Sentenza n. 269 del 1986

 

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 269

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n. 1278 (Adozione di nuove norme penali in materia di emigrazione) promosso con ordinanza emessa il 10 maggio 1979 dal Pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Bottaro Giovanni iscritta al n. 610 del registro ordinanze 1979 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 dell'anno 1979;

udito nella camera di consiglio dell'8 ottobre 1986 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto in fatto

Il Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 10 maggio 1979 nel procedimento a carico di Bottaro Giovanni - imputato del reato di cui all'art. 5 della legge 24 luglio 1930, n. 1278 (Adozione di nuove norme penali in materia di emigrazione) per aver eccitato l'emigrazione di cittadini italiani mediante la pubblicazione, su un quotidiano, d'un annuncio contenente un'offerta di lavoro- ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 21 e 35 Cost., del suddetto art. 5 nella parte in cui limita la libertà d'espressione e la libertà d'emigrazione. Osserva il giudice a quo che la disposizione impugnata va inquadrata in un complesso di disposizioni storicamente determinate a limitare, se non addirittura ad impedire, l'esercizio del diritto d'emigrazione, incriminando "l'eccitamento" alla medesima compiuto per qualsiasi fine ed in qualsiasi maniera in sintonia con gli intendimenti del regime allora vigente, diretto a comprimere qualsiasi forma di propaganda non collimante con i fini politici ed economici perseguiti. Questa disposizione, però, si pone in contrasto con gli artt. 35 e 21 della nuova Carta costituzionale, tesi a garantire l'esercizio del diritto d'emigrare e, di conseguenza del diritto di propagandare un'attività lecita, diritti entrambi limitati dalla disposizione in esame.

L'inciso dell'art. 35 Cost. ("salvo gli obblighi di legge nell'interesse generale"), aggiunge l'ordinanza di rimessione, non é pertinente al caso in esame e non può costituire il presupposto di qualsivoglia eccezione alla libertà d'emigrazione. Infatti, a differenza dell'art. 2 della medesima legge n. 1278 del 1930 (che punisce l'agevolazione all'emigrazione se compiuta "in contravvenzione, alle leggi, ai regolamenti ed agli ordini dell'autorità competente") l'art. 5 non fa parola di alcuna autorizzazione necessaria per poter esercitare il diritto di propaganda all'emigrazione, che dovrebbe, quindi, ritenersi sanzionata prescindendo da qualsiasi atto autorizzativo al riguardo.

Il giudice a quo conclude sottolineando la differenza tra la norma impugnata e quella di cui al precedente art. 4 oggetto della sentenza di infondatezza n. 26 del 1957. Infatti, mentre il preindicato art. 4 vieta l'attività speculativa di chi approfitti dello stato di bisogno del futuro emigrante, tale fine non é certamente presente nel primo comma dell'art. 5: quest'ultimo, invero, punisce l'eccitamento all'emigrazione, in sé considerato, senza ulteriore specificazione dei motivi.

La libertà d'emigrazione dovrebbe, invece, essere tutelata anche sotto l'aspetto strumentale della propaganda all'emigrazione, così come avviene per ogni altro diritto costituzionalmente garantito, nella misura in cui l'esercizio del diritto non venga distorto per fini speculativi nei confronti di chi é economicamente più debole.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

Dinanzi alla Corte non vi é stata costituzione di parti né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Considerato in diritto

1. - Vanno anzitutto esaminate due questioni preliminari. La prima in ordine all'oggetto del presente giudizio, la seconda attinente all'autonomia delle ipotesi delittuose di cui al primo ed al secondo e terzo comma dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n. 1278.

In ordine alla prima questione va osservato che, se é vero che l'ordinanza di rimessione, nel dispositivo, solleva questione di legittimità costituzionale in relazione, genericamente, all'art. 5 della legge ora indicata, é altresì vero che l'ordinanza stessa propone censure specifiche in relazione alla sola fattispecie tipica prevista dal primo comma del predetto art. 5 e non anche in relazione alle ipotesi delittuose di cui ai capoversi del medesimo. Va ancora rilevato da un canto che l'imputazione elevata nel procedimento a quo attiene al solo delitto di cui al primo comma del precitato articolo e dall'altro che il giudice rimettente sottolinea che il predetto primo comma, sanzionando penalmente l'eccitazione all'emigrazione senza ulteriori specificazioni, non può sostenersi essere indirizzato alla tutela della buona fede dell'emigrante né diretto ad impedire speculazioni nei confronti di chi é economicamente più debole: poiché le "notizie ed indicazioni false" ed i "motivi di lucro" sono espressamente previsti dalle ipotesi di cui al secondo e terzo comma dell'articolo in esame, l'eccezione d'illegittimità costituzionale deve ritenersi riferita al solo primo comma del più volte citato art. 5 della legge in discussione.

2. - La seconda questione preliminare sorge dalla soluzione data alla prima.

Essendo oggetto del presente giudizio la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n. 1278, si pone il quesito se i modelli incriminati nei capoversi del citato articolo siano o meno autonomi nei confronti dell'ipotesi delittuosa prevista dal primo comma dello stesso articolo.

Al quesito va data, senza dubbio, risposta affermativa. Seguendo autorevole dottrina si potrebbe, infatti, sostenere che, anche quando i modelli di cui ai capoversi dell'articolo in discussione costituissero ipotesi circostanziate del fatto "semplice" incriminato nel primo comma, ugualmente i precitati modelli costituirebbero autonome fattispecie tipiche: anche le ipotesi circostanziate, infatti, sarebbero, secondo la sopra richiamata dottrina, incriminate a tutela di beni giuridici diversi da quelli garantiti attraverso l'incriminazione del relativo fatto "semplice".

Senonché, a parte ogni questione attinente alla natura di fattispecie tipiche circostanziate, o meno, delle ipotesi di cui ai capoversi dell'art. 5 della legge in esame, va sottolineato che le stesse ipotesi sono senza dubbio "speciali" rispetto a quella "generale" (o "semplice") prevista dal primo comma dell'articolo più volte citato, ma sono speciali per aggiunta e non per specificazione. Il "fine di lucro" o le "notizie ed indicazioni false", infatti, non specificano alcun elemento della fattispecie "generale" ma si aggiungono agli elementi individuati in quest'ultima: il predetto fine e le indicate notizie sono dal legislatore aggiunti agli elementi della fattispecie "generale" (e, pertanto, vietati) in quanto attraverso essi lo stesso legislatore ritiene si ledano beni giuridici diversi da quelli garantiti mediante l'incriminazione della fattispecie "generale" ed "indifferenti "rispetto all'incriminazione stessa.

La diversità dei beni tutelati dai divieti di cui ai capoversi dell'articolo in discussione, rispetto ai beni tutelati dal divieto di cui al primo comma dello stesso articolo, rende pertanto, i citati capoversi sicuramente autonomi. Conseguentemente, l'illegittimità costituzionale del primo comma non coinvolge valutazioni relative alle ipotesi delittuose previste dai capoversi del più volte citato articolo. Di tali valutazioni, dunque, in questa sede si può non discutere; né la validità delle stesse ipotesi criminose é in alcun modo condizionata dalla validità costituzionale del preindicato primo comma.

3. - Nell'esame del merito della controversia va rilevato, prima d'ogni altra considerazione, che l'ipotesi delittuosa prevista dal primo comma dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n.1278 (che il giudice a quo ritiene ancora vigente nel nostro ordinamento) non trova alcun precedente nella legislazione anteriore al 1930 ed é in contrasto con l'orientamento seguito da quest'ultima in sede di composizione strutturale delle fattispecie tipiche di propaganda tesa a favorire l'emigrazione. Tutte le leggi penali anteriori al 1930, infatti, nel vietare l'eccitazione, attraverso mezzi di pubblicità, all'emigrazione, ipotizzano fattispecie tipiche nelle quali caratteristica, requisito essenziale, é il fine di lucro oppure la diffusione di notizie false; ed a volte sono richiesti entrambi i requisiti, con o senza l'inganno del destinatario dell'eccitazione.

Già l'art. 17, primo comma, della legge 31 gennaio 1901 n. 23, nel vietare "al vettore ed ai suoi rappresentanti di eccitare pubblicazione ad emigrare", tende ad evitare che si speculi, per lucro, su condizioni di particolare bisogno e, conseguentemente, di minore resistenza all'eccitazione. Conferma del rilievo secondo il quale il fine di lucro é implicito nel comportamento incriminato dal primo comma della legge n. 23 del 1901 si ha (a parte l'ovvia considerazione che il vettore, almeno di regola agisce per motivi di lucro) ricordando che l'art. 34 della legge 2 agosto 1913, n. 1075, nel sostituire il primo comma dell'ora citato art. 17 della legge n. 23 del 1901, estende a "chiunque" il divieto d'eccitazione, con mezzi pubblicitari, all'emigrazione ma richiede necessariamente, per "chiunque", il fine di lucro o la diffusione di notizie false.

L'art. 14, primo comma, del T.U. sull'emigrazione, approvato con il regio decreto legge 13 novembre 1919 n. 2205, nel riproporre l'ipotesi criminosa di cui all'art. 34 della precitata legge 2 agosto 1913 n. 1075, recita: "... chiunque, a fine di lucro eccita ad emigrare e chiunque con manifesti, circolari, guide o con pubblicazioni di ogni genere concernenti l'emigrazione diffonde notizie o indicazioni false o diffonde... notizie di tale natura stampate all'estero... é punito.... ecc.". É fin troppo evidente che le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 14 del precitato Testo Unico espressamente prevedono l'una "il fine di lucro" l'altra le "notizie od indicazioni false". Il tipo di cui al secondo comma dello stesso art. 14 prevede, poi, entrambi i predetti elementi, oltre all'inganno dell'emigrante, come elementi essenziali all'ipotesi ivi incriminata.

Anteriormente al 1930, il legislatore, dunque, non ha mai penalmente sanzionato fatti d'eccitazione all'emigrazione con mezzi pubblicitari dai quali esulino, quanto meno, il fine di lucro o le notizie false.

E s'intende bene il perché: la struttura delle fattispecie tipiche incriminate dalle norme anteriori al 1930 svelano, infatti, chiaramente l'oggetto giuridico tutelato attraverso l'incriminazione delle fattispecie stesse: era interesse dello Stato evitare speculazioni strumentalizzatrici dell'impazienza od ignoranza degli emigranti e garantire i medesimi dalle insidie insite nelle notizie od indicazioni false. Non va dimenticato che l'emigrante é soggetto economicamente debole, che verte in situazioni di particolare bisogno e che, pertanto, é razionale che sia tutelato dallo Stato contro speculazioni, inganni ed errori realizzati attraverso la propaganda pubblicitaria. Il primo comma dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n. 1278 bruscamente interrompe l'orientamento legislativo innanzi descritto e, per la prima volta, sanziona penalmente il fatto di chi, senza alcun motivo di lucro e senza diffondere notizie od indicazioni false, eccita con mezzi pubblicitari all'emigrazione. Il legislatore del 1930, infatti, mentre colloca al secondo e terzo comma dell'articolo in esame le ipotesi, precedentemente incriminate, d'eccitazione all'emigrazione per motivi di lucro od attraverso notizie false, formula un "autonomo" primo comma nel quale penalmente sanziona l'inedita ipotesi d'eccitazione all'emigrazione con mezzi pubblicitari dalla quale esulano del tutto motivi di lucro e notizie false. L'intitolazione della legge 24 luglio 1930 n. 1278 é, peraltro, particolarmente significativa: "Adozione di nuove norme penali in materia di emigrazione".

4. - Senonché, eliminando dalla struttura della fattispecie tipica prevista dal primo comma dell'articolo 5 della legge in discussione i motivi di lucro e le notizie od indicazioni false, diviene davvero poco agevole spiegare la ratio dello stesso comma e, con essa, l'oggetto giuridico tutelato attraverso l'incriminazione della fattispecie tipica ivi prevista.

Almeno a prima vista, sembra inspiegabile che lo Stato possa aver interesse ad impedire che il cittadino sia indotto ad emigrare dalla propaganda, ove l'emigrazione stessa non sia vietata. Perché la determinazione del cittadino ad emigrare dovrebbe sorgere solo spontaneamente o per consigli offerti da privati, fuori dalle forme pubblicitarie? Se si parte dal punto di vista del soggetto emigrante, é davvero difficile ritrovare un interesse dello stesso soggetto a non ricevere retti e disinteressati consigli, "pubblici" o "privati" che siano. E, d'altra parte, dal punto di vista dello Stato, se é ipotizzabile un interesse del medesimo a che gli emigranti non siano ingannati o sfruttati, riesce difficile ammettere l'esistenza d'un interesse ad impedire che si ecciti l'emigrazione senza fini di lucro, per pura solidarietà, attraverso la comunicazione di notizie vere, senza alcun tentativo di frode.

Vero é che, ove si consideri l'ipotesi criminosa qui in discussione, senza allargare la visuale al sistema politico-giuridico del 1930, al clima nel quale si andavano realizzando particolari fini statuali in materia d'emigrazione, la stessa ipotesi non soltanto non mostra un accettabile oggetto giuridico specifico ma, almeno a prima vista, sembra mancare del tutto d'una sua ratio. Al contrario, ove si tengano presenti i particolari fini dello Stato, ai quali si accennerà subito, il primo comma dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n. 1278 acquista un ben preciso significato: anzi, appare come diretta conseguenza di particolari fini dello Stato.

Se, come si é ricordato, il legislatore del 1930, nell'escludere deliberatamente dalla fattispecie tipica di cui qui si discute il fine di lucro e le notizie false, non può aver tutelato l'emigrante da attacchi fraudolenti o comunque negativamente incidenti sulla sua particolare situazione di bisogno, di tensione emotiva, d'ansiosa attesa di trovar lavoro o di realizzare, fuori dallo Stato italiano, il lavoro preferito, non resta che esaminare attentamente i diversi fini che lo Stato si propone nell'impedire che una "pluralità" di cittadini riceva messaggi "veri" e disinteressati in materia d'emigrazione.

E l'emigrazione come fenomeno "di massa", collettivo, che si vuole, intorno al 1930, impedire o, meglio, sottrarre alla determinazione di privati: diversamente, non s'intenderebbe il perché del divieto dell'eccitazione all'emigrazione realizzata soltanto attraverso "manifesti, circolari, guide, pubblicazioni o con qualsiasi mezzo di pubblicità".

Ci si prefigge di riservare allo Stato il monopolio nella determinazione dell'emigrazione come fenomeno "di massa": per ciò s'impedisce, nel 1930, ai privati sempre l'eccitazione di tal fenomeno, non si fa cenno, infatti, nel tipo in esame, neppure dell'elemento (negativo) della mancanza di autorizzazione. L'emigrazione, come fatto individuale, rimane nella zona del "non vietato": di questo aspetto dell'emigrazione il legislatore non si occupa nel 1930. Lo stesso Stato non ha motivo d'occuparsi del diritto soggettivo, della libertà d'emigrazione e tantomeno della formazione della volontà d'emigrare o delle effettive possibilità d'emigrare. La legge in esame nulla dice in ordine a tutto ciò; né dalle norme penali ivi previste é dato trarre segnali relativi alla tutela di interessi di tal genere.

Importante é, nel 1930, che lo Stato, e soltanto lo Stato, diriga, orienti, determini l'emigrazione di massa: questa é guardata con sfavore, tenuto conto del "numero", che é potenza, e deve essere conservato, assicurato e, ove possibile, aumentato. L'emigrazione di massa può, a volte, essere consentita ma soltanto per fini contingenti dello Stato (ad esempio, popolare, "civilizzare" colonie o terre lontane). Di regola, no. Le braccia e la mente dei cittadini devono essere a disposizione dello Stato.

Soltanto questi ultimi interessi, che si accordano, peraltro, con una generale politica demografica dello Stato italiano intorno al 1930 (come può uno Stato che tende ad incrementare, quanto più possibile, la popolazione, attraverso i ben noti "incentivi" demografici, consentire a privati la pubblica eccitazione all'emigrazione?) consentono di cogliere la ratio e, con essa, l'interesse tutelato attraverso l'incriminazione del tipo delittuoso in esame.

Si noti: questa disamina introduce l'interprete ad intendere appieno da un canto come l'eccitazione, la propaganda all'emigrazione, essendo strumentale, accessoria a quest'ultima, é con la medesima strettamente collegata (di tal che la visione generale ed i punti di vista particolari, in tema d'emigrazione, si riflettono necessariamente sulla valutazione della propaganda eccitativa della medesima) e dall'altro come le ideologie fondamentali assunte dallo Stato condizionano, almeno di regola, la posizione che lo stesso Stato assume nei confronti dell'emigrazione e, conseguentemente, della propaganda od eccitazione all'emigrazione. Soltanto lo stretto legame tra il regime politico-costituzionale vigente nel 1930, le visioni generali in tema d'emigrazione dello stesso regime ed i particolari interessi tutelati con l'incriminazione del tipo delittuoso in esame consentono, infatti, d'individuare la ratio della norma impugnata.

5. - Cadute le ideologie assunte a fondamento del regime autoritario vigente nel 1930 é oggi ancora conforme alla Costituzione del 1948 la ratio della norma penale in discussione?

Si badi: qui si tratta di ratio, di bene tutelato attraverso l'incriminazione del fatto tipico di cui alla disposizione impugnata, non, genericamente, di occasioni nelle quali é stata emanata la disposizione in esame. Ove, tuttavia, si ritenesse che le osservazioni che precedono individuino soltanto, genericamente, finalità od occasioni contingenti (cadute le quali ben può, tuttavia, la norma in discussione conservare validità in ragione di beni o valori accolti dalla nuova Costituzione) andrebbe sottolineato che non esistono "altri" beni o valori che possano comunque legittimare il divieto di cui alla disposizione impugnata.

La precitata ratio ed il bene giuridico tutelato (l'interesse dello Stato a che il cittadino non sia indotto ad emigrare dalla propaganda realizzata con mezzi di pubblicità) attraverso l'incriminazione del fatto in esame non sono, oggi, in alcun modo compatibili con le visioni ideologiche poste a fondamento della vigente Costituzione e contrastano con precise ed inequivocabili norme espressamente previste dalla medesima.

Va, anzitutto, rilevato che l'espressa menzione della libertà d'emigrazione, di cui all'art. 35, quarto comma, Cost. e la sottoposizione della medesima ai soli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale sono, appunto, diretta derivazione della volontà del Costituente di contrastare la visione, in materia, del legislatore del 1930. L'on. Dominedò, presentatore dell'emendamento in base al quale il presidente dell'Assemblea costituente, su esplicita adesione del presidente della terza sottocommissione, che propose, nella seduta dell'8 maggio 1947, la modifica della formula del terzo comma dell'art. 30 del progetto (attuale quarto comma dell'art. 35 Cost.) così si espresse nella menzionata seduta dell'assemblea plenaria: "... lo scopo del mio emendamento é quello di far sì che sia pienamente riconosciuta nella Costituzione la libertà d'emigrazione, senza condizionarla all'eventualità di deroghe illimitate da parte della legge". Ed aggiunse: "Chi ricordi le gravi ferite portate al diritto di emigrare, per ragioni militariste, nazionaliste o razziste, vorrà riconoscere la necessità che domani sia preservato da altri pericoli il diritto dell'uomo alla piena espansione della propria personalità e quindi il diritto di partecipare alla vita della comunità dei popoli".

Se si tiene presente che nello Statuto albertino non era espressamente menzionato il diritto d'emigrare e che nell'art. 1 della legge 31 gennaio 1901 n. 23, nel dichiarare che l'emigrazione é libera, si aggiungeva, in modo del tutto generico, "nei limiti stabiliti dal diritto vigente" (nella legge 24 luglio 1930 n. 1278 nulla, ovviamente, si dice in ordine alla libertà d'emigrazione); se si sottolinea la significatività del termine "riconosce", di cui all'art. 35, quarto comma, Cost., e lo si pone in relazione allo stesso termine usato nell'art. 2 Cost.; da un canto ci si rende pienamente conto che nella vigente Costituzione la libertà d'emigrazione é un diritto fondamentale, che lo Stato "riconosce" e non attribuisce (e che, pertanto, può essere fatto valere anche nei confronti dello Stato) e, dall'altro, s'intende appieno che non può farsi rientrare nei "limiti " di cui al quarto comma dell'art. 35 Cost. (come pure é stato sostenuto) una "concessione" al legislatore ordinario di vietare la propaganda eccitatoria dell'esercizio del diritto di emigrare: i limiti di cui all'ora citato articolo attengono, peraltro, al diritto del singolo emigrante e non a terzi che intendono eccitare l'emigrazione.

Né va taciuta l'esatta visione che il Costituente ebbe della complessità del fenomeno emigratorio e dell'evoluzione che il medesimo andava rivelando in Italia.

Non é senza rilievo che, durante i lavori dell'Assemblea costituente, il tema dell'emigrazione, inizialmente proposto in sede di discussione dell'art. 10 del Progetto (attuale art. 16 Cost.) fu, nella seduta antimeridiana dell'11 aprile 1947 dell'assemblea plenaria, rimandato all'esame dell'art. 30 del Progetto (attuale art. 35 Cost.) appunto in considerazione dell'incidenza del tema anche sulla materia della libertà di lavoro. E va ricordato altresì che, nella precitata seduta, uno dei Costituenti sottolineò che i nuovi emigranti non costituivano più le "turbe cenciose di un tempo ma i cittadini nuovi della vera civiltà italiana, la civiltà del lavoro...".

Nessuno può disconoscere per un verso che questa visione del fenomeno emigratorio certamente contrasta con la considerazione che del fenomeno stesso ebbe la legislazione precedente al 1948 e per altro verso che non é pensabile che la Costituzione vigente "conceda" o "permetta" al legislatore ordinario monopolii tesi ad indirizzare arbitrariamente (per fini contingenti) l'emigrazione: un legislatore che, ancorato a visioni arretrate del fenomeno emigratorio, ritenesse, oggi, di poterlo determinare autoritariamente, come "anonimo" fenomeno di massa, si porrebbe nettamente contro la Costituzione.

6. - Da quanto precede risulta che non é condivisibile l'affermazione secondo la quale la Costituzione riconosce il diritto soggettivo d'emigrare ma non il diritto di far propaganda "per far emigrare".

Senza dubbio, la libertà, il diritto d'emigrare é distinto dal diritto di propaganda tesa a far emigrare: quest'ultimo é, infatti, da ritenersi, come é stato già notato, " strumentale", "accessorio" al primo o meglio, all'esercizio del primo. Per vero, la libertà d'emigrazione, il diritto d'emigrare é, già per sé, difficilmente compatibile con divieti di attività di propaganda, disinteressata ed inidonea ad ingannare, tesa all'esercizio della predetta libertà. Tuttavia, ove quest'ultima fosse guardata "con sfavore" da un determinato sistema di norme (si é già notato che non si poteva, dal legislatore del 1930, vietare in toto, l'emigrazione, in quanto, a volte, come fenomeno "di massa", poteva giovare allo Stato, ma essa, come fenomeno individuale, era, dallo stesso legislatore, certamente considerata con sfavore) sono configurabili una libertà d'emigrazione e, insieme, un divieto di propaganda tesa a far emigrare. Come é ipotizzabile, anche quando la libertà d'emigrazione sia costituzionalmente sancita, un limite alla propaganda, tesa a far emigrare, "falsa" (basata su "notizie" od elementi comunque non rispondenti al vero) idonea ad ingannare (per quanto, l'evoluzione degli attuali emigranti é tale da far sorgere almeno qualche dubbio in materia) od un limite alla stessa propaganda quand'essa sia interessata, quando strumentalizzi, "per lucro", l'ansia, la tensione emotiva di chi é senza lavoro.

Allorché, invece, la libertà d'emigrazione é costituzionalmente, ed in maniera espressa, sancita; allorché, come é stato esplicitamente dichiarato da alcuni Costituenti, essa deve rimanere, quanto più possibile, scevra da limiti (solo eccezionalmente può essere condizionata da obblighi derivanti dal bene comune, dalla tutela di interessi generali d'una comunità democraticamente orientata); allorché tale libertà non soltanto non é guardata con sfavore ma é "riconosciuta "come bene, valore fondamentale, realizzativo della personalità umana (non nasce, infatti, quale "graziosa concessione", dello Stato) essa va tutelata e garantita.

A nulla od a ben poco varrebbe riconoscere esplicitamente la libertà d'emigrazione quando non ci si adoperasse a rendere effettivo l'esercizio di tale libertà: e rendere effettivo, libero, l'esercizio del diritto d'emigrazione equivale a porre in grado il cittadino di "conoscere", quanto più possibile, notizie, elementi, dati ecc. relativi all'esercizio del diritto stesso. Il modo di formazione della concreta volontà d'emigrare é inscindibile dal contenuto della medesima: se libero é il contenuto, se libera é la scelta verso uno od altro contenuto volitivo, libero deve anche essere il modo di formazione dello stesso contenuto volitivo. Anche lo Stato può assumere iniziative tese a fornire elementi, conoscenze ecc. a chi é senza lavoro. Ma che lo Stato, adempia o meno a tale compito, vieti a terzi di propagandare, senza alcun motivo, di lucro, dati, elementi, veri, relativi all'emigrazione, é contrario all'art. 35, quarto comma, Cost. ed a tutto il sistema ideologico-politico sul quale é fondata la vigente Costituzione. Lo Stato impedirebbe, ove vietasse tale propaganda, la normale formazione della volontà del cittadino, attribuendo a sé il monopolio della formazione (almeno di quella che avviene attraverso mezzi di pubblicità) della stessa volontà.

Al massimo, si può ritenere molto raro che alcuno, diffondendo notizie conformi a verità attraverso manifesti, circolari, pubblicazioni ecc., ecciti l'emigrazione senza il benché minimo fine di lucro, tanto più quando si tenga presente l'ampia interpretazione giurisprudenziale della nozione di "fine di lucro". Ma, ove vi fosse davvero qualcuno che, per puro spirito caritatevole, per umana solidarietà, eccitasse l'emigrazione, diffondendo notizie conformi a verità attraverso manifesti, circolari ecc., quel "qualcuno "non può e non deve, ai sensi della vigente Costituzione, essere penalmente sanzionato. L'interesse dello Stato al monopolio dei mezzi di pubblicità in ordine alla formazione della volontà d'emigrare equivale ad illegittimo limite sia alla normale, libera formazione di tale volontà sia al consapevole esercizio della volontà stessa. Ogni divieto, penalmente sanzionato, di propagandare pubblicamente l'emigrazione, attraverso notizie od informazioni veritiere e senza fini di lucro, é, dunque, in contrasto con il quarto comma dell'art. 35 Cost., del quale si é innanzi offerta l'interpretazione nel quadro del vigente sistema costituzionale. Peraltro, poiché offrire retti, onesti e disinteressati consigli attraverso mezzi di comunicazione pubblica ad una pluralità di persone non é dissimile dall'offrire consigli di tal genere ad un singolo soggetto (ciò, s'intende, dal punto di vista del significato intrinseco dell'eccitazione all'emigrazione) se si affermasse la legittimità della sanzionabilità penale dell'eccitazione, con mezzi pubblicitari, all'emigrazione, per fini di pura solidarietà umana, dovrebbe del pari ammettersi la costituzionale legittimità d'una eventuale incriminazione della stessa eccitazione privatamente realizzata: ognun vede a quale assurdo, così si giungerebbe.

Va infine osservato che, tutelata costituzionalmente l'emigrazione, risulta implicitamente tutelata anche la propaganda od eccitazione all'emigrazione, non esistendo altri valori o beni costituzionalmente garantiti che, pur nella liceità dell'emigrazione, valgano a giustificare limiti alla propaganda diretta a far emigrare.

7. - La dichiarazione d'illegittimità costituzionale del primo comma dell'articolo più volte citato non esclude che il fatto tipico "generale" ivi previsto (chiunque con manifesti, circolari, guide, pubblicazioni o con qualsiasi mezzo di pubblicità eccita l'emigrazione di cittadini italiani) continui ad individuare le ipotesi speciali di cui al secondo e terzo comma dello stesso articolo. Mentre cessano d'aver vigore il precetto e la sanzione di cui al predetto primo comma, il fatto (naturalistico) di cui allo stesso comma continua a caratterizzare le ipotesi tipiche ("fatto" commesso per motivi di lucro ovvero con notizie o indicazioni false) di cui al secondo e terzo comma dell'articolo in discussione: le predette ipotesi come si é notato all'inizio, risultano autonome nei confronti del modello "generale" di cui al primo comma dello stesso articolo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale della norma di cui al primo comma dell'art. 5 della legge 24 luglio 1930 n. 1278.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1986.

 

Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1986.