abbandonato la tesi prima sostenuta, pur sempre affermando la non fondatezza, sotto altro profilo, delle proposte questioni e così accettando l'intuitiva conseguenza per cui, restando ferma la disciplina vigente, risulterà priva di fondamento la pretesa sostanziale fatta valere dall'Amministrazione finanziaria.

4. - Prima di entrare nel merito, deve la Corte formulare due precisazioni di carattere preliminare.

Anzitutto, sul rapporto tributario in esame non incide la nazionalità statunitense delle due società contribuenti. Invero, la Convenzione conclusa a Washington il 30 marzo 1955 tra l'Italia e gli Stati Uniti d'America (per la cui ratifica ed esecuzione é intervenuta la l. 19 luglio 1956 n. 943), intesa ad evitare le doppie imposizioni e a prevenire le evasioni fiscali, non concerneva, com'é pacifico, le imposte locali sui redditi, alle quali perciò era applicabile la legislazione interna di ciascuno degli Stati contraenti. Mentre la successiva convenzione conclusa a Roma il 17 aprile 1984, la cui ratifica é stata autorizzata con legge 11 dicembre 1985 n. 763 e che comprende anche le imposte locali, é entrata in vigore il successivo 30 dicembre e si applica, secondo l'art. 28, secondo comma, ai tributi futuri, non essendo perciò riferibile alla fattispecie considerata nei giudizi a quibus, in cui si controverte di imposte afferenti all'anno 1974.

5. - Va osservato poi che, successivamente alle due ordinanze di rimessione in oggetto, é stato emanato il d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, il quale, nell'art. 31, ha apportato varie modifiche all'art. 19 d.P.R. n. 597 del 1973, relativo, come si é detto, all'applicazione dell'Ilor ai redditi di impresa. Tale disposizione stabilisce, per quanto qui interessa, che sono soggetti all'imposta suddetta, anche in assenza di stabile organizzazione, i compensi comunque corrisposti nel territorio dello Stato per l'utilizzazione di marchi di fabbrica e di commercio, di opere dell'ingegno, di invenzioni industriali e simili nonché per l'uso di veicoli, macchine ed altri beni mobili.

Sennonché l'art. 45, terzo comma, dello stesso d.P.R. n. 897/1980, dispone che la detta modifica avrà effetto dal 1ø gennaio 1982, sicché essa non si applica ai rapporti tributari anteriori, e quindi non incide su quelli in esame, relativi a compensi per l'utilizzazione di marchi di fabbrica percepiti nel 1974.

6. - Nel merito le due questioni non sono fondate.

Come già accennato, la giurisprudenza ordinaria, ivi compresa quella delle Sezioni Unite della Cassazione, considera le royalties o redevances quali redditi non già di lavoro autonomo ma di impresa; d'altro canto, tutti i redditi di questo tipo, realizzati da enti non aventi in Italia una stabile organizzazione, si consideravano, prima delle modificazioni apportate con il richiamato d.P.R. n. 897 del 1980, realizzati fuori dal territorio italiano (art. 19 n. 5 cit. d.P.R. n. 597 del 1973 in relazione all'art. 3 cit. d.P.R. n. 599 del 1973); da ciò, e per effetto del carattere territoriale dell'Ilor, derivava la non assoggettabilità al tributo di tutti i redditi di impresa percepiti dai soggetti testé indicati.

Su tale presupposto il giudice a quo con la prima questione ritiene, con riferimento all'art. 4 n. 2 della legge n. 825 del 1971, che il legislatore delegato, in violazione dell'art. 76 della Costituzione, avrebbe arbitrariamente escluso la tassazione dei redditi suddetti. Ma é da osservare che il cit. art. 4 n. 2 non contiene affatto, neanche implicitamente, la definizione di reddito prodotto nel territorio nazionale, poiché esso enuncia soltanto dei criteri di tassazione per i redditi prodotti in Italia.

Fuor di proposito, pertanto, le due ordinanze di rimessione hanno ritenuto di potersi riferire - in maniera peraltro assiomatica - alla suddetta norma della legge delega, sicché risulta di tutta evidenza come la prima questione sia priva di giuridico fondamento.

7. - Rispetto alla seconda censura, osserva la Corte che l'utilizzazione in Italia dei beni (anche immateriali) appartenenti ad un ente straniero privo nel nostro territorio di una stabile organizzazione non può che collegarsi, proprio per tale mancanza, al potere di direzione e di amministrazione esercitato nella sede (estera) dagli organi centrali dell'ente medesimo. In tale situazione non può certamente considerarsi arbitrario e irrazionale lo scopo, perseguito dal legislatore, di incoraggiare le imprese straniere ad operare in Italia, al fine di agevolare un mercato interno non adeguatamente sviluppato. Non é, di conseguenza, censurabile la scelta dello strumento a tal fine adottato ossia, con riferimento alla fattispecie qui in esame, la normativa che considera il reddito in questione come prodotto nel luogo in cui si trovano i beni amministrati e l'impresa viene gestita (ossia all'estero), e lo esonera pertanto dall'imposizione tributaria italiana. Naturalmente la ponderazione delle diverse esigenze da soddisfare può portare il legislatore ad opposte determinazioni ed é significativo in proposito il già richiamato d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, il quale ha lasciato ferma la regola generale della precedente disciplina (artt. 3 d.P.R. n. 599 del 1973 e 19 n. 5 d.P.R. n. 597 del 1973), ma vi ha introdotto una deroga limitata ai redditi specificati nell'art. 31, secondo comma, n. 9, comprendente principalmente le royalties o redevances: deroga dovuta all'andamento del mercato internazionale del settore, divenuto fortemente competitivo, per cui la precedente disciplina di esonero delle imprese straniere si rivelava ormai eccessivamente dannosa per i nostri operatori economici. E merita di essere notata la cautela con cui in proposito ha agito il legislatore stesso, il quale ha disposto una lunga vacatio della nuova normativa (il cit. art. 31 si applica, secondo l'art. 45 dello stesso d.P.R., a decorrere dal 1ø gennaio 1982), all'evidente scopo di non apportare bruschi mutamenti alle pratiche del commercio estero e di porre, per contro, gli operatori stranieri in grado di acquisire tempestivamente la conoscenza delle norme sopravvenute, onde potersi consapevolmente orientare.

Deve perciò dirsi, in conclusione, che entrambe le questioni non sono fondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, che rinvia agli artt. 19 n. 5 e 49, terzo comma, lett. b, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, sollevate in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost. dalla Commissione tributaria di secondo grado di Milano con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: SAJA

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE