Sentenza n.6 del 1987

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SENTENZA N. 6

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI  Presidente

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 202, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1977 dal Tribunale di Caltagirone nel procedimento civile vertente tra Barresi Giuseppe e Malgioglio Giacinta, iscritta al n. 439 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 dell'anno 1979;

Udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1986 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Ritenuto in fatto

Il Tribunale di Caltagirone, nel corso del procedimento civile di separazione tra i coniugi Barresi Giuseppe e Malgioglio Giacinta, sollevava con ordinanza del 14 aprile 1977, pervenuta alla Corte l'11 maggio 1979, questione di legittimità costituzionale - in relazione all'art. 3 della Costituzione - dell'art. 202, primo comma, del codice civile (abrogato a seguito della legge 19 maggio 1975, n.151), nella parte in cui non consente la separazione della dote nel caso di separazione dei coniugi non addebitabile all'uno o all'altro.

Contestualmente infatti il Tribunale aveva pronunciato la separazione personale ai sensi del primo comma dell'art.151 del codice civile, avendo le parti rinunciato alla domanda tendente ad accertare l'addebito della separazione stessa, come consente la Novella del 1975.

Poiché la disposizione impugnata (tuttora in vigore per le doti precedentemente costituite, ex art. 227 della legge n. 151 del 1975), permette la separazione della dote solo nel caso di separazione personale pronunciata per colpa del marito, si viene a determinare - secondo il giudice a quo - un privilegio a favore del marito stesso "che potrebbe trovare giustificazione nella sua assenza di colpa e nella presenza di colpa della moglie, ma che mal si giustifica nel caso in cui... non si proceda all'accertamento dell'addebitabilità".

In tale situazione consentire al marito di continuare ad amministrare i beni dotali (nella specie una casa situata nel Comune di Palagonia, costituita in dote per atto notaio Salvatore Musumeci del 26 gennaio 1965) significa violare il principio della parità dei coniugi, con conseguente lesione dell'art. 3 della Costituzione.

Circa la rilevanza della questione, essa deriverebbe dall'impossibilità di decidere, senza la richiesta pronuncia della Corte, sulla domanda di separazione della dote proposta nello stesso giudizio de quo dalla signora Malgioglio.

Considerato in diritto

1. - Con ordinanza del 14 aprile 1977 il Tribunale di Caltagirone chiede la verifica di costituzionalità dell'art. 202, comma primo, ultima ipotesi, nella parte in cui non consente la separazione della dote nel caso di separazione dei coniugi senza che la stessa sia addebitabile all'uno o all'altro.

Ritiene il Tribunale a quo che quando non si proceda all'accertamento dell'addebitabilità della separazione perché il giudice non ne é richiesto dai coniugi a norma dell'art. 33 della legge 19 maggio 1975, n. 151 (legge di riforma del diritto di famiglia che novella l'art. 151, comma secondo, del codice civile) "consentire al marito la continuazione dell'amministrazione del bene dotale... costituisce un privilegio che urta contro il principio della parità dei coniugi discendente dalla norma di cui all'art. 3 della Costituzione, che sancisce l'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge".

2. - La questione é fondata.

Va premesso che tra le norme finali e transitorie della legge n. 151 del 1975 di riforma del diritto di famiglia, l'articolo 227 stabilisce che le doti e i patrimoni familiari costituiti prima dell'entrata in vigore della Novella continuano ad essere disciplinati dalle norme anteriori. Proprio perché la riforma ha abrogato l'istituto della dote e aboliti dal codice civile vigente gli artt. da 177 a 209, il corpus normativo conservato in vigore dalla norma transitoria pone il problema della sua compatibilità con i principi costituzionali, che avendo ispirato e guidato la legge riformatrice, sono in certa misura più esigentemente precettivi che non in precedenza.

In particolare la parità dei coniugi, inscritta nel più generale principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge di cui all'art. 3 della Costituzione, ed esplicitamente dichiarata nell'art. 29, comma secondo, della Costituzione - "Il matrimonio é ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare" - é il valore fondante il nuovo diritto di famiglia, da cui la dote é stata radicalmente espunta in quanto espressiva di una diseguaglianza di ruoli giuridico-patrimoniali tra uomo e donna nella società coniugale.

Quando il regime transitorio di ultrattività dell'istituto dotale implichi un grave e non giustificabile vulnus del principio costituzionale della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, é ineludibile l'istanza di un intervento additivo, che raccordi la vecchia normativa con i valori costituzionali, compiutamente inverati dalla nuova.

Se la separazione personale é infatti pronunziata dal giudice senza addebito, viene a cadere sia la tassatività dell'ipotesi di cui al comma primo, ultima parte, dell'art. 202 del codice civile, abrogato ex art. 77 della legge n. 151 del 1975 e conservato in vigore ex art. 227 della stessa legge: separazione della dote disposta nel caso di separazione personale pronunziata per colpa del marito; sia di quella del secondo comma: facoltà dell'autorità giudiziaria di ordinare la separazione della dote dai beni del marito, quando la separazione personale é pronunziata per colpa di entrambi i coniugi.

Nell'un caso e nell'altro la separazione del compendio dotale dai beni del marito postula una misura punitiva e insieme un giudizio di inaffidabilità del marito rispetto al suo ruolo di amministratore della dote della moglie.

Ma sopravvenuto l'art. 33 della legge n. 151 del 1975, che introduce nel nuovo art. 151 del codice civile anche la separazione personale pronunciata dal giudice senza addebito, la separazione della dote dai beni del marito verrebbe in questa ipotesi recenziore ad essere esclusa con la conseguenza della intangibilità del ruolo maritale di amministratore della dote e della inammissibilità della domanda della moglie di assumerlo su di sé. La lesione della parità dei coniugi é qui di tutta evidenza e priva di qualsivoglia giustificazione che sia riconducibile alla garanzia costituzionale dell'unità familiare.

Questa infatti non é garantita dall'amministrazione della dote in mano del marito più che non lo sia in quella della moglie, dal momento che la destinazione e il regime del compendio dotale, mutando il titolare dei poteri di amministrazione, restano inalterati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 202, comma primo, del codice civile, nella parte in cui non prevede la separazione della dote dai beni del marito, su domanda della moglie, quando la separazione personale sia stata pronunziata senza che sia addebitabile all'uno o all'altro dei coniugi.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il redattore: CASAVOLA

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE

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