Sentenza n.208 del 1987

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SENTENZA N. 208

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 53, 62 e 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con ordinanze emesse l'8 giugno 1983 dal magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Trento, il 4 aprile 1984 dal Pretore di Menaggio (n. 7 ordinanze), il 29 settembre 1984 dal magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Siracusa, il 9 ottobre 1984 dal Pretore di Menaggio, il 10 novembre 1984 dal Pretore di Pietrasanta (n. 2 ordinanze), il 13 ottobre 1984 dal magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pavia, il 15 marzo 1985, il 4 aprile 1985 (n. 2 ordinanze) e il 18 aprile 1985 (n. 6 ordinanze) dal magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Siracusa e il 18 novembre 1985 dal Pretore di Menaggio, rispettivamente iscritte al n. 881 del registro ordinanze 1983, ai nn. 965, 966, 967, 968, 969, 970, 971, 1227, 1240, 1382 e 1383 del registro ordinanze 1984, ai nn. 236, 275, 342, 343, 413, 414, 415, 416, 417 e 418 del registro ordinanze 1985 e al n. 16 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 67 e 348 dell'anno 1984, nn. 68-bis, 71-bis, 107-bis, 113-bis, 173-bis, 214-bis, 244-bis e 287- bis dell'anno 1985 e n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1986;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'Udienza pubblica del 7 aprile 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo;

Udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - I magistrati di sorveglianza presso i Tribunali di Trento e Pavia, nonché i Pretori di Menaggio e di Pietrasanta hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 62, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, in riferimento all'art. 25 Cost., nella parte in cui il detto articolo non precostituisce il magistrato di sorveglianza competente a determinare le modalità di esecuzione della libertà controllata o della semidetenzione, quando il condannato non risiede nel territorio della Repubblica italiana.

La questione é stata sollevata dal magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Trento con ordinanza 8 giugno 1983 (n. 881 reg. ord. 1983), da quello presso il Tribunale di Pavia con ordinanza 13 ottobre 1984 (n. 236 reg. ord. 1985), dal Pretore di Menaggio con nove ordinanze emesse rispettivamente, sette il 4 aprile 1984 (nn. 965-971 reg. ord. 1984), una il 9 ottobre 1984 (n. 1240 reg. ord. 1984) ed altra il 18 novembre 1985 (n. 16 reg. ord. 1986), dal Pretore di Pietrasanta con due ordinanze datate 10 novembre 1984 (nn. 1382 e 1383 reg. ord. 1984). Tali provvedimenti sono stati emanati dai magistrati di sorveglianza in sede di determinazione delle modalità esecutive della semidetenzione o della libertà controllata, e dai Pretori a seguito della dichiarazione di incompetenza dei giudici di sorveglianza alla determinazione delle modalità stesse relative a sanzioni sostitutive disposte dai pretori.

Nel merito osservano i giudici rimettenti che la normativa prevista dall'art. 62 della legge 24 novembre 1981, n. 689, identifica il giudice competente, alla determinazione delle modalità di esecuzione della sanzione sostitutiva, nel magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato. Stante tale esclusiva previsione, verrebbe a profilarsi un contrasto fra l'art. 25 della Costituzione e l'art. 62 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui questo non identifica il magistrato di sorveglianza competente per i procedimenti conseguenti ad una sentenza di condanna alla libertà controllata di persona non residente nel territorio italiano.

Quand'anche, infatti, il condannato residente all'estero avesse eletto domicilio in Italia, ciò non varrebbe ad attribuire la competenza, se non in violazione dell'art. 25 della Costituzione, che presuppone la precostituzione nella legge del giudice competente e non sulla base di elezione di domicilio ad opera dello stesso interessato. Né sarebbe possibile applicare l'art. 66 della legge citata, che consegue alla violazione delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione o alla libertà controllata; nel caso di specie, infatti, non vi potrebbe essere violazione di prescrizioni non ancora imposte.

In questo modo l'art. 62 della legge finirebbe per negare la giurisdizione italiana in tutte le ipotesi in cui il sottoposto alle dette misure non risieda nel territorio dello Stato. Né potrebbe ritenersi che le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi siano applicabili esclusivamente ai residenti in Italia, senza incorrere nel contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

D'altra parte, se é vero che l'indicazione del magistrato di sorveglianza competente in quello del luogo di residenza del condannato risponde all'esigenza di identificare un organo che, per essere presente nel luogo di rilevazione dei fattori comportamentali ed ambientali, appare il più idoneo allo scopo, ne conseguirebbe l'inapplicabilità in via analogica almeno di quelle norme generali, in tema di competenza per territorio, che dalla rilevata esigenza prescindono.

Parimenti - secondo i primi giudici - non si potrebbe interpretare analogicamente il disposto dell'art. 635 c.p.p. (concernente la competenza del magistrato di sorveglianza per l'applicazione di misure di sicurezza fuori dell'istruzione o del giudizio) perché anche in quel caso si presuppone che la persona sottoposta o da sottoporre alla misura di sicurezza si trovi nel territorio dello Stato italiano, e perché, soltanto quando sia ignoto il luogo in cui la persona si trova, si prendono in considerazione criteri subordinati.

Si osserva, infine, che anche l'art. 4 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423 fa riferimento esclusivo alla dimora del soggetto ai fini della determinazione della competenza per territorio in materia di misure di prevenzione.

2. - Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.

Secondo l'Avvocatura, invero, la lacuna contenuta nell'art. 62 della legge n. 689/1981 potrebbe essere colmata facendo ricorso ai principi generali in materia di esecuzione penale. Sulla base di tali principi - ed in particolare degli artt. 577 e 582 c.p.p. - la competenza dovrebbe essere attribuita al magistrato di sorveglianza del luogo in cui si trova il giudice che ha pronunziato la sentenza di condanna, o, in caso di cumulo, l'ultima sentenza di condanna.

Non sussiste, di conseguenza, il contrasto tra la disciplina in questione ed il principio costituzionale del giudice naturale rilevato dai giudici a quibus.

Il ricorso a siffatto sistema di interpretazione, anche se lo si volesse intendere come interpretazione analogica, sarebbe perfettamente lecito nel sistema processuale penale italiano, dove non vige la regola propria del diritto penale sostantivo (divieto di analogia in malam partem).

3. - Un pò diversa, perché incide più a monte, ma uguale nel problema di fondo, la questione sollevata con 9 ordinanze dal magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Siracusa. Questi, ritenuta la propria competenza "in virtù dell'applicazione analogica del secondo comma dell'art. 635 c.p.p.", ha dubitato della legittimità costituzionale degli art. 53 e 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non escludono l'applicazione della sanzione della libertà controllata nei confronti di condannati irreperibili o non residenti di fatto nel territorio italiano, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Si tratta di cinque ordinanze emesse una il 29 settembre 1984 (n. 1227 reg. ord. 1984), una il 15 marzo, due il 4 aprile 1985 (nn. 342 e 343 1985) e cinque il 18 aprile 1985 (dal n. 414 al 418 reg. ord. 1985) in sede di determinazione delle modalità di esecuzione della libertà controllata disposta dal pretore nei confronti di condannati irreperibili, e presumibilmente non residenti di fatto in Italia.

Rilevano in proposito le ordinanze che le modalità di esecuzione della libertà controllata non possono essere concretamente determinate nei confronti di soggetti irreperibili, poiché il contenuto precettivo di tale sanzione, previsto dall'art. 56 della l. 24 novembre 1981 n. 689, presuppone l'esistenza di un collegamento stabile e certo del condannato con l'ambiente sociale in cui deve reinserirsi e tale collegamento manca nell'ipotesi in cui la sanzione della libertà controllata deve essere eseguita nei confronti di un soggetto irreperibile.

La libertà controllata, infatti, - sostiene il giudice rimettente - si caratterizza per l'assoluta mancanza di una componente custodiale, presente invece nella sanzione della semidetenzione, e si articola in una serie di prescrizioni, di "controllo" (art. 56 nn. 2 e 6 l. 689/1981) ed "interdittive" (art. 50 nn. 1, 3, 4 e 5 l.689/1981), finalizzate a stimolare un contatto fra il condannato e l'ambiente sociale in cui deve reinserirsi. Molte, però, delle suddette prescrizioni sarebbero prive di senso se riferite a soggetti irreperibili. Infatti, non si vede come possa imporsi ad un condannato, di cui non si conosce il luogo di effettiva residenza, il divieto di allontanarsi dal territorio di un Comune che non sarebbe neppure concretamente individuabile da parte del magistrato di sorveglianza competente, se non attraverso scelte arbitrarie, non adeguate rispetto alle finalità tipiche della sanzione prevista dall'art. 56 l. 689/1981.

Né sarebbe ammissibile che le prescrizioni inerenti alla libertà controllata possano essere comunque determinate con riferimento ad un Comune discrezionalmente scelto dal giudice. In tal caso, infatti, il magistrato di sorveglianza, anziché individualizzare le prescrizioni, adeguandole alle esigenze lavorative e di reinserimento sociale del condannato, finirebbe per imporre a quest'ultimo, attraverso una scelta inevitabilmente arbitraria, l'obbligo di inserirsi in un contesto sociale assolutamente estraneo.

Sulla base delle suddette argomentazioni ritengono le ordinanze che l'esecuzione della libertà controllata nei confronti di condannati irreperibili integri una palese disparità di trattamento di questi ultimi rispetto alla generalità dei condannati, in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. É, infatti, evidente - si sostiene - che, se fosse il magistrato a scegliere il Comune, il divieto di allontanarsi si risolverebbe in una sorta di soggiorno obbligato, estraneo alle finalità di reinserimento sociale perseguite attraverso la sanzione della libertà controllata.

4. - Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte Costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Si rileva, in primo luogo, che le norme denunciate non sono quelle che il giudice rimettente é chiamato ad applicare. Il provvedimento di conversione, assunto ai sensi degli artt. 53 e 102 della l. 689 del 1981 e degli artt. 136 c.p. e 586 c.p.p. dalla competente autorità, costituisce non l'oggetto ma il presupposto dell'attività del magistrato di sorveglianza, che é chiamato ad applicare la ben diversa norma di cui all'art. 62 della legge n. 689 del 1981. La questione prospettata, perciò, non riguarda la legittimità costituzionale delle norme impugnate, salvo che irrazionalmente non si identifichi incostituzionalità di una norma ordinaria con impossibilità di applicazione in un caso concreto. Nel qual caso si dovrebbe ritenere viziato d'illegittimità costituzionale l'ordine di cattura che restasse ineseguito nei confronti di un irreperibile.

Né maggior pregio avrebbero le altre argomentazioni delle ordinanze. Se é vero, infatti, che la normativa in parola si propone il reinserimento sociale del condannato nel suo ambiente, sì che, a tal fine, viene in rilievo la residenza di fatto nel territorio della Repubblica, é anche vero, però, che la norma é suscettibile di ragionevole applicazione anche ai casi limite. Quando si verifichi, infatti, il rientro in Italia ed il reperimento del condannato, il momento della concreta inapplicabilità della norma viene meno perché di regola si ristabilisce o si stabilisce quella residenza di fatto che consente una corretta applicazione delle prescrizioni previste dall'art. 56.

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze sollevano la medesima questione di fondo, anche se alcune - come quelle del giudice di sorveglianza di Siracusa - impugnano norme diverse riferendole ad altro parametro. Gli incidenti possono, perciò, essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - In buona sostanza, i giudici rimettenti lamentano l'impossibilità di dare applicazione all'art. 62, primo co., della l. n. 689 del 1981 quando il condannato sia irreperibile o addirittura non risieda nel territorio della Repubblica: e ciò perché la legge precostituisce il magistrato che deve determinare le modalità di esecuzione delle misure sostitutive principali nel giudice di sorveglianza del luogo dove il condannato ha la sua residenza. Ma se questa non esiste, perché il condannato é irreperibile o residente all'estero, non si può ricorrere ad espedienti diversi, nemmeno se il condannato avesse eletto un domicilio dove, però, in realtà non risiede. Quelle misure sostitutive della pena, infatti, sono legate al reinserimento sociale del condannato nel luogo dove é la sua famiglia e il suo lavoro, non in un qualsiasi posto fittizio o ideale. Né potrebbe il giudice dell'esecuzione scegliere di sua iniziativa un Comune qualsiasi a sua discrezione, perché creerebbe così una specie di domicilio coatto violando lo spirito della legge, e sopratutto violando l'art. 25 Cost. che esige la precostituzione ex lege del giudice.

Si chiede, perciò, che la Corte dichiari l'illegittimità dell'art. 62 legge citata, nella parte in cui non precostituisce il magistrato di sorveglianza anche per le ipotesi segnalate.

Il giudice di sorveglianza di Siracusa parte, a sua volta, in buona sostanza, dalle stesse premesse, benché preferisca, poi, una soluzione più radicale. Egli ritiene, infatti, che la lacuna possa essere colmata intervenendo a monte, e cioè vietando addirittura al giudice di cognizione di applicare la sanzione sostitutiva della libertà controllata ai condannati irreperibili o non residenti di fatto nella Repubblica, per non creare disparità di trattamento. E perciò impugna gli artt. 53 e 102 della legge, con riferimento all'art. 3 Cost.

3. - Ma nelle tante pagine di motivazione delle ordinanze espresse dai giudici rimettenti s'annida un vizio di fondo del ragionamento.

Non si tiene conto, infatti, che la determinazione delle modalità esecutive delle sanzioni sostitutive in parola non é che uno dei momenti della fase di esecuzione della sentenza di condanna. Il giudice di sorveglianza del luogo dove il condannato ha la residenza, pertanto, non é il giudice dell'esecuzione, ma soltanto, un magistrato che interviene successivamente, ed eventualmente, nel corso dell'esecuzione stessa, se ed in quanto ad esecuzione si debbano portare le misure sostitutive decise dal giudice di cognizione.

Ma il magistrato dell'esecuzione esiste sempre, perché la legge lo indica nel "pubblico ministero presso la Corte o il Tribunale che ha emesso il provvedimento", oppure nel Pretore che "fa eseguire i suoi provvedimenti" (art. 577 cod. proc. pen.). Difatti l'art. 62 impugnato fa puntualmente riferimento al pubblico ministero o al Pretore "competente per l'esecuzione", avvertendo che saranno sempre questi a trasmettere l'estratto della sentenza di condanna, alla semidetenzione o alla libertà controllata, al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato per la determinazione delle modalità di esecuzione della pena.

É evidente, però, che per trasmettere l'estratto al detto giudice, il magistrato dell'esecuzione deve prima accertare la residenza del condannato. Se questi già dagli atti del processo risulta irreperibile o residente all'estero, richiederà nuove indagini all'Autorità di pubblica sicurezza: quella stessa che dovrebbe eseguire l'ordine di carcerazione se si trattasse di pena detentiva, e che comunque dovrebbe ricercare il condannato per dare inizio alla semidetenzione: vale a dire, l'Autorità di pubblica sicurezza del luogo dove ha sede il magistrato dell'esecuzione.

Se, invece, l'irreperibilità o la residenza all'estero risultassero soltanto nella fase esecutiva, il giudice di sorveglianza del luogo di residenza del condannato, accertata l'irreperibilità, restituirà l'estratto della sentenza al magistrato dell'esecuzione, segnalando la nuova situazione: e questi disporrà le indagini del caso.

Ma, nell'una come nell'altra ipotesi, non sorge alcun problema di identificazione del giudice di sorveglianza, perché fino a quando non si ritrova il condannato su cui le misure sostitutive devono essere in concreto eseguite, é ovvio che non possono e non debbono essere determinate le loro modalità di esecuzione. E ciò proprio per le ragioni indicate dai giudici rimettenti, i quali hanno correttamente posto in luce lo stretto collegamento esistente fra quelle misure e l'ambiente sociale in cui abitualmente vive il condannato.

Quando poi il condannato fosse ritrovato sul territorio della Repubblica o rientrasse in Italia dall'estero, sarà egli stesso a fissare la sua effettiva residenza: col che automaticamente sarà identificato il giudice di sorveglianza competente a determinare le modalità esecutive delle misure.

Fino a quel momento, ci sarà soltanto una sentenza di condanna non ancora concretamente eseguibile, come in tutti i casi in cui il condannato é introvabile: ma c'é sempre il magistrato dell'esecuzione che la tiene in evidenza, almeno fino ai limiti temporali della prescrizione, pronto ad eseguirla non appena se ne verifichino le condizioni favorevoli, nei modi previsti dall'art. 62 della legge.

Quanto, infine, alla questione sollevata dalle ordinanze del giudice di Siracusa, esse pure trovano risposta nel quanto fin qui si é detto. Non sarebbe, infatti, conforme ai principi vietare al giudice di cognizione di applicare la legge in tutta la sua estensione, solo perché l'imputato risulta irreperibile: così come non gli si fa divieto di concedere, nelle stesse condizioni, il minimo della pena o circostanze attenuanti o benefici di legge magari subordinati a talune condizioni. Il problema, infatti, delle modalità esecutive riguarda altra fase del giudizio, e non deve limitare i poteri ed il libero convincimento del giudice di cognizione: sarà questi, infatti, eventualmente a decidere, in sua discrezione, se ritenga che quella certa irreperibilità renda immeritevole il giudicando di sanzioni sostitutive della pena. Né, d'altra parte, la proposta del giudice di Siracusa risolverebbe del tutto il problema, dato che l'irreperibilità può anche manifestarsi soltanto nella fase esecutiva.

Detto questo, però, é pure evidente che - come bene ha rilevato l'Avvocatura - il giudice di sorveglianza di Siracusa non aveva alcun potere di impugnare gli artt. 53 e 102 della legge che restano fuori della sua competenza, in quanto riguardano appunto l'ambito del giudizio di cognizione. Egli, in realtà, doveva applicare, così come gli altri rimettenti, soltanto l'art. 62 della legge: e perciò ogni ragionamento sugli artt. 53 e 102 era, per la specie a lui sottoposta, irrilevante.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi tutti, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 53 e 102 della l. 24 novembre 1981, n. 689, sollevata con ord. 29 settembre 1984 (n. 1227/84), con ord. 15 marzo 1985 (n. 275/85), con due ordinanze 4 aprile 1985 (nn. 342 e 343/85), e con sei ordinanze 18 aprile 1985 (dal n. 413 al 418 compreso del 1985) dal giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Siracusa, in riferimento all'art. 3 Cost.

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 62, primo co., della l. 24 novembre 1981, n. 689, sollevata dal giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Trento con ord. 8 giugno 1983 (n. 881/1983), dal giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Pavia con ord. 13 ottobre 1984 (n. 236/1985), dal Pretore di Menaggio con sette ordinanze datate 4 aprile 1984 (dal n. 965 al n. 971 compreso del 1984), con altra 9 ottobre 1984 (n. 1240/1984), e con altra ancora datata 18 novembre 1985 (n. 16/1986), e dal Pretore di Pietrasanta con due ordinanze datate 10 novembre 1984 (nn. 1382 e 1383/1984): tutte con riferimento all'art. 25 Cost.

Così deciso in Roma, in udienza pubblica, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE