Sentenza n.206 del 1987

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SENTENZA N. 206

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167 (Modificazioni al Codice penale militare di pace ed al Codice penale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 febbraio 1985 dal Tribunale militare di Bari, nel procedimento penale a carico di Russo Angelo, iscritta al n. 264 del registro ordinanze del 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 196- bis dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa l'11 aprile 1986 dal Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di Di Mezza Carmelo, iscritta al n. 514 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

3) ordinanza emessa il 16 aprile 1986 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Possamai Primo ed altro, iscritta al n. 543 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 7 aprile 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Russo Angelo, imputato avanti al Tribunale militare di Bari del reato di abbandono di posto da parte di militare in servizio, la difesa eccepiva il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria militare, sussistendo connessione teleologica del reato militare con il reato di furto comune.

Il Tribunale militare, "rilevato che, effettivamente, nel caso in esame, si può ravvisare una connessione di procedimenti, come prospettato dalla difesa, e che, nei casi preveduti dal comma primo dell'art. 264 c.p.m.p. modificato dall'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167, a norma del secondo comma dello stesso articolo di legge, é competente per tutti i procedimenti l'Autorità giudiziaria ordinaria", con ordinanza del 28 febbraio 1985 ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 103, terzo comma, della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 264 del codice penale militare di pace, come sostituito dall'art. 8 della legge n. 167 del 1956.

La censura prende le mosse dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 9 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, pronunciata con sentenza n. 222 del 1983. Secondo il giudice a quo, la carenza di un'adeguata giustificazione per la deroga alla generale competenza del tribunale per i minorenni, che determinò la Corte a dichiarare illegittima la detta norma, trascinerebbe in analoga dichiarazione di illegittimità la norma ora impugnata che sottrae, in caso di connessione, "alla giurisdizione militare la competenza attribuita ai Tribunali militari in tempo di pace, dall'art. 103, ultimo comma, della Costituzione".

Richiamato il n. 17 del disegno di legge delega per il nuovo codice penale militare di pace "dettato in attuazione dell'art. 103, ultimo comma, della Costituzione", il giudice a quo rileva che, pur non configurando l'indicato precetto costituzionale una riserva di giurisdizione a favore dei tribunali militari (v. sentenza n. 29 del 1958), "si appalesa necessario riesaminare la legittimità costituzionale" della norma impugnata. E ciò anche perché il processo penale militare é stato mantenuto nell'ordinamento costituzionale per la "particolare peculiarità dei reati militari che richiedono una speciale composizione del collegio giudicante e pure in considerazione che la pena militare differisce dalla pena comune".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 196- bis del 21 agosto 1985.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Dopo aver ricordato le sentenze costituzionali n. 29 del 1958, n. 196 del 1976, n. 73 del 1980 e n. 81 del 1980 relative alla legittimità dell'art. 264 del codice penale militare di pace, rileva l'Avvocatura che nessun argomento decisivo perché la Corte debba ritenere illegittima la norma impugnata può essere tratto dall'iniziativa legislativa di modifica del codice penale militare di pace e dalla dichiarazione di illegittimità dell'art. 9 del regio decreto-legge n. 1404 del 1934.

Quanto alla prima, si tratterebbe pur sempre di una scelta legislativa non coinvolgente, come tale, la legittimità della precedente disciplina.

Quanto alla seconda - che, peraltro, realizza un'istanza manifestatasi quando già la Corte si era pronunciata per la legittimità dell'art. 264 del codice penale militare di pace - risulterebbe evidente l'esigenza di tutela del minore, "quale interesse di rilevanza nettamente superiore", e della istituzione di un giudice specializzato per gli imputati minorenni: esigenza non certo presente per la giurisdizione militare, nei confronti della quale il rispetto dei limiti ordinari della giurisdizione non assurge a livello di interesse costituzionalmente garantito. Il che non fa ritenere irragionevole o non più attuale il regime ora previsto dall'art. 264 del codice penale militare di pace.

2. - Nel corso del procedimento penale a carico di Di Mezza Cornelio, il Tribunale militare di Torino, su eccezione del pubblico ministero, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, e 103, ultimo comma, della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167, che ha sostituito l'art. 264 del codice penale militare di pace, nella parte in cui dispone che nei casi di connessione teleologica fra reati comuni e reati militari previsti dal primo comma dello stesso articolo, tutti i procedimenti sono di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria.

Richiamata la giurisprudenza costituzionale sull'art. 103, terzo comma, della Costituzione, in quanto da essa si trarrebbe il principio che se, da un lato, il precetto costituzionale pone un limite massimo alla giurisdizione del giudice militare in tempo di pace, dall'altro non vieta al legislatore di scendere al di sotto di tale limite, riducendo ulteriormente la competenza del giudice militare, il giudice a quo rileva che recentemente il legislatore, proprio seguendo la linea interpretativa tracciata dalla Corte, per un verso, con la smilitarizzazione dei controllori di volo e degli appartenenti al Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, ha ristretto la categoria degli appartenenti alle Forze armate e, per un altro verso, estendendo l'applicabilità della legge penale militare ai soggetti ammessi a prestare servizio sostitutivo civile e creando le nuove ipotesi di reato militare di rifiuto del servizio militare di leva e di rifiuto del servizio militare non armato, ha ampliato sia la categoria delle persone assoggettate alla legge penale militare sia la categoria dei reati militari.

Tutto ciò, se fa ritenere che il legislatore possa "tutelare penalmente interessi militari emergenti, denegare tutela sotto il profilo della sanzione penale militare a interessi non più rilevanti per le Forze Armate, inserire o escludere determinati soggetti dalle Forze Armate", implica, però, che tali modificazioni si ricolleghino agli interessi ed ai fini delle Forze Armate, derivandone, altrimenti, sul piano sostanziale, violazione del principio di ragionevolezza e sul piano processuale, oltre che violazione dello stesso principio, anche violazione del principio del giudice naturale "quando i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate vengano sottratti alla competenza del giudice militare".

E, se é vero che la Corte costituzionale ha negato l'"esclusività" della giurisdizione militare, il giudice a quo propone una "rilettura" di questa giurisprudenza, indicando nell'avverbio "soltanto" adottato nell'art. 103, ultimo comma, della Costituzione, un'espressione meramente rafforzativa della differente disciplina prevista per il tempo di pace rispetto a quella prevista per il tempo di guerra. Donde il corollario che il legislatore non sarebbe abilitato ad intervenire devolvendo all'autorità giudiziaria ordinaria "l'intera competenza in materia di reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate" perché ciò legittimerebbe "l'abrogazione implicita ad opera del legislatore ordinario - per svuotamento dall'interno - dei tribunali militari". Se poi, come sostiene una parte della dottrina, "precostituzione" e "naturalità" sono espressione di due diversi princìpi - l'una tendente a garantire la certezza, l'altra l'indipendenza, l'imparzialità, la competenza, l'idoneità, la specializzazione del giudice - si dovrebbe, a fortiori, affermare che l'art. 103, terzo comma, della Costituzione "prevede una sfera di giurisdizione esclusiva ai tribunali militari, competenti a giudicare, in tempo di pace, i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate": ciò proprio perché il precetto costituzionale implica una valutazione di speciale idoneità del giudice e, quindi, di "naturalità", sottratta, come tale, alle successive scelte del legislatore.

Il giudice a quo richiama, poi, la sentenza costituzionale n. 222 del 1983, con la quale la Corte dichiarò l'illegittimità dell'art. 9 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, nella parte in cui sottraeva alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti penali a carico di minori coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso reato, affermando come anche in quella sede, pur senza pronunciarsi espressamente sulla "naturalità" del giudice, ma facendo ricorso ai princìpi della parità di trattamento e della ragionevolezza, la Corte ebbe ad applicare sostanzialmente il principio del giudice naturale.

Analoghe conclusioni si imporrebbero con riguardo alla norma ora impugnata, la quale "immotivatamente deroga ai princìpi del giudice naturale, della conservazione dei tribunali militari quali organi di giurisdizione speciale ai quali necessariamente deve rimanere attribuita, in tempo di pace, una giurisdizione esclusiva per i reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze Armate, e, infine, del più generale principio di ragionevolezza".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 47, 1ø serie speciale, del 1986.

In questo giudizio non si é costituita la parte privata né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - Un'analoga questione ha sollevato anche il Tribunale militare di Padova nel corso del procedimento penale a carico di Possamai Primo e di Dal Bello Angelino, denunciando, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione, l'art. 264 del codice penale militare di pace, nella parte in cui dispone che nei casi di connessione teleologica fra reati comuni e reati militari previsti dal primo comma dello stesso articolo, tutti i procedimenti sono di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria.

Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato per l'ingiustificata disparità di trattamento fra la situazione del militare sottoposto per il reato militare al giudizio specializzato del tribunale militare ed il militare che, pur accusato dello stesso reato militare, viene sottratto al giudizio specializzato del tribunale militare a causa della connessione del reato militare con un reato comune (pure il giudice a quo richiama, sul punto, la sentenza costituzionale n. 222 del 1983).Vi sarebbe anche violazione del principio del giudice naturale e delle regole sulla cognizione dei tribunali militari in tempo di pace, sia nel senso che l'art. 103, terzo comma, della Costituzione attribuisce direttamente al giudice militare la competenza a conoscere dei reati militari commessi da appartenenti alle forze armate, sia nel senso che, stando al precetto contenuto nella norma impugnata, "l'imputato può deliberatamente sottrarsi o altri possono intenzionalmente sottrarlo al giudizio del Tribunale militare, giudice naturale precostituito per legge".

Senza contare che la deroga alla giurisdizione militare prevista dall'art. 264, primo comma, del codice penale militare di pace "genera disposizioni forse ancor più in contraddizione con i princìpi stessi", quali il secondo ed il terzo comma del medesimo art. 264.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59, 1ø serie speciale, del 1986.

Nemmeno in questo giudizio si é costituita alcuna delle parti private né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Le tre ordinanze dei Tribunali militari di Bari, di Torino e di Padova sollevano questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente coincidenti: i relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Tutte le ordinanze hanno per oggetto l'art. 264 del codice penale militare di pace, nel testo sostituito ad opera dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167. La norma risultante da tale sostituzione contrasterebbe con gli artt. 3, 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, per il fatto di riconoscere operante, sia pur solamente in alcune ipotesi, la connessione "tra i procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria e i procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria militare", rendendo "competente per tutti i procedimenti l'autorità giudiziaria ordinaria", con conseguente sottrazione dei procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria militare al giudice militare, salva solo l'eventualità che la Corte di cassazione abbia ad ordinarne la separazione.

3. - Poiché il testo in questione é già stato più volte sottoposto, per intero o in singole parti, al vaglio di questa Corte, con vario riferimento agli stessi parametri ora congiuntamente richiamati (v. le sentenze n. 29 del 1958, n. 196 del 1976, n. 73 e n. 81 del 1980, tutte nel senso della non fondatezza, a prescindere da un caso di inammissibilità), era inevitabile che nelle ordinanze di rimessione trovassero spazio anche argomentazioni ripetutamente disattese. Tale é il caso sia dell'asserita non giustificabilità del diverso trattamento che rispetto alla "situazione del militare sottoposto per il reato militare al giudizio specializzato" viene riservato alla "situazione del militare che, pur accusato dello stesso reato militare, al giudizio specializzato é sottratto a causa della connessione con un reato comune" (reg. ord. n. 543 / 1986); sia della tesi che vorrebbe intendere il termine "soltanto" nell'art. 103, terzo comma, della Costituzione "come meramente rafforzativo della differente disciplina prevista per il tempo di pace rispetto a quella per il tempo di guerra" (reg. ord. n. 514/1986); sia dell'opinione secondo cui "la precostituzione del giudice... non si risolve nella naturalità, che riguarda altri valori quali l'indipendenza, l'imparzialità, la competenza, l'idoneità, la specializzazione del giudice, ecc." (reg. ord. n. 514/1986).

Ciononostante, non si può addivenire ad una pronuncia di manifesta infondatezza, data la concomitante prospettazione delle relative questioni sotto un profilo interamente nuovo: i giudici remittenti si richiamano, infatti, alla ratio decidendi posta a base della sentenza n. 222 del 1983, che, facendo particolare riferimento all'art. 3 della Costituzione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito con modificazioni nella legge 27 maggio 1935, n. 835, "nella parte in cui sottrae alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti penali a carico di minori coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso reato".

Si tratta della ratio decidendi racchiusa nella duplice constatazione che "la sopravvenuta evoluzione dell'ordinamento processuale penale dimostra chiaramente come in esso, a seguito delle apportate modifiche, il timore del possibile conflitto di giudicati per effetto della separazione dei procedimenti, timore che é alla base del ricorso al processo cumulativo, più non prevalga necessariamente su altre esigenze parimenti meritevoli di tutela" e che "in contrapposizione alla accennata esigenza, cui la contestata deroga intende sopperire, si pone, con rilievo che la Corte riconosce preminente, la finalità perseguita con la istituzione di un giudice specializzato per gli imputati minorenni", così da far risultare "la residua deroga alla generale competenza del tribunale per i minorenni... ormai carente di adeguata giustificazione". Ad avviso dei giudici a quibus, di tale ratio decidendi dovrebbe farsi applicazione anche nei confronti dell'art. 264 del codice militare di pace, stante l'analogia riscontrabile tra la situazione in cui si trovavano gli imputati minori degli anni diciotto quando dovevano rispondere di un reato commesso in concorso con imputati maggiorenni e la situazione in cui si trovano gli appartenenti alle Forze armate quando devono rispondere di un reato militare connesso, a norma dell'art. 264, primo comma, con un reato comune.

La carenza di una valida ragione giustificatrice anche per la deroga così apportata alla giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace ne farebbe apparire evidente il contrasto non soltanto con l'art. 3, ma altresì con gli artt. 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione.

4. - Le questioni non sono fondate.

Pur essendo pacifico che con l'art. 264 del codice penale militare di pace, allo stesso modo di quanto avveniva con la parte dell'art. 9 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404,da ultimo caducata, il legislatore ha inteso darsi carico dell'esigenza del simultaneus processus (v. le sentenze n. 130 del 1963, n. 10 del 1966, n. 196 del 1972, n. 73 del 1980), é da ritenersi altrettanto incontestabile che, nel confronto con tale esigenza, la finalità perseguita attraverso l'istituzione in tempo di pace di un giudice speciale per gli appartenenti alle Forze armate autori di reati militari non viene a porsi sullo stesso piano di preminenza riconosciuto da questa Corte alla "finalità perseguita con l'istituzione di un giudice specializzato per gl'imputati minorenni" (v. la sentenza n. 222 del 1983).

Al riguardo, non si può non ribadire come in nessun caso l'esigenza del simultaneus processus sia in grado di pregiudicare quella "protezione della gioventù", che trova il suo fondamento nel secondo comma dell'art. 31 della Costituzione: é proprio l'interesse costituzionalmente garantito alla "tutela dei minori" (v. le sentenze n. 25 del 1964, n. 46 del 1978, n. 16 e n. 17 del 1981) che porta ad annoverare il tribunale per i minorenni tra quegli "istituti" dei quali la Repubblica deve favorire lo sviluppo ed il funzionamento, in vista soprattutto - almeno per quanto più specificamente attiene al settore penale - dell'essenziale finalità costituita dal "recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale" (v. la sentenza n. 222 del 1983).

Per i tribunali militari in tempo di pace, invece, questa Corte ne ha sempre inteso la giurisdizione "come una giurisdizione eccezionale, circoscritta entro limiti rigorosi" (v. le sentenze n. 29 del 1958, n. 48 del 1959, n. 81 del 1980, n. 112 e n. 113 del 1986) e, quindi, come una deroga alla giurisdizione ordinaria: "una deroga la cui eccezionalità é sottolineata, per giunta, dall'uso dell'avverbio "soltanto" nell'art. 103, terzo comma, della Costituzione, a conferma che la giurisdizione ordinaria é da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace, nel testo sostituito ad opera dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167 (Modificazioni al Codice penale militare di pace ed al Codice penale), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE