Sentenza n.124 del 1987

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SENTENZA N. 124

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

        ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma sesto, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, convertito con modificazioni nella legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modificazioni (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 marzo 1976, n. 31, contenente disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 6 luglio 1983 dal Tribunale di Roma nei procedimenti penali a carico di Papatanassiou Nicolas e Panini Archimede, iscritte ai nn. 763 e 764 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 dell'anno 1984;

2) ordinanza emessa il 6 maggio 1985 dal Tribunale di Voghera nel procedimento penale a carico di Scabini Giuseppe ed altri, iscritta al n. 711 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima s.s. dell'anno 1986;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo;

Udito l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Due ordinanze del Tribunale di Roma ed una del Tribunale di Voghera hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, sesto comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, convertito nella legge 30 aprile 1976, n. 159, nel corso di procedimenti penali a carico di cittadini imputati di aver esportato valuta nel corso dell'anno solare per un valore superiore a 5 milioni di lire: e ciò in riferimento all'art. 3 Cost.

Tutti i giudici a quibus riconoscono che gli imputati hanno indebitamente esportato all'estero nell'anno, in più occasioni, una somma complessiva superiore ai 5 milioni, ma ogni volta una somma di denaro sicuramente inferiore. Osservano le ordinanze che, se si dovesse considerare isolatamente ogni singolo episodio, ciascuno resterebbe al disotto della soglia della punibilità in quanto, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 689 del 1981, le violazioni valutarie punibili con la sola multa (art. 1, VI co. d.l. 4 marzo 1976, n. 31) costituiscono ormai mero illecito amministrativo.

Ritengono, perciò, i giudici rimettenti che la questione di illegittimità non si presenti manifestamente infondata. Infatti, l'espressione "complessivamente", contenuta nel VI co. dell'articolo citato, viene concordemente interpretata nel senso che, nel caso di pluralità di operazioni illecite, occorre aver riguardo all'importo risultante dal cumulo delle somme relative alle varie operazioni. Tale interpretazione, però, secondo le ordinanze, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Cost., in quanto renderebbe possibile in concreto una ingiustificata disparità di trattamento fra chi, avendo commesso più violazioni valutarie, ognuna per una somma inferiore a lire cinque milioni, venga giudicato separatamente per ciascuna di esse, e chi per le medesime violazioni, subisca invece un unico giudizio.

Si fa notare che, in definitiva, una siffatta notevole diversità delle conseguenze sul piano sanzionatorio non dipende dalla diversità delle condotte illecite o dalla personalità dei trasgressori, bensì esclusivamente da circostanze occasionali e del tutto estrinseche alle condotte poste in essere, quali l'accertamento di tutte le infrazioni o soltanto di alcune di esse oppure la loro trattazione in unico o separati giudizi.

2. - Le ordinanze sono state debitamente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

Nei giudizi promossi dal Tribunale di Roma é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Circa la prima richiesta l'Avvocatura osserva che le ordinanze di rimessione potrebbero essere interpretate nel senso che la ravvisata disparità di trattamento andrebbe eliminata abolendo la soglia di rilevanza penale delle infrazioni e dunque considerando ogni illecito, anche di lieve ammontare, sanzionabile penalmente. Se così fosse, la questione sarebbe, a tacer d'altro, irrilevante nel caso di specie, in cui si procede per un illecito penale.

Nel merito, si rileva che l'ordinanza vorrebbe che, attraverso la dichiarazione di incostituzionalità della norma denunziata, si giungesse ad una arbitraria discriminazione tra chi esporta valuta superiore a cinque milioni uno acto e chi lo fa con più azioni, solo perché rispetto alla fattispecie considerata, situazioni contingenti, non riferibili alla normativa ma dipendenti da circostanze a questa estranee, potrebbero determinare una non sempre puntuale applicazione della legge stessa. Ma il fattore di discriminazione non essendo nella legge, non può per definizione essere espressivo di una irrazionalità legislativa, costituzionalmente significativa.

Basterebbe infatti riflettere che le accidentalità attinenti all'accertamento dei fatti concreti non sono tipiche ed esclusive né della fattispecie criminosa specificamente in esame né di quelle ad analoga struttura. Rispetto a qualsiasi norma é ipotizzabile un'applicazione concreta, distorta o fuorviata da occasionalità che incidono in sede di accertamento, e conseguentemente una disparità di trattamento tra autori di un medesimo comportamento, il cui accertamento si sia svolto in tempi o con risultati diversi.

Ma altro é un trattamento discriminatorio interno alla previsione normativa (e quindi operante in astratto siccome é astratta la previsione) e altro l'applicazione concreta della norma occasionalmente distorta per circostanze di fatto a quest'ultima estranee.

All'udienza odierna le parti hanno insistito nelle loro conclusioni, ma l'Avvocatura ha ricordato la sopravvenienza della l. 26 settembre 1986, n. 599.

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze trattano la stessa questione, impugnando l'identica norma con riferimento allo stesso parametro costituzionale.

I procedimenti, pertanto, sono stati trattati congiuntamente in udienza per essere decisi con unica sentenza.

2. - Sennonché é frattanto sopravvenuta - come anche l'Avvocatura ha fatto rilevare - la legge 26 settembre 1986, n. 599 (Revisione della legislazione valutaria) che, con il suo art. 2, ha completamente sostituito l'impugnato art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159 (che modificava l'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31).

Il nuovo articolo subordina la rilevanza penale dell'illecito valutario alla condizione che l'effettivo valore dei beni esportati, o delle disponibilità e attività costituite all'estero, superi, al momento del fatto, la somma di lire 100 milioni, complessivamente nel corso di un triennio.

É opportuno, perciò, che la nuova situazione giuridica sia valutata dal giudice a quo al fine di riesaminare, alla luce di essa, la rilevanza della questione proposta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti rispettivamente al Tribunale di Roma e al Tribunale di Voghera.

Così deciso in Roma, in udienza pubblica, nella sede della Corte costituzionale il 7 aprile 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 10 aprile 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE