Sentenza n.78 del 1987

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SENTENZA N. 78

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n.1079 (Nuovi stipendi, paghe e retribuzioni del personale delle amministrazioni dello Stato), in riferimento agli artt. 2 e 9 del regio-decreto 2 settembre 1932, n. 1293 promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1979 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Vaglio Antonino contro Ministero degli Affari Esteri ed altro, iscritta al n. 675 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 332 dell'anno 1979;

Visto l'atto di costituzione di Vaglio Antonino nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 27 gennaio 1987 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 26 gennaio 1979, il Consiglio di Stato ha sollevato, su istanza di parte, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, nella parte in cui subordina alla presentazione della domanda la concessione dei benefici in esso previsti, in base alla rettifica disposta con l'avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 3 febbraio 1971, in riferimento all'art. 73, comma terzo, Cost., ed agli artt. 2 e 9 del regio-decreto 2 settembre 1932, n. 1293 (Regolamento di esecuzione del T.U. 24 settembre 1931, n. 1256, sulla promulgazione delle leggi e dei decreti).

Espone il giudice a quo che, con decreto 23 settembre 1974 del Ministro degli affari esteri, erano stati riconosciuti al coadiutore Vaglio Antonino i benefici previsti dall'art. 11 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, con applicazione della prescrizione biennale per i ratei degli aumenti di stipendio relativi al periodo primo luglio 1970-primo marzo 1972, essendo stata presentata la domanda prescritta dalla citata disposizione il primo marzo 1974.

Il predetto provvedimento, nella parte concernente la prescrizione dei ratei di aumento di stipendio, fu impugnato davanti al T.A.R. del Lazio per violazione delle norme sulla promulgazione e pubblicazione delle leggi, contenute nel regio-decreto 2 settembre 1932, n. 1293, sulla base della dedotta illegittimità della procedura di rettifica dell'art. 11 del citato d.P.R. n. 1079 del 1970, con la quale era stata inserita la locuzione "a domanda" dopo le parole "gli aumenti periodici", rettifica in dipendenza della quale la domanda dell'interessato era risultata fuori termine agli effetti del compimento della prescrizione.

Il Vaglio sostenne che il d.P.R. n. 1079 del 1970, nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 1971, non subordinava l'applicazione dei benefici previsti dal citato art. 11 alla presentazione della domanda da parte degli interessati; che tale onere era stato introdotto con rettifica il cui avviso era stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 3 febbraio 1971; che la rettifica delle leggi e dei decreti é sottoposta alla disciplina del regio decreto 2 settembre 1932, n. 1293; che tale disciplina impone che le correzioni degli eventuali errori, nella stampa ufficiale delle leggi e decreti, le quali possono mutare il significato e il contenuto dell'atto, devono essere ordinate dal Ministro Guardasigilli, sia mediante l'inserzione nella Gazzetta Ufficiale, sia mediante nota in fine del volume della Raccolta in cui l'atto fu pubblicato.

Con decisione n. 277/76, in data 12 maggio 1976, l'adito Tribunale respinse il ricorso, dichiarando, tra l'altro, inammissibile l'impugnativa rivolta contro l'avviso di rettifica del citato decreto presidenziale n. 1079 - congiuntamente a quella proposta contro il decreto del Ministro degli affari esteri - nella considerazione che l'atto attiene alla fase della pubblicazione della legge e, quindi, al procedimento di formazione della stessa, materia sottratta alla cognizione del giudice amministrativo, al pari di ogni altro giudice, tenuto ad accertare soltanto l'esistenza della legge.

Avverso la citata sentenza il Vaglio ha ricorso in appello.

Ciò premesso in fatto, osserva il Consiglio di Stato che le doglianze mosse dal ricorrente contro il provvedimento ministeriale, con il quale gli sono stati negati i ratei degli aumenti periodici di stipendio previsti dall'art. 11 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, muovono dalla dedotta illegittimità della procedura con cui é stata apportata la rettifica all'originario testo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 1971, con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 2 febbraio 1971.

Ne deriva che al motivo di appello, concernente la dedotta illegittimità derivata del provvedimento ministeriale, il cui esame appartiene alla sfera di giurisdizione del giudice amministrativo, non può essere dato esito, per la stretta dipendenza dalla prima censura, senza la preventiva verifica della legittimità del procedimento di rettifica all'originario testo di legge e del relativo avviso pubblicato nella citata Gazzetta Ufficiale n. 28, la quale implica, a sua volta, la soluzione del problema della inquadrabilità del relativo giudizio nell'ambito del sindacato costituzionale, ancorché l'illegittimità al riguardo denunciata si riferisca a norme non aventi propriamente forza costituzionale.

In proposito, ritiene il giudice a quo di dover confermare la pronuncia del T.A.R., relativamente al difetto di giurisdizione, e di sottoporre la questione all'esame della Corte costituzionale, non vertendosi in tema di legittimità di un provvedimento amministrativo, bensì trattandosi di irregolarità incidente nella fase integrativa dell'efficacia di un atto avente valore di legge. Ed infatti, se é vero che i denunciati vizi della procedura seguita nella rettifica del decreto presidenziale (la cui sussistenza é indubbia) attengono alla mancata osservanza delle norme stabilite dal Regolamento per l'esecuzione del T.U. 24 settembre 1931, n. 1256, riguardante la promulgazione e la pubblicazione delle leggi e dei decreti, approvato con regio-decreto 2 settembre 1932, n. 1293, é vero, altresì, che nei riguardi di detto Regolamento deve ritenersi sussistente un carattere concretamente attuativo dell'art. 73, terzo comma, della Costituzione.

Qualora, infatti, la normativa portata dal citato regio decreto n. 1293 restasse estranea alla disciplina della "Formazione della legge", compresa nella Sezione 2a del titolo I della Costituzione, la fase della pubblicazione della legge stessa, cui si riferisce il terzo comma del predetto art. 73, sarebbe sottratta a qualsiasi sindacato costituzionale, pur nella sua estrema delicatezza per il conferimento di certezza della corrispondenza del testo pubblicato a quello approvato.

Ritiene, pertanto, il giudice a quo che ogni indagine di propria competenza sulla fondatezza o meno del denunciato vizio di illegittimità derivata del provvedimento amministrativo, impugnato unitamente all'avviso di rettifica del provvedimento legislativo per l'illegittimità della procedura relativa a detta rettifica, resti subordinata alla soluzione del prospettato dubbio di legittimità costituzionale della rettifica medesima, che non sembra manifestamente infondato, in relazione all'art. 73, terzo comma, della Costituzione, con conseguente manifesta rilevanza della questione di costituzionalità sollevata ai fini della decisione della presente controversia.

2. - É intervenuta la parte privata, Vaglio Antonino, sollecitando la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

3. - Ha spiegato altresì intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, eccependo l'irrilevanza della questione.

Osserva l'Avvocatura dello Stato che la prescrizione biennale delle rate di stipendio e di assegni dovuti dallo Stato decorre, come precisa il terzo comma dell'art. 2 della legge 19 gennaio 1939, n. 295, "dal giorno della scadenza della rata o dell'assegno dovuti quando il diritto alla rata o all'assegno sorga direttamente da disposizioni di legge o di regolamento, anche se l'amministrazione debba provvedere d'ufficio alla liquidazione ed al pagamento".

Il provvedimento amministrativo impugnato ha liquidato gli emolumenti richiesti dal Vaglio con decorrenza non già dalla data della domanda, ma limitata al periodo di due anni anteriore a quella data: esso, allora, ha attribuito alla domanda stessa il valore non tanto di condizione per la concessione del beneficio, quanto piuttosto di atto interruttivo della prescrizione a sensi del quarto comma dell'art. 2 legge n. 295 del 1939.

Il parametro per verificare la legittimità dell'atto amministrativo o, se si vuole, per accertare se sia intervenuta l'estinzione per prescrizione del credito fatto valere dal ricorrente é quindi costituito non dall'impugnato art. 1 del d.P.R. n. 1079 del 1970, bensì dal non impugnato art. 2, legge n. 295 del 1939; e per la definizione del giudizio a quo non ha alcun rilievo la presenza o meno, nel testo dell'art. 11 del d.P.R. n. 1079, delle parole "a domanda".

Considerato in diritto

1. - Il Consiglio di Stato dubita, col diffuso ragionamento sopra riportato, che sia costituzionalmente legittimo, in riferimento all'art. 73, terzo comma, Cost., ed agli artt. 2 e 9 del regio decreto 2 settembre 1932, n. 1293 (Regolamento di esecuzione del T.U. 24 settembre 1931, n. 1256, sulla promulgazione delle leggi e dei decreti), l'art. 11 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, nella parte in cui subordina alla presentazione di una domanda la concessione dei benefici in esso previsti; e ciò per effetto di una rettifica apportata - con procedura che il giudice a quo afferma non conforme alle norme ora indicate - al testo originariamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Più precisamente, l'art. 11 del d.P.R. n. 1079, nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 1971, prevede che "con effetto dal primo luglio 1970, al personale al quale, in applicazione del presente decreto, compete dalla stessa data uno stipendio o paga o retribuzione di importo inferiore a quello che sarebbe spettato se alla data medesima si fosse ancora trovato nella qualifica o grado immediatamente inferiore a quella rivestita o nella qualifica o grado iniziale della carriera di appartenenza, sono attribuiti gli aumenti periodici necessari per assicurare uno stipendio, paga o retribuzione pari o immediatamente superiori a questi ultimi".

Il testo risulta rettificato, giusta avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 3 febbraio 1971, nei sensi che in luogo di: "...carriera di appartenenza, sono attribuiti gli aumenti necessari...", deve leggersi: "...carriera di appartenenza, sono attribuiti, a domanda, gli aumenti periodici necessari...".

Il provvedimento impugnato innanzi al giudice amministrativo, in applicazione della norma come sopra rettificata, e su istanza dell'interessato (presentata il primo marzo 1974), ha attribuito al dipendente, a decorrere dal primo luglio 1970, ai soli effetti giuridici, un aumento biennale, mentre ha disposto, applicando la prescrizione biennale "alle competenze arretrate superiori al biennio", che la corresponsione del trattamento economico così determinato avesse decorrenza dal primo marzo 1972.

Tale provvedimento, ad avviso del giudice a quo, potrebbe essere affetto da illegittimità derivata, in quanto applicativo della norma risultante dalla rettifica, qualora la sollevata questione di legittimità costituzionale della rettifica stessa fosse risolta nel senso della fondatezza: di qui, secondo l'ordinanza di rimessione, la rilevanza della questione.

2. - La motivazione dell'ordinanza in punto di rilevanza appare tuttavia carente, dal momento che in essa non si fa cenno alla effettiva incidenza della rettifica - recante la previsione della domanda - sul contenuto del provvedimento, nel senso di modificarne sostanzialmente la portata rispetto a quella che il provvedimento stesso avrebbe avuto, se fosse stato adottato in base al testo originario dell'art. 11 del d.P.R. n. 1079.

Invero, sembra evidente che nel provvedimento impugnato (emesso il 23 settembre 1974) la domanda dell'interessato é stata considerata alla stregua di atto interruttivo della prescrizione (all'epoca biennale, ex art. 2 regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295, non ancora caducato dalla sentenza di questa Corte n. 50 del 1981), e non come fatto costitutivo del diritto. In tale ultimo caso la decorrenza del beneficio sarebbe stata stabilita, ad ogni effetto, ex nunc, cioè dal giorno della presentazione della domanda, e non già, come fatto, ai fini giuridici dalla data stabilita in via generale ex lege, e ai fini economici dalla data di inizio del periodo non raggiunto dalla prescrizione.

L'effetto sfavorevole (decorrenza degli aumenti periodici dal primo luglio 1970 ai soli effetti giuridici, e differimento di quelli economici al primo marzo 1972, data di inizio del periodo non coperto da prescrizione) non appare dunque derivato dalla considerazione, da parte dell'atto della necessità della domanda, ma dalla operata applicazione della disciplina della prescrizione.

Secondo la logica ora descritta, anche se l'amministrazione avesse provveduto d'ufficio (ignorando l'intervenuta rettifica), avrebbe egualmente applicato la prescrizione biennale (cfr. art. 2, quarto comma, regio decreto-legge n. 295 del 1939).

Di ciò non dimostra di avere tenuto conto il giudice a quo, il quale ha invece presupposto, che la limitazione degli effetti economici fosse ascritta, dall'atto impugnato, al mutato tenore dell'art. 11 del d.P.R. n. 1079.

Ne deriva che la questione va dichiarata inammissibile per difetto di motivazione sulla sua rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (Nuovi stipendi, paghe e retribuzioni del personale delle amministrazioni dello Stato) sollevata in riferimento all'art. 73, comma terzo, Cost., ed agli artt. 2 e 9 del regio decreto 2 settembre 1932, n. 1293, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CORASANITI

Depositata in cancelleria il 27 marzo 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE