Sentenza n. 295 del 1986

 

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SENTENZA N. 295

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 169 del codice penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) due ordinanze emesse il 15 dicembre 1978 e 11 maggio 1979 dal tribunale per i minorenni di Perugia nei procedimenti penali a carico di Stentella Gianni e Brozzo Maurizio iscritte ai nn. 401 e 951 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 196 dell'anno 1979 e n. 50 dell'anno 1980;

2) tre ordinanze emesse il 5 marzo 1980 e il 25 febbraio 1981 dal Tribunale per i minorenni de L'Aquila nei procedimenti penali a carico di Menna Vincenzo, Di Marco Luigi e Cicconetti Anna Gabriella iscritte al n. 309 del registro ordinanze 1980 ai nn. 338 e 339 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 173 dell'anno 1980 e n. 276 dell'anno 1981;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il giudice relatore Renato Dell'Andro;

Udito l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con due ordinanze del 15 dicembre 1978 (Reg. ord. n. 401/79) e dell'11 maggio 1979 (Reg. ord. n. 951/79) il Tribunale per i minorenni di Perugia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell'art. 169 cod. pen., nella parte in cui vieta di concedere il perdono giudiziale per fatti posti in essere successivamente ad una precedente concessione del perdono.

Il Tribunale osserva che l'art. 164 c.p., nel testo modificato dal d.l. 11 aprile 1974 n. 99, convertito con legge 7 giugno 1974, n. 220, consente che la sospensione condizionale della pena possa essere concessa più d'una volta, col solo limite che la pena inflitta con la nuova condanna, cumulata a quella precedentemente sospesa, non superi i limiti di cui all'art. 163 cod. pen. É stato quindi eliminato il principio, prima vigente, del rigido divieto di concessione della sospensione per più d'una volta.

Il giudice a quo sottolinea la strettissima analogia tra l'istituto della sospensione condizionale della pena e quello del perdono giudiziale: entrambi sono compresi tra le cause d'estinzione del reato ed identici sono i presupposti per le loro concessioni; ed anche questa Corte, con la sentenza n. 108 del 1973, ha ritenuto che le regole che valgono per l'uno debbano valere anche per l'altro. Di conseguenza, il fatto che attualmente un soggetto può godere d'una duplice concessione della sospensione condizionale della pena mentre non può godere d'una duplice concessione del perdono giudiziale, realizza un'irrazionale disparità di trattamento. Data, infatti, l'identità dei presupposti e delle finalità dei due istituti, se si ritiene che il principio secondo il quale il beneficio può essere concesso solo una volta dev'essere superato per la sospensione condizionale, deve ritenersi che il principio stesso vada superato anche per il perdono giudiziale; tanto più che il favor rei é maggiormente giustificato quando si tratti di imputato minorenne.

Si verifica spesso, infatti, che un minore sia giudicato in processi diversi per più episodi, tutti però significativi d'un unico stato di disadattamento, che può essere anche temporaneo. Continuano del resto a sussistere, per il perdono giudiziale, quegli inconvenienti che sono stati invece eliminati per la sospensione condizionale della pena. Può così verificarsi che un minore goda del beneficio per un reato lieve, magari contravvenzionale, e non possa più goderne per un secondo reato, che gli causa conseguenze più pregiudizievoli. Inoltre, un minore potrebbe godere del perdono sino al limite massimo di pena qualora sia giudicato per un reato punibile per una pena grave o per più reati in un unico processo, mentre non potrebbe goderne qualora abbia in precedenza già ottenuto il perdono in relazione ad una pena mitissima e sia giudicato per un reato commesso successivamente, anche quando le due pene sommate insieme non superino i limiti d'applicabilità del beneficio.

Il Tribunale prospetta infine anche un contrasto della norma impugnata con l'art. 2 Cost., per il motivo che il minore é titolare del diritto fondamentale alla propria educazione, e che questo diritto potrebbe essere pregiudicato se, per il divieto di concessione d'un secondo perdono giudiziale, egli dovesse subire un precoce impatto con carcere.

2. - Con tre ordinanze identicamente motivate emesse il 5 marzo 1980 (Reg. ord. n. 309/80) ed il 25 febbraio 1981 (Reg. ord. nn. 338/81 e 339/81), il Tribunale per i minorenni de L'Aquila ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 169 cod. pen., nella parte in cui non limita il divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai soli casi in cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti delittuosi.

Osserva il Tribunale che la norma impugnata realizza un'ingiustificata discriminazione ai danni di minori che abbiano usufruito d'un precedente perdono giudiziale per fatti contravvenzionali, rispetto ai minori che per gli stessi fatti contravvenzionali abbiano invece riportato condanna, in quanto a questi ultimi, e non ai primi, può essere concesso il perdono giudiziale per effetto del richiamo di cui al penultimo comma dell'art. 169 cod. pen.

3. - Tutte le predette ordinanze sono state comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

Nei giudizi promossi con le ordinanze nn. 951/79, 338/81 e 339/81 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

Sulle questioni promosse dal Tribunale per i minorenni di Perugia, l'Avvocatura osserva che é impossibile stabilire un preciso parallelo tra sospensione condizionale della pena e perdono giudiziale, in quanto la prima interviene a condanna già emessa e cioé in relazione ad una pena concretamente irrogata e non alla pena edittale. É quindi evidente la diversità di situazione rispetto al perdono giudiziale: non può, pertanto, parlarsi di disparità di trattamento a parità di condizioni. Del resto, é ragionevole escludere il perdono per reati commessi dopo la concessione d'un precedente perdono, poiché le condotte criminose successive a fatti già presi in considerazione incidono sulla capacità a delinquere espressamente considerata, con riferimento all'art. 133 cod. pen., dall'art. 169 cod. pen.

Sulle questioni promosse dal Tribunale per i minorenni de L'Aquila, l'Avvocatura rileva che la diversità di disciplina deriva da una ragionevole scelta del legislatore, il quale ha ritenuto, per la diversa pericolosità sociale del delitto rispetto alla contravvenzione, che sia nel caso di condanna sia nel caso di perdono concesso per un primo delitto, non può essere lasciata alla discrezione del giudice la valutazione della presunzione d'astensione dalla commissione d'ulteriori reati. Nel caso di contravvenzione, invece, la minore pericolosità del reato e l'indifferenza della valutazione del dolo o della colpa della condotta hanno fatto ritenere opportuno consentire la concessione del perdono anche dopo una sentenza di condanna, lasciando al giudice la valutazione della presumibile attitudine del reo d'astenersi dal commettere altri reati. La diversità di presupposti (valutazione del dolo e della colpa in un caso, esclusione della rilevanza di tale valutazione nell'altro) e di situazioni in ordine alle esigenze sociali (maggiore pericolosità del delitto rispetto alla contravvenzione) fondano le ragioni della diversità di trattamento legislativo.

Né il principio di eguaglianza può ritenersi violato perché, nel caso di seconda contravvenzione, il perdono giudiziale é consentito quando per la prima contravvenzione é stata emessa condanna ed é invece negato quando é stato concesso il perdono. In primo luogo, infatti, v'è una differenza fondamentale tra sentenza di condanna e perdono giudiziale; e già ciò vale ad escludere una parità di situazioni. In secondo luogo, é comunque ragionevole che il legislatore ritenga immeritevole d'una seconda valutazione concreta della sua capacità d'astenersi dal commettere altri reati chi abbia commesso il reato contravvenzionale per la seconda volta, avendo goduto per la prima del perdono giudiziale. In questo caso, infatti, la recidiva opera come condizione d'una presunzione legislativa d'incapacità d'astensione da altri reati, che preclude l'utilità d'una concreta valutazione del giudice e fornisce, pertanto, l'idonea ragione della norma che vieta l'applicazione per la seconda volta del perdono giudiziale. Il discorso invece non vale quando per la prima contravvenzione sia stata emanata condanna: in questo caso, infatti, il legislatore ha, altrettanto ragionevolmente, ritenuto che la funzione di emenda della pena inflitta per la prima contravvenzione consenta efficacemente al giudice di valutare se sussistano le condizioni concrete per la concessione del perdono giudiziale.

Considerato in diritto

1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze di cui in narrativa sono analoghe e, possono, pertanto, essere decise con unica sentenza.

2. - Le ordinanze di rimessione del Tribunale per i minorenni di Perugia, indicate in epigrafe, sostengono che, tenuto conto dell'identità di ratio e presupposti e dello strettissimo legame tra gli istituti della liberazione condizionale e del perdono giudiziale, i principi validi in ordine al primo istituto devono valere anche per il secondo: in particolare, poiché l'art. 164 c.p., come sostituito dall'art. 12 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito in legge 7 giugno 1974, n. 220, con modificazioni, stabilisce, contrariamente a quanto statuiva il testo abrogato, che la sospensione condizionale della pena può essere concessa più d'una volta, con la sola condizione che la pena inflitta con la nuova condanna cumulata a quella precedentemente sospesa non superi i limiti stabiliti dall'art. 163 c.p., le stesse ordinanze ritengono debba esser consentita la possibilità di concedere più d'una volta anche il perdono giudiziale, alla condizione che il cumulo delle pene non superi il limite di cui al primo comma dell'art. 169 c.p.

La dimostrazione della stretta analogia tra gli istituti in discussione é offerta anzitutto mediante il riferimento alla collocazione degli stessi istituti nel vigente codice penale: sia la sospensione condizionale della pena sia il perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto sono, infatti, inclusi nel capo primo ("della estinzione del reato") del titolo sesto del libro primo del codice penale.

A questo argomento va opposto che dalla collocazione che un istituto ha nel sistema della legge non sempre é dato trarre sicure conclusioni in ordine alla natura giuridica dell'istituto. Tanto più quando si tratti di confrontare due "specie" di istituti (classificati in un unico "genere": estinzione del reato) allo scopo di rendere applicabile un principio valido per la prima "specie" alla seconda: é agevole, infatti, rilevare che due istituti, nell'essere identici od analoghi in ordine ai caratteri negativi al genere sono sempre, invece, diversi per le caratteristiche peculiari a ciascuno di essi.

Ma va qui, ben più, sottolineato che il concetto di "genere" estinzione del reato é uno di quelli sul quale esistono vivacissime dispute in dottrina. Contestata sin dal suo apparire nel vigente codice penale, la nozione di "estinzione del reato" é considerata dai vari Autori, che si sono occupati dell'argomento, in diversissime maniere. Tutti d'accordo nel contestare la formula usata dal legislatore (non può, infatti, il fenomeno estintivo riferirsi al reato) le prese di posizione in ordine all'oggetto dell'estinzione (responsabilità, situazioni giuridiche subiettive, punibilità astratta, effetti penali ecc.) sono quanto mai varie (anche, almeno a volte, nella giurisprudenza). In ordine, poi, alla natura delle singole cause che producono l'affermata "estinzione" esistono in dottrina divari che rischiano d'avvicinarsi alla confusione.

In questa situazione é davvero difficile trarre argomenti, per sostenere la "strettissima vicinanza" tra il perdono giudiziale e la sospensione condizionale della pena dalla riconduzione di entrambi i benefici alla generale categoria delle cause d'estinzione del reato.

3. - E vale, anche, sottolineare che appunto la riconduzione di entrambi i benefici alla categoria generale in discussione é contestata: non pochi Autori sono, infatti, dell'avviso che la sospensione condizionale della pena vada inclusa fra le cause d'estinzione della pena e non del reato. Ed argomenti a favore della tesi ora citata non mancano: la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena importa, per vero, una condanna con inflizione e determinazione della pena in concreto.

4. - Non resta, pertanto, che esaminare i predetti istituti nelle ragioni di "unità" ed in quelle di "diversità", a prescindere dalle classificazioni generali, le quali ultime, a volte, si rivelano frutto di nominalistiche, anche se utili, catalogazioni.

Gli istituti del perdono giudiziale e della sospensione condizionale della pena tendono, certamente, al raggiungimento di finalità rieducative o, in largo senso, di prevenzione speciale: in ciò i benefici in parola sono certamente accomunati. Dottrina e giurisprudenza sono, in materia, unanimi; ed i lavori preparatori al codice penale non lasciano, in proposito, alcun dubbio.

L'uguale presupposto richiesto dall'art. 164, primo comma, c.p. per la sospensione condizionale della pena e dell'art. 169, primo comma, per il perdono giudiziale (concessione dei benefici soltanto quando "avuto riguardo alle circostanze indicate dall'art. 133 c.p." il giudice "presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati") chiaramente svela e conferma l'analogia delle finalità emendative perseguite dagli istituti in esame.

5. - Ma le ragioni unitarie determinate dalle predette comuni finalità non valgono ad escludere le notevoli ed ampiamente riconosciute caratteristiche di diversità tra gli istituti in esame. Caratteristica peculiare del perdono giudiziale (al quale il legislatore dedica, al fine di delinearne la natura, un solo articolo) é la scelta da parte del giudice della facoltà, di cui all'art. 169 c.p., d'astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio o, in dibattimento, d'astenersi dal pronunciare condanna. Oltre a configurarsi, pertanto, due sottospecie di perdono giudiziale (ed é riduttivo, ovviamente, tener presente soltanto il perdono concesso con sentenza dibattimentale: nel momento del confronto tra i due istituti va, dunque, anche rilevato che il perdono, diversamente dalla sospensione, può esser concesso in istruzione; il che vale a precisare che il perdono neppure comporta sempre il completo accertamento della responsabilità del beneficiando) va qui posto in particolare rilievo che, dunque, il perdono giudiziale non comporta mai una sentenza di condanna e tanto meno la determinazione delle concreta pena da espiare. Anche se, a fini extrapenali, la sentenza dibattimentale di concessione del perdono viene, a volte, accomunata alle sentenze di condanna (v. art. 27, primo comma, c.p.p.), certo é che la concessione del perdono giudiziale non implica mai il sorgere d'un concreto rapporto esecutivo. Il legislatore ritiene che il minore, in condizioni di incensuratezza, agevolmente possa, nel superare le ragioni d'immaturità determinatrici dell'illecito, trovare in sé la forza per evitare la ricaduta nel medesimo. La funzione ammonitrice, insita nel perdono, é legislativamente ritenuta sufficiente all'autorieducazione del minore.

Il perdono, dunque, non rende "attuale" la pretesa punitiva; non trasforma la punibilità astratta in punibilità concreta: l'estinzione (se d'estinzione si tratta) paralizza, ipso iure, all'atto della concessione, ogni effetto penale, tutti gli effetti penali (le misure di cui all'art. 26 della legge minorile non hanno, infatti, natura penale). Meglio, forse, sarebbe chiarire che la concessione del perdono impedisce il sorgere concreto di effetti penali, dichiarando il minore inassoggettabile alla pena. Tale inassoggettabilità rende superfluo, nel perdono concesso in istruzione, anche l'accertamento dibattimentale della responsabilità del beneficiando e, nel perdono concesso con sentenza dibattimentale, la condanna del minore: se non può sorgere, dal lato passivo del rapporto punitivo, la soggezione alla pena, non può neppure nascere, dal lato attivo, il concreto potere d'assoggettamento del minore alla pena.

La sospensione condizionale, invece, ha caratteri nettamente diversi da quelli ora esaminati: essa implica sempre una sentenza di condanna nonché la determinazione della pena in concreto: traduce, pertanto, la pretesa punitiva, la punibilità astratta, in concreta, come ci si esprime in dottrina. Significativa é anche la lettera del primo comma dell'art. 163 c.p.: "Nel pronunciare sentenza di condanna. . . il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di. . . ". La sospensione condizionale della pena (alla quale il legislatore dedica ben sei articoli) non ha effetti definitivi immediati: essa apre una vicenda che soltanto alla fine del termine indicato dall'art. 163 c.p. conduce, se conduce, all'estinzione di alcuni, e soltanto di alcuni, effetti penali. Se l'esecuzione della pena rimane sospesa é perché si produce in concreto (e soltanto in virtù del suo instaurarsi) una nuova fattispecie che, mentre paralizza l'attuazione del rapporto esecutivo, soltanto alla fine della vicenda giuridica aperta dalla concessione del beneficio, ove la stessa fattispecie si completi attraverso l'avveramento d'una serie di elementi positivi e negativi (decorso del tempo, adempimento degli obblighi eventuali, di cui all'art. 165 c.p. ed in mancanza di revoca del beneficio) determina l'estinzione degli effetti penali di cui all'art. 167 c.p.

Occorre, pertanto, distinguere, come fa il codice, effetti immediati della concessione del beneficio, fra i quali é da includere il nascere della fattispecie innanzi descritta (la sospensione condizionale, ai sensi dell'art. 166 c.p., non si estende alle pene accessorie ed agli altri effetti penali della condanna né alle obbligazioni civili nascenti dal reato) dagli effetti definiti differiti che (in mancanza, appunto, di revoca e in presenza dell'adempimento degli eventuali obblighi di cui all'art. 165 c.p.) si producono, a conclusione della vicenda aperta dalla concessione del beneficio. Con la sospensione condizionale, sottolineato che il beneficiato versa nello status di condannato (diversamente, non avrebbero fondamento giuridico l'esecuzione delle pene accessorie, eventuali obblighi di restituzioni, di pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno o di pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno) lo stesso beneficiato viene a trovarsi in una situazione (in una Rechtslage) che rende del tutto diversa la sua condizione da quella del minore giudizialmente perdonato.

É da questa diversa condizione che occorre prendere l'avvio per il confronto tra i due istituti; non si può, invero, partire dagli effetti estintivi dei benefici in parola (tanto diversi, peraltro, da far apparire i benefici stessi viventi in "dimensioni" diverse) giacché tali effetti estintivi, comunque li si intenda, nel perdono si verificano immediatamente e definitivamente mentre nella sospensione non é certo che si verifichino e, comunque, si producono alla fine d'una vicenda complessa e già realizzativa di contenuti punitivi.

6. - Il provvedimento di concessione del perdono giudiziale si rivela diverso da quello di concessione della sospensione condizionale della pena anche sotto altri profili.

La dottrina, tenuto conto delle osservazioni innanzi proposte, ha, talvolta, notato, soprattutto in sede d'alternativa tra i benefici da accordare al minore, che con la sospensione condizionale della pena si opera un tentativo di recupero, realizzato attraverso una fase sperimentale; ed ha anche osservato che alla certezza della prognosi favorevole, in ordine alla non ricaduta nel reato in sede di perdono, si contrappone il dubbio che, in sede di sospensione, residua, a seguito della stessa prognosi comunque favorevole. Si possono non condividere tali prese di posizione; ma non si può disconoscere che diversa é, benché in tutti i casi certa, la conclusione del giudizio prognostico nei due istituti qui a confronto: nel perdono il giudice ritiene che il minore s'asterrà dal commettere ulteriori reati facendo leva, fondamentalmente, sulle proprie capacità d'umana maturazione, mentre in sede di sospensione il giudice conclude nel senso che la minaccia dell'esecuzione della pena, durante il tempo della sospensione condizionale, é indispensabile od almeno utile a trattenere il beneficiato dal tornare a delinquere. Ed ognuno vede, in conseguenza, come e quanto siano diversi i risultati dei giudizi prognostici previsti dagli istituti in esame.

7. - Pertanto, per alcune questioni vengono principalmente in rilievo motivi d'unità tra i benefici in esame mentre, per altri fini, possono risultare determinanti le diversità tra i benefici stessi.

Ragioni d'unità rilevano certamente in sede d'estensione del perdono giudiziale ad uno dei reati, legato ad altro (già coperto dal beneficio) dal vincolo di continuazione.

La sentenza di questa Corte n. 108 del 1973 (che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 164 n. 4 c.p. nella parte in cui non consente l'estensione del perdono giudiziale ad altro reato che si lega con il vincolo della continuazione ad un reato per il quale é stato concesso il beneficio) senza dubbio trae spunto dalla sentenza n. 86 del 1970 e, sostanzialmente, applica al perdono giudiziale il principio accolto da quest'ultima sentenza.

L'unità del reato continuato non consente, infatti, diverse conclusioni per il perdono rispetto a quelle assunte in sede di sospensione condizionale della pena: il reato continuato (e lo testimonia l'abbondantissima bibliografia sul tema) é una salda, profonda unità legale di reato e non un fittizio (al solo scopo di mitigazione del cumulo delle pene) legame fra più reati: i fatti che compongono l'unità del reato continuato non possono, pertanto, essere diversamente trattati ai fini dei benefici in esame.

Coperto dalla sospensione condizionale della pena uno dei fatti incluso nel reato continuato, non può non estendersi la predetta sospensione (purché nei limiti oggettivi previsti dall'art. 163, primo comma, c.p.) ad altro fatto rientrante nello stesso reato continuato. Coperto dal perdono giudiziale uno dei fatti compresi nella continuazione, non può, non estendersi quest'ultimo beneficio, nei limiti oggettivi di cui al primo comma dell'art. 169 c.p., anche ad altro fatto incluso nella continuazione. É l'unità del reato continuato a richiamare le ragioni d'unità tra gli istituti della sospensione condizionale e del perdono giudiziale e ad impedire che motivi di diversità, tra gli istituti stessi, vengano comunque in rilievo.

Si tratta, in ogni caso, in senso proprio, non d'una "seconda" liberazione condizionale né d'un "secondo" perdono ma di un'estensione d'una precedente sospensione o d'un precedente perdono ad altro fatto successivamente giudicato.

Allo stesso modo, quanto ora sottolineato vale per le sentenze di questa Corte n. 73 del 1971 e n. 154 del 1976. Anche se si tratta di legami meno stretti di quelli che vincolano i diversi fatti inclusi nell'unità legale del reato continuato, l'esser stato commesso, il reato che si giudica, precedentemente alla prima sentenza concessiva del beneficio, importa da un canto che il soggetto non aveva ancora avuto notizia, all'epoca della commissione del reato che si giudica, della (posteriore) sentenza concessiva del beneficio (e non aveva, pertanto, fatto esperienza dell'ammonimento implicito nella sentenza stessa) e dall'altro che non si può precludere, per legge, al giudice di porsi nella stessa situazione (ai fini dell'estensione del beneficio al fatto ora al suo esame) in cui si sarebbe trovato il precedente giudice, ove avesse conosciuto e giudicato anche sull'ultimo fatto. Tutto ciò, s'intende, purché il cumulo delle pene rientri nei limiti previsti dagli artt. 163, primo comma, e 169, primo comma c.p.

La lettura, in parallelo, delle citate sentenze di questa Corte non dimostra, pertanto, che si sia voluto ricomporre ad unità, sul piano dei principi ispiratori e dell'applicazione, i due istituti della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena e del perdono giudiziale. Le ragioni di diversità tra gli stessi istituti non vengono in gioco a proposito delle questioni decise dalle preindicate sentenze; in esse, l'unità del reato continuato ed i particolari legami tra alcuni reati rende illegittimo, ai sensi dell'art. 3 Cost., non estendere anche al perdono giudiziale quanto ritenuto per la sospensione condizionale della pena.

Ai fini di cui alle predette sentenze, dunque, gli istituti in esame vanno accomunati: tali fini impediscono il rilievo di ragioni di diversità tra gli istituti stessi.

8. - Tutto ciò é tanto vero che, benché variamente sollecitato, soltanto il legislatore (e non questa Corte) ha provveduto all'ulteriore, e significativamente diverso, "passo" relativo ad una "seconda" liberazione condizionale. Le ordinanze di rimessione del Tribunale per i minorenni di Perugia appunto si rifanno al d.-l. 11 aprile 1974, n. 99 (convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220) che ha sostituito il testo dell'art. 164 c.p. (ed alla possibilità, di cui all'ultimo comma dello stesso articolo, di concessione "più di una volta" della liberazione condizionale) allo scopo di sostenere l'illegittimità costituzionale dell'art. 169 c.p., nella parte in cui non prevede una "seconda" concessione di perdono giudiziale.

Si tratta, dunque, d'un nuovo e diverso problema. Ci si riferisce a fatti commessi successivamente ad altri già coperti dal perdono, a nuovi fatti, del tutto slegati dai precedenti; nuovi fatti commessi quando il soggetto ha avuto notizia del precedente perdono ed ha così già avvertito l'ammonimento insito nel concesso beneficio. In questa nuova ipotesi vengono a diretto confronto (fuori dall'unità del reato continuato o da particolari legami tra alcuni reati) gli istituti in discussione: le ragioni di diversità tra gli stessi istituti divengono, così, da questo profilo, specificamente rilevanti.

Va, infatti, ancora particolarmente sottolineato che il perdono giudiziale equivale ad immediata e completa "liberazione" del minore mentre la liberazione condizionale lascia sospeso il "problema" della definitiva rilevanza del primo comportamento criminoso, che va appunto collegato con i comportamenti futuri del beneficiato per ricevere da questi ultimi la definitiva significazione penale: incidenza notevole, in proposito, ha, come s'è osservato, la "minaccia" dell'esecuzione della pena originariamente sospesa.

La concessione del "primo" perdono giudiziale realizza una situazione diversa dalla concessione della "prima" sospensione condizionale (soprattutto, per quest'ultima, durante il tempo necessario alla produzione degli effetti c.d. estintivi innanzi precisati). Le due situazioni, pertanto, ben possono essere diversamente trattate in relazione alla concessione d'un "secondo" beneficio.

9. - Ai fini della valutazione delle ordinanze in discussione le conclusioni sarebbero già chiare.

Non ci si può, tuttavia, sottrarre dall'accennare alle conseguenze che attualmente si realizzano a seguito della "seconda" sospensione condizionale (prevista dal modificato ultimo comma dell'art. 164 c.p.) ed alle conseguenze che si verificherebbero qualora, come richiesto dalle predette ordinanze, si ammettesse un "secondo" perdono giudiziale.

La sospensione condizionale disposta nel momento dell'inflizione d'una "nuova" condanna, dopo altra già concessiva dello stesso beneficio (sempre nei limiti di pena stabiliti dall'art. 163 c.p.) impedisce, é vero, la revoca della precedente sospensione ed ha come effetto immediato la nascita, in concreto, di una "seconda" fattispecie estintiva: quest'ultima, tuttavia, soltanto ove siano adempiuti gli obblighi di cui al secondo comma dell'art. 165 c.p. e trascorrano i nuovi termini (desunti dalla "nuova" sentenza) senza alcuna revoca della sospensione, produce i c.d. effetti estintivi di cui all'art. 167 c.p. Ma va sottolineato che, qualora il beneficiato commetta ancora altro reato oppure, comunque, sopravvenga la revoca della sospensione, ai sensi dell'art. 168, primo comma, c.p., il beneficiato stesso sconta tutte le pene alle quali é stato condannato.

Ben diversi sarebbero, invece, gli effetti giuridici d'un "secondo" perdono che per fatto successivo ad un primo già coperto dallo stesso beneficio (sempre nei limiti di pena di cui al primo comma dell'art. 169 c.p.). Il minore, già totalmente liberato dalle conseguenze sanzionatorie del primo fatto, verrebbe immediatamente liberato anche da quelle del "secondo" fatto, con l'ulteriore possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, del godimento di sospensioni condizionali per eventuali altri reati. La situazione in cui versa chi ottiene la sospensione condizionale é, come si é sottolineato innanzi, certamente diversa da quella in cui viene a trovarsi chi ottiene la concessione del perdono giudiziale: e ciò basterebbe per ritenere non palesemente irrazionale il diverso trattamento legislativo delle due situazioni. Ma, di più, il trattamento che riceverebbe il minore, già beneficiato, ove fosse destinatario d'un "secondo" perdono, sarebbe di gran lunga più favorevole dell'attuale trattamento del condannato, minore oppur no, che, avendo già usufruito d'una "prima" sospensione condizionale, sia destinatario d'una "seconda", ai sensi del quarto comma dell'art. 164 c.p.

L'estensione delle previsioni di cui a quest'ultimo articolo al perdono giudiziale privileggerebbe ancor di più il minore già beneficiato da un "primo" perdono rispetto al soggetto già fruitore d'una prima sospensione condizionale.

10. - Né va taciuto che il minore destinatario del perdono ha modo di sperimentare la grande fiducia che l'ordinamento ripone, per il futuro, in lui, nelle sue capacità di autodisciplina e non può non avvertire l'ammonimento implicito nella fiducia dimostratagli, attraverso la completa ed immediata liberazione dalle conseguenze penali del primo fatto. Non altrettanto può rilevarsi per il condannato destinatario della sospensione condizionale.

Il significato della "ricaduta" da parte del minore già perdonato é, dunque, diverso, e più grave, dalla ricaduta nel reato del condannato a pena condizionalmente sospesa. Se sia opportuno concedere anche al minore, insensibile ai richiami contenuti nel "primo", un "secondo" perdono, sempre nei limiti di pena indicati dall'art. 169 c.p., é questione, dunque, che spetta al legislatore risolvere. Si tratterebbe d'ulteriormente e maggiormente (rispetto al condannato con pena sospesa) agevolare chi é già stato trattato, in occasione del primo fatto criminoso, più favorevolmente del condannato fruitore della sospensione condizionale della prima pena.

11. - Da ultimo va ricordato che il legislatore del 1974 ha circondato di cautele la sospensione condizionale concessa a chi ha già fruito d'una precedente sospensione.

Mentre, in generale, la sottoposizione della concessione del beneficio ad obblighi (relativi alle restituzioni, al risarcimento del danno, alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno ed all'eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato) é, per il primo comma dell'art. 165 c.p., facoltativa, il secondo comma dello stesso articolo recita: "La sospensione condizionale della pena, quando é concessa a persona che ne ha già usufruito, deve esser subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente, salvo che ciò sia impossibile". Qualora s'estendesse al perdono quanto previsto per la sospensione condizionale, e cioé fosse data la possibilità di concedere al minore un "secondo" perdono, si vanificherebbero anche le cautele legislativamente assunte in sede di concessione della "seconda" sospensione condizionale, non essendo ipotizzabili restituzioni, risarcimento ecc. in relazione ad un fatto per il quale non v'è condanna: oppure occorrerebbe predisporre altre cautele per il "secondo" perdono. Ma tutto ciò, ovviamente, non può esser oggetto di decisioni di questa Corte.

Le conclusioni qui raggiunte sono confortate dal rilievo secondo il quale, tenuto conto della diversità delle prognosi (pur entrambe d'esito favorevole) relative al perdono ed alla sospensione, qualora il minore si rivelasse ancora degno d'una prognosi favorevole in ordine alla ricaduta nel reato, valida ai fini della concessione della sospensione, ben potrebbe fruire, dopo il primo perdono, d'una prima e, successivamente, anche d'una seconda sospensione condizionale della pena.

12. - Le ordinanze di remissione del Tribunale per i minorenni di Perugia, oltre all'art. 3 Cost. (che si é già motivato non essere invocabile nella specie) fanno riferimento anche all'art. 2 Cost., assumendo che "il minore é titolare d'un diritto fondamentale alla sua educazione, che potrebbe essere pregiudicato qualora, per il divieto di concedere a lui un secondo perdono giudiziale, dovesse subire un precoce impatto con il carcere; pertanto potrebbe profilarsi anche un contrasto della norma di cui all'art. 169 c.p. con l'art. 2 Cost.".

A parte i dubbi relativi all'"impatto con il carcere" (per il perdono relativo alla pena pecuniaria non sorgono particolari questioni) che non sembra possa qualificarsi precoce quando si verifica (dopo la concessione del perdono per il primo fatto) a seguito della commissione d'un secondo fatto di reato, va sottolineato che, rivelatasi errata la favorevole prognosi (formulata dal giudice in occasione del primo perdono) di non ricaduta nel reato, l'esecuzione della pena per il secondo reato é da ritenersi frutto d'una non irrazionale scelta del legislatore, tesa appunto a realizzare esigenze rieducative del minore. Anche le pene tendono alla rieducazione, non soltanto le misure liberatorie quali il perdono giudiziale.

Neppure il riferimento all'art. 2 Cost., può, dunque, condurre all'invocata dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 169 c.p.

13. - Le argomentazioni innanzi addotte valgono anche per ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169, ultimo comma c.p., nella parte in cui non limita il divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai casi in cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti delittuosi. Questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.

L'ordinanza n. 309 Reg. ord. 1980, emessa il 5 marzo 1980 dal Tribunale per i minorenni dell'Aquila degli Abruzzi e le ordinanze nn. 338 e 339 Reg. ord. 1981, emesse il 25 febbraio 1981 dallo stesso Tribunale, sostengono che l'ultimo comma dell'art. 169 c.p. realizzi un'ingiustificata discriminazione tra i minori che abbiano usufruito d'un precedente perdono giudiziale per fatti contravvenzionali, ai quali minori non é consentita la concessione d'un "secondo" perdono, rispetto ai minori che per gli stessi fatti contravvenzionali siano stati invece condannati (a questi ultimi minori, può, invece, essere concesso il perdono giudiziale); e sollevano, in relazione all'art. 3 Cost., la preindicata questione di costituzionalità dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p.

Sono state già ampiamente chiarite le diversità tra gli istituti del perdono giudiziale e della sospensione condizionale della pena e, conseguentemente, le ragioni per le quali non é irrazionale la scelta del legislatore che ha ammesso per la sospensione condizionale, e non per il perdono una "seconda" concessione. E sono state anche chiarite le ragioni per le quali non é questa Corte che può dichiarare l'ammissibilità di un "secondo" perdono giudiziale.

Ricordato ciò, poiché le citate ordinanze del Tribunale per i minorenni dell'Aquila lamentano anch'esse, al pari delle ordinanze del Tribunale per i minorenni di Perugia, il divieto legislativo di concessione d'un "secondo" perdono, ogni discussione in proposito dovrebbe ritenersi conclusa.

Senonché, le ora ricordate ordinanze sottolineano, questa volta, la discriminazione che i minori, beneficiari d'un "precedente" perdono giudiziale per fatti contravvenzionali, subirebbero nei confronti di minori già condannati per gli stessi fatti: ai "già condannati" é infatti consentito godere del perdono per un secondo "fatto" mentre ai "già perdonati" non é consentita la concessione d'un "secondo" perdono.

Anche quest'ultima questione di legittimità costituzionale é infondata.

Allo stesso modo come, in precedenza, é stata precisata la diversità tra la situazione del beneficiario di perdono giudiziale rispetto a quella del beneficiario di sospensione condizionale della pena, deve ora esser chiarita la diversità della situazione in cui versa il perdonato, rispetto a quella del condannato, come tale, sia stata o meno la pena condizionalmente sospesa.

Si é ricordato che il perdono giudiziale, anche quando viene concesso con sentenza dibattimentale, non presuppone una sentenza di condanna e che, in conseguenza, il beneficiaro di perdono non acquista la qualità di condannato: il minore "perdonato", invece d'esser condannato, viene liberato, ed immediatamente, da ogni conseguenza sanzionatoria di carattere penale.

Né si può ritenere che dal provvedimento concessivo del perdono s'evinca che il fatto realizzato dal minore sia di "non grave" disvalore penale rispetto a quello commesso dal minore che viene condannato: per quanto concesso a seguito di valutazione di tutti gli estremi di cui all'art. 133 c.p. (e pertanto anche a seguito della valutazione del fatto di reato) il perdono giudiziale attiene al futuro, consegue alla prognosi certa che il minore s'asterrà, in futuro, dal commettere ulteriori reati, riguarda principalmente il soggetto e non il fatto.

Certo, anche il disvalore di quest'ultimo, assumendo il ruolo di criterio, fra gli altri, in base al quale il giudice emette la precitata prognosi favorevole, contribuisce a determinare quest'ultima e, conseguentemente, il provvedimento, immediatamente liberatorio, del perdono. Ma, mentre nessuno può, a beneficio concesso, stabilire quanta parte abbia giocato, nella formulazione della prognosi favorevole in ordine alla non "ricaduta", l'esito della valutazione del fatto (della sua antigiuridicità) rispetto all'esito della valutazione del soggetto, come tale, e della sua capacità a delinquere (di cui al capoverso dell'art. 133 c.p.) v'é da tener presente che il secondo fatto, da parte di chi ha già goduto d'un precedente perdono (anche quando il primo fatto abbia natura contravvenzionale), non solo dimostra errata la prognosi favorevole emessa in occasione del primo fatto ma evidenzia anche che il minore non ha utilizzato, a fini auto-rieducativi, il provvedimento penalmente liberatorio, non ha restituito alla società la fiducia in lui riposta. Il legislatore prende atto che né quest'ultima né l'ammonimento implicito nel "primo" perdono hanno avuto effetto risocializzante sul minore: e, pertanto, non irrazionalmente preclude, una nuova prognosi di non ricaduta nel reato, ai fini della concessione d'un "secondo" perdono. Lo stesso legislatore ritiene, dunque, prevalenti rispetto ad altre considerazioni, che pur potrebbero esser proposte (il secondo fatto ad esempio potrebbe esser frutto d'una immaturità sicuramente superabile con l'avanzare dell'età) quelle attinenti all'insensibilità dimostrata dal minore nei confronti del significato del perdono precedentemente goduto.

Le indicate ragioni d'insensibilità non si pongono, invece, per il già condannato: questi, non essendo stato destinatario del beneficio in esame, versa in diversa situazione, dopo il primo reato; non ha da utilizzare, a fini rieducativi, alcun provvedimento immediatamente e definitivamente liberatorio né ha da "restituire" alla società un'incondizionata fiducia che la stessa società non ha nutrito in lui. E, pertanto, ove il secondo reato si riveli principalmente dovuto ad immaturità derivante dalla minore età, lo stesso legislatore non irrazionalmente esclude preclusioni in ordine alla concessione del "primo" perdono giudiziale.

É, pertanto, sempre ammissibile, una "nuova" prognosi favorevole, anche per i già perdonati, di non ricaduta nel reato, valida ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, tenuto conto della diversa natura, innanzi chiarita, delle prognosi relative, rispettivamente, al perdono giudiziale ed alla sospensione condizionale.

Non irrazionalmente, dunque, il legislatore, atteso il diverso significato della ricaduta nel reato del già condannato per fatti contravvenzionali e della "ricaduta" del già perdonato per gli stessi fatti, ritiene ammissibile la concessione del "primo" (da sottolinearsi) perdono giudiziale ai già condannati per fatti contravvenzionali e non la concessione d'un "secondo" perdono ai già perdonati per gli stessi fatti. A diversità di situazioni, a diversità di significati della "reiterazione", non irrazionalmente il legislatore fa corrispondere diverse conseguenze, ai fini della concessione del perdono, rispettivamente per il già condannato e per il già perdonato per fatti contravvenzionali.

Anche la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., delle più volte citate ordinanze del Tribunale per i minorenni dell'Aquila, va, dunque, dichiarata infondata.

PER QUESTI MOTIVi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169 c.p. sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dal Tribunale per i minorenni di Perugia con ordinanze del 15 dicembre 1978 (Reg. ord. n. 401/79) e dell'11 maggio 1979 (Reg. ord. n. 951/79);

2) dichiara del pari non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p., nella parte in cui non limita il divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai casi in cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti delittuosi, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale per i minorenni degli Abruzzi dell'Aquila con ordinanze del 5 marzo 1980 (Reg. ord. 309/80) e del 25 febbraio 1981 (Reg. ord. n. 338/81 e n. 339/81).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 19 dicembre 1986.

 

Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 31 dicembre 1986.