Sentenza n.205 del 1987

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SENTENZA N. 205

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 198, secondo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa l'11 febbraio 1980 dalla Commissione Tributaria Centrale di Roma sul ricorso proposto da Barzotti Augusto, iscritta al n. 840 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 56 dell'anno 1981;

Visto l'atto di costituzione dei Barzotti Augusto nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1987 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Commissione Tributaria Centrale con ordinanza in. data 11.2.1980 (reg. ord. n. 840/1980) solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 198, 2ø co., T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, il quale, nell'ipotesi di sgravio di un carico tributario non dovuto, ammette a rimborso anche gli aggi di riscossione, tranne che nei casi previsti dagli artt. 61 e 68, e - per effetto della sentenza n. 13 del 1970 di questa Corte - l'indennità di mora, e non la maggiorazione d'imposta per prolungata rateazione.

2. - Il signor Augusto Barzotti, a carico del quale era stata iscritta a ruolo a titolo provvisorio per gli anni 1964 e 1966 un'imposta di R.M. e complementare di (Lira Sterlina). 94.735.152, otteneva dall'Amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 184ter T.U. n. 645 del 1958, il prolungamento della rateazione ordinaria; di conseguenza, in applicazione dell'art. 184-quater dello stesso T.U., veniva iscritta a ruolo una maggiorazione d'imposta di (Lira Sterlina). 16.389.839.

Riconosciuta successivamente la parziale illegittimità dell'imposizione, l'Amministrazione stessa provvedeva, ex art. 198 T.U., a rimborsare o discaricare l'imposta non dovuta ((Lira Sterlina). 90.873.816) e la maggiorazione non ancora corrisposta ((Lira Sterlina). 5.637.120), mentre rifiutava di procedere al rimborso della maggiorazione d'imposta per prolungata rateazione già pagata dal contribuente ((Lira Sterlina). 10.752.719).

Il contribuente ricorreva allora alla Commissione Tributaria di I grado ed otteneva da questa il riconoscimento del proprio diritto. Nello stesso senso si pronunciava la Commissione Tributaria di II grado.

Avverso la decisione di quest'ultima il competente Ufficio delle Imposte dirette proponeva ricorso alla Commissione Tributaria centrale.

3. - A parere dell'Ufficio, la maggiorazione in questione (secondo un'interpretazione costantemente seguita in sede ministeriale) avrebbe natura di corrispettivo della dilazione di pagamento voluta e fruita dal contribuente, e ciò indipendentemente dalla legittimità o meno della imposizione del tributo per il quale la dilazione é concessa. Di conseguenza, la stessa maggiorazione, come compenso di un beneficio effettivamente goduto dal contribuente, non dovrebbe essere rimborsata in caso di sgravio del tributo medesimo.

Né, sempre ad avviso del ricorrente, ci sarebbe luogo a distinguere tra tale "maggiorazione d'imposta" ex art. 184-quater del T.U. del 1958 (applicabile ratione temporis al caso di specie) e gli "interessi" che l'art. 21 del d.P.R. n. 602 del 1973, ora vigente, pone a carico del contribuente per la prolungata rateazione; la differenza sarebbe meramente terminologica, identica restando la loro disciplina sostanziale e dunque la loro natura compensativa.

Con una nota aggiuntiva al ricorso, l'Ufficio poi fa richiamo alla sopravvenuta Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 15/4785 dell'8.1.1979, la quale ribadisce il diniego di rimborso per gli interessi da prolungata rateazione, sulla base della considerazione per cui tra maggiorazione e interessi per ritardato rimborso dell'imposta non dovuta - che l'Amministrazione dovrebbe corrispondere al contribuente ex art. 44 d.P.R. del 1973 (già art. 199- bis T.U. del 1958) - "si crea una sostanziale compensazione, anche se aritmeticamente non perfetta".

Infine, sempre secondo l'Ufficio ricorrente, non sarebbe pertinente il richiamo, effettuato dal contribuente, alla sentenza n. 13 del 1970 di questa Corte che, nell'identico caso di sgravio di imposta non dovuta, ha dichiarato rimborsabile l'indennità di mora, dal momento che la maggiorazione d'imposta non sarebbe comparabile con quest'ultima.

4. - Il giudice a quo dichiara, innanzitutto, di non condividere la tesi del ricorrente sulla pretesa autonomia dell'obbligo della maggiorazione d'imposta, poiché invece quest'ultimo (al pari di quello, sostanzialmente identico, della corresponsione di "interessi", secondo la nuova disciplina del d.P.R. n. 602 del 1973) sarebbe in rapporto di necessaria derivazione rispetto all'iscrizione a ruolo del tributo.

Per altro verso, lo stesso giudice conclude per l'analogia tra maggiorazione e indennità di mora, argomentando che sia quest'ultima, sia la prima - una volta accordata la dilazione - avrebbero l'identica funzione di sospingere all'adempimento puntuale dell'obbligo tributario.

Né - sempre secondo il giudice a quo - avrebbe alcun pregio, per negare il diritto al rimborso della maggiorazione d'imposta, la pretesa "compensazione" tra interessi per prolungata rateazione e interessi dovuti dall'Amministrazione per il ritardato rimborso dell'imposta non dovuta. Anche a prescindere dalla effettiva equivalenza delle due somme nel caso di specie - peraltro non dimostrata dall'Amministrazione - l'istituto della compensazione non potrebbe comunque trovare applicazione dal momento che il credito vantato dall'Amministrazione stessa non sarebbe liquido ed esigibile, essendo contestato in giudizio dal contribuente.

Pur pervenendo al riconoscimento del diritto del contribuente, la Commissione Tributaria Centrale dichiara però di non poter procedere senz'altro alla reiezione del ricorso, poiché, a suo avviso, la dizione dell'art. 198, 2ø co., T.U. del 1958 impedisce di ricomprendere tra le "somme non dovute" soggette a sgravio anche la maggiorazione d'imposta per prolungata rateazione.

Pertanto, ritenutane la rilevanza - poiché il ricorso sarebbe da respingere nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata, da accogliere invece nell'ipotesi di pronunzia di rigetto - la Commissione solleva la questione di costituzionalità di tale disposizione, in riferimento all'art. 3 Cost.

Nel motivare la non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo - richiamando le considerazioni della sentenza costituzionale n. 13 del 1970 - così argomenta: la presunzione di legittimità degli atti amministrativi consente all'ufficio tributario di iscrivere a ruolo tributi in contestazione e di ottenerne coattivamente il pagamento perché in questa fase non ha rilievo la eventuale illegittimità del ruolo. Sopravvenuto il riconoscimento definitivo della illegittimità della iscrizione a ruolo, cade la originaria presunzione di legittimità e sarebbero da differenziare nettamente la posizione del contribuente che doveva il tributo e la posizione del contribuente che il tributo non doveva. Di conseguenza la legge dovrebbe consentire lo sgravio, a favore del secondo, e del tributo e degli oneri accessori connessi al tributo medesimo.

Tale conclusione - affermata da questa Corte in relazione all'indennità di mora - sempre secondo il giudice a quo, dovrebbe valere a maggior ragione per la maggiorazione per prolungata rateazione. Infatti l'indennità di mora e la maggiorazione disimpegnerebbero la medesima funzione; ne consegue che la disposizione impugnata introdurrebbe - nell'ipotesi di imposizione poi riconosciuta illegittima - anche una disparità di trattamento tra il contribuente che abbia ottenuto la dilazione di pagamento e il contribuente che, inadempiente alla scadenza, abbia corrisposto l'indennità di mora: a quest'ultimo infatti l'indennità sarebbe rimborsabile (a seguito della sentenza costituzionale n. 13 del 1970, ed ora dell'art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973) mentre al primo sarebbe negato il rimborso della maggiorazione, ancorché - sempre ad avviso del giudice a quo - tale maggiorazione abbia assorbito e surrogato l'indennità di mora.

5. - La parte privata, nelle proprie deduzioni, osserva che il principio posto a fondamento della sentenza n. 13 del 1970 di questa Corte per negare la legittimità dell'omessa previsione del rimborso dell'indennità di mora, deve valere a maggior ragione nel caso di maggiorazione di imposta per prolungata rateazione.

Infatti, a suo dire, l'indennità di mora é conseguente ad un ritardato pagamento e pertanto ad un comportamento illegittimo del contribuente. La maggiorazione ex art. 184-quater invece é conseguente ad un comportamento del tutto legittimo, essendo la dilazione di pagamento espressamente accordata dall'Amministrazione.

La stessa parte privata nega poi qualsiasi fondamento all'opinione dell'Amministrazione circa l'equivalenza aritmetica e la "compensazione" tra maggiorazione di imposta e interessi per ritardato rimborso dell'imposta non dovuta. Anche a prescindere dalla diversità qualitativa delle due entità, si tratterebbe comunque di somme niente affatto coincidenti, dal momento che, anche se calcolate secondo lo stesso importo percentuale, si riferiscono a periodi diversi: la maggiorazione, all'intervallo tra la scadenza dell'ultima rata ordinaria e quella dell'ultima rata dilazionata; l'interesse per ritardato rimborso, all'intervallo tra l'ultima rata pagata e la data dell'elenco di sgravio.

6. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di infondatezza della questione.

A sostegno di tale conclusione, l'Avvocatura fa leva principalmente sull'argomento della "compensazione" tra maggiorazione e interessi per ritardato rimborso dell'imposta non dovuta, richiamando a tal fine la circolare del Ministero delle Finanze n. 15/4785 dell'8.1.1979.

Il meccanismo qui suggerito, correttamente applicato, consentirebbe una sostanziale corrispondenza e compensazione tra i due crediti. Per il calcolo degli interessi per ritardato rimborso infatti il dies a quo non andrebbe identificato né nella data dell'effettivo pagamento né in quella di scadenza dell'eventuale prolungata rateazione, ma soltanto in quella di scadenza dell'ultima rata del ruolo secondo la ripartizione ordinaria. Dalla stessa data andrebbe computata anche la maggiorazione. I due periodi di riferimento sarebbero così coincidenti e sostanzialmente coincidenti sarebbero pure le somme relative. Di conseguenza, chi abbia pagato la maggiorazione per prolungata rateazione di un'imposta non dovuta non avrebbe a patire alcuno svantaggio patrimoniale, essendo la maggiorazione stessa compensata dagli interessi, di ammontare sostanzialmente equivalente.

Così impostata la questione, non esisterebbe dunque disparità di trattamento tra contribuenti, ammessi entrambi alla dilazione, di cui l'uno effettivamente debitore del tributo, e l'altro riconosciuto poi non debitore o debitore di un'imposta minore. In ambedue i casi é dovuta la maggiorazione, ma nel secondo caso (e non nel primo) quest'ultima sarebbe sostanzialmente neutralizzata dalla corresponsione degli interessi per il ritardato rimborso dell'imposta non dovuta a decorrere dalla scadenza ordinaria del ruolo.

Sul punto poi del confronto tra la situazione del contribuente che ha corrisposto la maggiorazione e quella del contribuente che ha pagato l'indennità di mora, l'Avvocatura insiste sulla disomogeneità delle due situazioni: le due entità infatti non sarebbero comparabili, dal momento che l'indennità di mora, a differenza della maggiorazione, avrebbe la natura di vera e propria sanzione.

Considerato in diritto

1. - La Commissione Tributaria Centrale, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 198, secondo comma, del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, in riferimento all'art. 3 Cost.

Questo articolo, dopo un primo comma - a tenore del quale "Quando risulta che sono state iscritte a ruolo somme non dovute l'ufficio ne dispone lo sgravio, dandone avviso al contribuente" - reca, nel secondo comma, la previsione che nello sgravio siano compresi (tranne che nei casi di cui agli artt. 61 e 68 dello stesso T.U.) anche gli aggi di riscossione, nonché - a seguito della sentenza 29 gennaio 1970 n. 13 di questa Corte - l'indennità di mora.

A parere del giudice remittente, la norma impugnata, non comprendendo nello sgravio anche la maggiorazione di imposta, corrisposta per la prolungata rateazione del pagamento di un tributo successivamente riconosciuto illegittimo, contrasterebbe con il principio costituzionale di eguaglianza, da un lato, perché, disponendo che in ogni caso la maggiorazione resti a carico del contribuente, sia che costui sia effettivamente debitore, sia che invece sia stato gravato da un'imposta non dovuta, ingiustificatamente assoggetterebbe alla medesima disciplina due situazioni obbiettivamente diverse; dall'altro, perché, nell'identica ipotesi di sgravio di un tributo illegittimo, ammettendo al rimborso l'indennità di mora e non la maggiorazione per prolungata rateazione, introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra il contribuente che, inadempiente alla scadenza, ha corrisposto l'indennità di mora e il contribuente che, ammesso alla dilazione, ha pagato la maggiorazione.

2. - Per la corretta valutazione della questione, occorre innanzitutto ricordare che il sistema delle maggiorazioni di imposta é stato disciplinato organicamente dalla legge 25 ottobre 1960, n. 1316, la quale ha introdotto alcuni articoli aggiuntivi nell'originario T.U. del 1958. Di questi, gli artt. 184- ter e 184-quater dettano un'apposita disciplina per l'ipotesi in cui l'Amministrazione finanziaria conceda al contribuente un prolungamento della rateazione del debito tributario, quando il pagamento secondo l'ordinaria rateazione risulti eccessivamente oneroso. In tal caso, a carico del contribuente beneficiario della dilazione é prevista una maggiorazione d'imposta, determinata nel provvedimento che accorda la posticipazione del pagamento secondo percentuali legislativamente fissate, la quale é riscossa, con gli aggi relativi, unitamente all'imposta alle scadenze stabilite ed é munita degli stessi privilegi generali e speciali che assistono l'imposta medesima.

Analoga maggiorazione é prevista per il diverso caso di ritardata iscrizione a ruolo per omessa, incompleta o infedele dichiarazione (art.184-bis), mentre, nell'ipotesi di ritardo da parte dell'Amministrazione nella liquidazione dello sgravio d'imposte indebitamente pagate, é riconosciuto a favore del contribuente il diritto ad una indennità, commisurata anch'essa a criteri legislativamente predeterminati, per il periodo compreso tra la scadenza dell'ultima rata del ruolo e la data dell'elenco di sgravio (art.199- bis).

Il successivo d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che ha rinnovato la disciplina della riscossione delle imposte sul reddito, ha dettato, per le ipotesi sopra considerate, una regolamentazione sostanzialmente coincidente con quella ricordata, sostituendo però alle espressioni "maggiorazione d'imposta", di cui agli artt. 184bis e 184-quater, e "indennità", di cui all'art. 199- bis, il termine "interessi" (artt. 20, 21 e 44).

Tale ultima regolamentazione tuttavia non é applicabile al caso oggetto del giudizio a quo, che resta, ratione temporis, governato dalla precedente disciplina del T.U. del 1958.

3. - La questione, così come é prospettata dal giudice a quo, é fondata.

In effetti, come questa Corte ha affermato nella ricordata sentenza n.13 del 1970, una volta riconosciuta l'illegittimità dell'iscrizione a ruolo dell'imposta, e disposto perciò lo sgravio, "la situazione del contribuente a carico del quale erano state iscritte somme risultate poi non dovute si differenzia nettamente dalla situazione del contribuente che allo sgravio non abbia diritto". Essa pertanto, richiede una disciplina differenziata che tenga indenne il contribuente medesimo anche dagli oneri accessori connessi al tributo che illegittimamente gli era stato addossato. Nel caso di specie dunque, deve essergli riconosciuto il diritto al rimborso anche della maggiorazione per prolungata rateazione.

Non potrebbe contestarsi l'esattezza di questa conclusione sostenendo che la maggiorazione, quale corrispettivo di una dilazione chiesta e fruita dal contribuente, é oggetto di una obbligazione autonoma, rispetto alla quale sarebbe pertanto irrilevante la legittimità o l'illegittimità dell'iscrizione a ruolo del tributo.

Infatti, da un lato, come a ragione nota il giudice remittente, la maggiorazione d'imposta per prolungata rateazione trova il proprio necessario presupposto nella iscrizione a ruolo, a titolo provvisorio, di un carico tributario il cui pagamento secondo le scadenze ordinarie la stessa Amministrazione riconosce come "eccessivamente oneroso" (art.184-ter, primo comma), accordando la dilazione. E ciò é particolarmente evidente nel caso oggetto del giudizio a quo, nel quale il contribuente si é trovato nella necessità di far fronte ad un carico tributario pari a ventiquattro volte quello poi riconosciuto come effettivamente dovuto, ed é stata applicata una maggiorazione pari a circa tre volte l'importo dell'imposta definitivamente accertata.

Dall'altro lato, la maggiorazione ex art. 184-quater del T.U. del 1958 (al pari degli "interessi" che, con una mera variazione terminologica, il sopravvenuto art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973 pone a carico del contribuente nell'identica situazione) soggiace alla medesima disciplina dell'imposta (essendo, come quest'ultima, riscossa mediante il ruolo esattoriale, e perciò gravata degli aggi relativi, assicurata dagli stessi privilegi generali e speciali e destinata al medesimo ente) e ne segue perciò le sorti.

Né sembra sostenibile, per negare la necessità del rimborso della maggiorazione, l'altro argomento sul quale fa particolare leva l'Avvocatura dello Stato, quello cioè della sostanziale corrispondenza e compensazione tra la stessa maggiorazione e gli interessi che l'Amministrazione deve al contribuente per il ritardato rimborso dell'imposta sgravata. Infatti, anche a prescindere dal fatto che l'equivalenza numerica tra le due somme, nel caso di specie, non é stata dimostrata dall'Amministrazione medesima, resta comunque che l'istituto della compensazione non può qui essere invocato, dal momento che non si tratta di crediti entrambi liquidi ed esigibili, essendo, quello vantato dall'Amministrazione, contestato in giudizio dal contribuente.

4. - Egualmente ingiustificato é poi il diverso trattamento che - una volta riconosciuta l'illegittimità dell'imposizione - discende dalla norma impugnata a carico del contribuente che, ammesso alla dilazione, abbia pagato la maggiorazione rispetto al contribuente che, nella stessa ipotesi, inadempiente nei termini, abbia pagato l'indennità di mora.

In tale caso infatti, l'ammettere a rimborso la seconda (come ha deciso questa Corte con la sentenza n.13 del 1970 e come dispone il vigente art.42 del d.P.R. n. 602 del 1973) ed escluderne la prima - oltre a rendere paradossalmente più vantaggioso per il contribuente, nella previsione di un possibile riconoscimento della non debenza del tributo, il non adempiere nei termini piuttosto che il differire legittimamente il pagamento, chiedendo la dilazione - non trova comunque conforto in una obbiettiva diversità di funzione dei due istituti.

L'indennità di mora infatti, come ha ripetutamente chiarito la Corte di Cassazione, costituisce un accessorio naturale del tributo: la sua funzione non é quella di una sanzione dell'inadempimento nei termini - come vorrebbe l'Avvocatura dello Stato - ma piuttosto quella di un risarcimento del danno causato dal fatto obbiettivo del ritardo nel pagamento del tributo, con la sola particolarità che il danno é fissato dalla legge a priori.

La maggiorazione d'imposta per prolungata rateazione é anch'essa - come é confermato anche dalla Relazione al progetto poi tradottosi nella legge n.1316 del 1960 che la disciplina - una somma addizionale volta a compensare la perdita per il ritardato pagamento del debito tributario; ritardo che anzi, in questo caso, é pienamente legittimo essendo accordato dalla stessa Amministrazione che ha concesso la dilazione.

Entrambi gli istituti dunque, sia pure con modalità diverse, ponendo un onere aggiuntivo a carico del contribuente che, per qualsivoglia ragione o circostanza, non paghi alla scadenza, esplicano l'analoga funzione di indurre quest'ultimo, se vuole evitare di sopportarne il peso, all'adempimento puntuale.

Una volta ammessa l'affinità di funzione dei due istituti, il disporre, come fa la norma impugnata, che, in caso di sgravio di un tributo indebito, l'una - l'indennità di mora - sia rimborsabile e l'altra - la maggiorazione per prolungata rateazione - resti invece a carico del contribuente illegittimamente colpito, costituisce in effetti una disparità di trattamento priva di obbiettiva giustificazione, e perciò lesiva del principio costituzionale di eguaglianza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 198, secondo comma, del T.U. approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), nella parte in cui non comprende nello sgravio ivi previsto la maggiorazione d'imposta per prolungata rateazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: SPAGNOLI

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE