Sentenza n. 260 del 1986

 

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 260

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 224-bis, secondo comma, e 238, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) n. 2 ordinanze emesse il 22 dicembre 1984 dal Tribunale di Roma sulle richieste di riesame di provvedimenti di convalida di sequestro proposte da Di Pinto Giancarlo e da Di Felice Settimio, iscritte ai nn. 134 e 135 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97-bis dell'anno 1985;

2) ordinanza emessa il 20 dicembre 1984 dal Tribunale di Roma sulla richiesta di riesame di provvedimento di convalida di sequestro proposta da Bozzi Giorgio ed altri, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97-bis dell'anno 1985;

3) ordinanza emessa il 3 ottobre 1985 dal Tribunale di Trieste sulla richiesta di riesame di provvedimento di convalida di sequestro proposta da Puia Guido, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1986.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con tre ordinanze, dal contenuto sostanzialmente identico, pronunciate il 20 dicembre 1984 (r.o. 136 del 1985) e il 22 dicembre 1984 (due: r.o. 134 del 1985 e 135 del 1985) su altrettante richieste di riesame avverso provvedimenti di convalida di sequestro emessi dal Procuratore della Repubblica di Roma in relazione a reati di competenza pretorile, il Tribunale di Roma ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 224-bis, secondo comma, del codice di procedura penale, "nei limiti in cui prevede la competenza del Procuratore della Repubblica ad emettere decreto di convalida del sequestro o a restituire le cose sequestrate anche nel caso di reato di competenza pretorile".

Premesso che, dato il rinvio dell'art. 224-bis del codice di procedura penale all'art. 238, secondo comma, dello stesso codice, l'interpretazione così accolta deve considerarsi ormai acquisita dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, il giudice a quo osserva che, riferendosi il precetto dell'art. 238, secondo comma, del codice di procedura penale "a reati che, in relazione alla pena edittale e fatta eccezione per alcuni dei reati attribuiti alla competenza del Pretore con la più recente normativa... non rientrano nella competenza per materia del Pretore medesimo", "entro questi limiti deve necessariamente essere valutato il rinvio a quella norma. Ciò per evitare la innegabile incongruenza che deriverebbe dal mantenere la competenza del Pretore a decretare il sequestro nell'ambito della sfera riservatagli dall'art. 31 C.P.P., escludendola con riferimento alla convalida del sequestro di p.g. e solo quando sia operato in un comune sede di Tribunale".

Una tale incongruenza non potrebbe, peraltro, essere giustificata sulla base dell'"esigenza di speditezza": ciò in quanto, da un lato, la polizia giudiziaria ha l'obbligo di ipotizzare comunque una fattispecie criminosa, mentre, dall'altro, nulla induce a ritenere più rapida e più agevole l'attribuzione del potere di convalida al procuratore della Repubblica piuttosto che al pretore con sede nello stesso comune del Tribunale.

La conseguenza derivante dall'interpretazione che della norma impugnata ha dato la Suprema Corte sarebbe, quindi, quella "di privare il Giudice precostituito dalla legge di un potere fondamentale quale quello di adottare una misura di natura coercitiva reale".

Il fatto che la "precostituzione" sia avvenuta per legge non sarebbe sufficiente a superare il contrasto della norma impugnata con l'art. 25, primo comma, della Costituzione: "tale precostituzione in tanto si realizza in quanto risponda ad una coerenza sistematica e ad una ragionevolezza" non ravvisabile nella specie alla stregua della corrente interpretazione dell'art. 224-bis del codice di procedura penale.

A ciò aggiungasi, prosegue il giudice a quo, che la legge 31 luglio 1984, n. 400, ampliando la competenza del pretore, consente ora anche per i reati attribuiti alla sua cognizione l'operatività dell'art. 238 del codice di procedura penale: con la conseguenza che "la mancata previsione della estensione della competenza del Pretore a convalidare il fermo di indiziato di reato in tali materie non fa che esasperare l'incongruenza già sottolineata, violando con altrettanta incisività il principio della precostituzione del giudice che non può, da un lato, essere ritenuto competente a conoscere e a decidere in relazione a determinate ipotesi delittuose e, dall'altro, essere privato del potere di intervenire sulla misura coercitiva personale adottata dalla p.g. in relazione a quelle medesime ipotesi delittuose e ciò solo per ragioni,... assolutamente non condividibili, di speditezza". Donde anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione "per carenza di logicità della motivazione".

Né, a suffragare la tesi sostenuta dalla Cassazione, possono invocarsi l'art. 224 del codice di procedura penale in tema di perquisizioni di polizia giudiziaria e l'art. 226-ter dello stesso codice in tema di intercettazioni telefoniche: "Tali disposizioni", conclude il giudice a quo, "non fanno che riproporre la medesima problematica di costituzionalità" propria della questione attualmente proposta.

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 97-bis del 24 aprile 1985.

In nessuno dei tre giudizi vi é stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri né costituzione di parte privata.

2. - Un'analoga questione ha sollevato il Tribunale di Trieste con ordinanza del 3 ottobre 1985 (r.o. 110 del 1986), denunciando, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, gli artt. 224-bis, secondo comma, e 238, secondo comma, del codice di procedura penale, "nei limiti in cui prevedono la competenza del procuratore della Repubblica ad emettere decreto di convalida del fermo e del sequestro anche nel caso di reato di competenza pretorile".

Richiamato l'orientamento della Corte di cassazione, da intendersi, dopo l'intervento delle Sezioni Unite, "diritto vivente", e le tre predette ordinanze del Tribunale di Roma, il giudice a quo stigmatizza la contraddittorietà dell'attuale normativa in tema di convalida dei provvedimenti di polizia giudiziaria. In essa non "é dato di individuare alcuna ratio sottostante alla diversa disciplina esistente per l'arresto in flagranza da un lato, il fermo, la perquisizione e il sequestro dall'altro"; per quel che concerne la convalida dell'arresto, l'art. 246 del codice di procedura penale prevede la fungibilità fra procuratore della Repubblica e pretore del luogo dell'arresto o del commesso reato; invece, per quel che attiene alla convalida del fermo, della perquisizione e del sequestro, non sussiste alcuna fungibilità: infatti, mentre il procuratore della Repubblica é sempre incompetente a convalidare tali provvedimenti solo perché adottati fuori del comune sede del tribunale ma entro il circondario, il pretore é sempre incompetente ad emettere provvedimenti di convalida di fermi, perquisizioni e sequestri eseguiti nel comune sede del tribunale e della pretura.

Con la conseguenza, da un canto, che il magistrato competente per il procedimento e, quindi, competente ad emettere provvedimenti di sequestro é, invece, incompetente per la successiva convalida e, dall'altro, che, ove la polizia giudiziaria, oltre ad eseguire il sequestro, abbia proceduto all'arresto dell'indiziato, il magistrato competente per la convalida dell'arresto può risultare incompetente per la convalida del sequestro.

L'assenza di ogni logica in tale "discrasia normativa", dovuta unicamente alla mancanza di coordinamento fra i vari testi legislativi succedutisi nel tempo, fa ritenere violato non solo il principio di ragionevolezza in ordine alla indicata diversità di trattamento di situazioni uguali, ma anche il principio del giudice naturale precostituito per legge, dato che al giudice competente a conoscere di un determinato reato viene negato ogni potere di controllo sui provvedimenti coercitivi adottati dalla polizia giudiziaria in relazione al reato stesso.

L'ordinanza ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 27, prima serie speciale, dell'11 giugno 1986.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia da ritenere ammissibile solo con riferimento alla norma che prevede la competenza in tema di convalida del sequestro, e non anche - per difetto di rilevanza - con riferimento alla norma che prevede la competenza in tema di convalida del fermo. Per il resto, e comunque, le censure del giudice a quo investirebbero scelte - certamente non irragionevoli, anche alla stregua della giurisprudenza della Corte di cassazione - di esclusiva spettanza del legislatore in relazione ad istituti (arresto, fermo, perquisizione, sequestro) "che, se presentano alcune affinità, presentano altresì rilevanti differenze", donde l'infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - Le quattro ordinanze in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale strettamente connesse, quando addirittura non coincidenti: i relativi giudizi vanno, di conseguenza, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Tutte le ordinanze sono state pronunciate in procedimenti per reati di competenza del pretore dal corrispondente tribunale della libertà, ogni volta richiesto dall'imputato di riesaminare il decreto di convalida del sequestro disposto dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 224-bis, primo comma, del codice di procedura penale. A venire messa in dubbio, e sempre con riferimento sia all'art. 3 sia all'art. 25 della Costituzione, é la legittimità dell'art. 224-bis, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, con il richiamarsi "all'autorità giudiziaria indicata nel primo capoverso dell'art. 238" - quale non ancora sostituito ad opera dell'art. 1 del decreto-legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito nella legge 27 gennaio 1986, n. 8, con modificazioni, e quale da ultimo univocamente interpretato dalla Corte di cassazione, in conformità, del resto, alla lettera del dettato normativo - demandava al procuratore della Repubblica la convalida di qualunque sequestro di polizia eseguito in un comune sede di tribunale.

Più in particolare, le tre ordinanze del Tribunale di Roma, motivate all'identico modo, tanto da non tener conto delle non sempre univoche circostanze dei rispettivi casi di specie, censurano l'art. 224-bis, secondo comma, del codice di procedura penale "nei limiti in cui prevede la competenza del Procuratore della Repubblica ad emettere decreto di convalida del sequestro o a restituire le cose sequestrate anche nel caso di reato di competenza pretorile"; l'ordinanza del Tribunale di Trieste contesta gli artt. 224-bis, secondo comma, e 238, secondo comma, del codice di procedura penale "nei limiti in cui prevedono la competenza del procuratore della Repubblica ad emettere decreto di convalida del fermo e del sequestro anche nel caso di reato di competenza pretorile".

3. - Né l'uno né l'altro dei due dispositivi ora riportati rispecchia con assoluta puntualità i veri termini della questione, che viceversa si ricavano con chiarezza dalle rispettive motivazioni.

A doversi ritenere coinvolto é, per l'esattezza, il combinato disposto degli artt. 224-bis, secondo comma, e 238, secondo comma, del codice di procedura penale, " nei limiti in cui prevede la competenza del procuratore della Repubblica ad emettere decreto di convalida del sequestro o a restituire le cose sequestrate anche nel caso di reato di competenza pretorile".

Così precisati i termini della questione per quanto attiene alla norma sottoposta al vaglio di legittimità, la presenza del requisito della rilevanza viene a trovare ogni volta sicuro riscontro, pur nella diversità delle circostanze che caratterizzano le varie fattispecie concrete dalle quali le ordinanze di rimessione hanno preso le mosse. É, invero, evidente che, nei casi di sequestro convalidato dal procuratore della Repubblica (si vedano i procedimenti oggetto delle due prime ordinanze del Tribunale di Roma), la richiesta di riesame sarebbe destinata a non avere esito favorevole qualora la norma dovesse risultare non illegittima, mentre nell'ipotesi contraria si imporrebbe la restituzione delle cose sequestrate; invece, nei casi di sequestro convalidato dal pretore (si vedano i procedimenti oggetto della terza ordinanza del Tribunale di Roma e dell'ordinanza del Tribunale di Trieste), la richiesta di riesame non potrebbe non approdare all'annullamento del decreto di convalida qualora la norma dovesse risultare non illegittima, mentre nell'ipotesi opposta la richiesta sarebbe destinata a rimanere insoddisfatta.

Neppure la sostituzione dell'art. 238, secondo comma, del codice di procedura penale ad opera dell'art. 1 del decreto-legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito nella legge 27 gennaio 1986, n. 8, con modificazioni - frattanto sopraggiunta nel senso di demandare la convalida del fermo, e quindi del decreto di sequestro, "al procuratore della Repubblica o al pretore del luogo ove é stato eseguito il fermo, secondo la rispettiva competenza per materia" tutte le volte che il fermo e, quindi, il sequestro risultino eseguiti in un comune sede anche di tribunale - é in grado di influire sulla rilevanza della questione in esame. Ad escludere la necessità di restituire gli atti ai giudici a quibus per una nuova valutazione della rilevanza, basta osservare, come già accaduto in un'analoga occasione (sentenza n. 247 del 1986), che i nuovi criteri sono suscettibili di applicazione soltanto per il futuro, con conseguente esclusione di qualsiasi incidenza sulle situazioni venutesi a determinare in forza di precedenti convalide.

4. - Per ciò che attiene ai parametri costituzionali invocati, praticamente coincidente é l'argomentazione posta a base del riferimento all'art. 25 della Costituzione e, più in particolare, al suo primo comma. Esso risulterebbe violato da una norma "tale da privare il Giudice precostituito dalla legge di un potere fondamentale quale quello di adottare una misura di natura coercitiva reale... e ciò, solo per ragioni,... assolutamente non condividibili, di speditezza" (ordinanze del Tribunale di Roma). In altre parole (ordinanza del Tribunale di Trieste), "il giudice competente a conoscere di un determinato reato viene ad essere privato, al contempo, del potere di controllo su provvedimenti coercitivi adottati dalla polizia giudiziaria in relazione alla stessa fattispecie criminosa", "nell'assenza di un ragionevole criterio per discriminare".

La carenza di logicità, di coerenza sistematica e di ragionevolezza, che sarebbe insita nella "mancata previsione dell'estensione della competenza del Pretore a convalidare il fermo" e, quindi, anche il sequestro in ordine ai reati demandati alla di lui cognizione, conduce le ordinanze del Tribunale di Roma a ritenere altrettanto compromesso l'art. 3 della Costituzione. A sua volta, l'ordinanza del Tribunale di Trieste ravvisa il contrasto con tale articolo anche nell'incongruità, nella discrasia e nell'irragionevolezza del diverso trattamento contraddittoriamente riservato dal legislatore al fermo ed al sequestro rispetto all'arresto in flagranza, per la convalida del quale l'art. 246 (o meglio gli artt. 244 e 246) del codice di procedura penale "prevede la fungibilità tra procuratore della Repubblica e pretore del luogo dell'arresto o del commesso reato".

L'innegabile intrecciarsi dei profili così dedotti consiglia di renderli oggetto di una valutazione complessiva prima di pervenire ad un loro esame particolareggiato. Punto di incontro delle varie prospettazioni é il drastico rifiuto della giustificazione addotta dalle più recenti sentenze della Corte di cassazione, ed ampiamente ripresa dall'Avvocatura dello Stato, a sostegno del contestato criterio attributivo della competenza per le convalide in questione: cioé, l'"esigenza di speditezza", che sarebbe assicurata dal "riferimento al Procuratore della Repubblica piuttosto che al Pretore con sede nello stesso comune del Tribunale".

Disconosciuta tale esigenza e non ravvisandone altra, i giudici a quibus concludono sia per l'inaccettabilità dello sdoppiamento tra la competenza "a conoscere ed a decidere in relazione a determinate ipotesi delittuose" e il potere di "intervenire sulla misura coercitiva adottata dalla polizia giudiziaria in relazione a quelle medesime ipotesi" (ciò perché, affermano le ordinanze del Tribunale di Roma, la "precostituzione in tanto realizza il principio costituzionale anzidetto in quanto risponde ad una coerenza sistematica ed una ragionevolezza" che qui "verrebbero meno"), sia per l'illogicità intrinseca del sistema in tal modo costruito e per l'irrazionale diversità di trattamento riscontrabile con l'analogo istituto della convalida dell'arresto in flagranza.

La questione, peraltro, non é fondata.

5. - Quanto all'univocamente richiamato art. 25, primo comma, della Costituzione, l'affermazione delle ordinanze del Tribunale di Roma dianzi riportata é senz'altro in linea con il consolidato insegnamento di questa Corte. Se é vero che "la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determizione legislativa di una competenza generale, ma si forma anche di tutte quelle disposizioni le quali derogano a tale competenza", non é meno vero che queste deroghe devono avvenire "sulla base di criteri che razionalmente valutino i disparati interessi posti in giuoco nel processo" (v., per tutte, sentenza n. 139 del 1971). Ma ciò che nell'assunto dei giudici a quibus si presenta con carattere eccessivamente perentorio é il diniego di qualsiasi consistenza e razionalità alla giustificazione che del criterio derogativo qui contestato veniva ravvisata - prima del suo superamento ad opera dell'art. 1 del decreto-legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito con modificazioni in legge 27 gennaio 1986, n. 8 - nell'interesse ad una spedita convalida di tanto delicate misure coercitive adottate su iniziativa della polizia giudiziaria. Anche se, forse, meglio sarebbe stato parlare di semplificazione che di speditezza: il doversi rivolgere sempre e soltanto ad uno stesso ufficio giudiziario tra due aventi sede nel medesimo comune agevolava innegabilmente gli adempimenti della polizia giudiziaria, eliminando eventuali incertezze di scelta, tanto più possibili allorché, come in passato, tutte le circostanze aggravanti incidevano sulla determinazione della competenza.

Del resto, il vero inconveniente che nel 1985 ha indotto il legislatore a modificare il criterio in discussione é stato quello del sempre maggiore aggravio che era venuto a ricadere sulle procure della Repubblica, e non quello della deroga alla competenza generale: prova ne sia che il nuovo criterio adottato prescinde pur sempre dalla competenza per territorio e che lo stesso art. 238, secondo comma, continua a demandare la convalida, nei comuni non sede di tribunale, sempre e soltanto al pretore, anche per i reati di competenza superiore.

Pure l'addebito di un mancato coordinamento della norma censurata con l'intervenuto ampliamento della competenza per materia del pretore ha, in realtà, una portata circoscritta: vale, cioé, nei riguardi della convalida del fermo, misura effettivamente applicabile a reati pretorili soltanto in seguito all'entrata in vigore dell'art. 1 della legge 31 luglio 1984, n. 400, ma non anche nei riguardi della convalida dei sequestri e delle perquisizioni di polizia giudiziaria. La convalida dei sequestri é, infatti, configurabile per i reati pretorili sin dall'entrata in vigore dell'art. 224-bis del codice di procedura penale (v. art. 21 della legge 12 agosto 1982, n. 532) e, prima ancora, quanto al sequestro dell'immobile, dall'entrata in vigore dell'art. 3 della legge 8 agosto 1977, n. 533, il cui secondo comma si riferisce anch'esso all'"autorità giudiziaria indicata nel primo capoverso dell'art. 238 del codice di procedura penale"; a sua volta, la convalida delle perquisizioni é configurabile addirittura sin dalla novellazione dell'art. 224, secondo comma, del codice di procedura penale ad opera dell'art. 7 della legge 18 giugno 1955, n. 517, pure qui con rinvio "all'autorità giudiziaria indicata nel primo capoverso dell'art. 238".

6. - Tutto ciò porta anche ad escludere che nella mancata attribuzione della convalida del fermo e, quindi, del sequestro al pretore avente sede in un comune al tempo stesso sede di tribunale sia ravvisabile quell'assoluta carenza di logicità, di coerenza sistematica e di ragionevolezza indispensabile per ritenere intrinsecamente violato l'art. 3 della Costituzione. La scelta discrezionale del legislatore non può dirsi né totalmente arbitraria né completamente scoordinata.

7. - Resta da considerare la prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo estrinseco della diversità di trattamento con l'arresto in flagranza. Ma nemmeno questa innegabile diversità può dirsi incongrua. Tra convalida dell'arresto in flagranza e convalida del sequestro fondamentale é il divario attinente alla natura delle sottostanti misure cautelari (personale l'una, reale l'altra), mentre tra convalida dell'arresto in flagranza e convalida del fermo, nonostante la natura personale di entrambe le misure, esistono differenze di presupposti, e conseguentemente di prospettive Processuali (v. sentenza n. 247 del 1986), tali da non rendere irrazionale la mancata adozione di un criterio uniforme nell'individuazione dell'ufficio giudiziario cui rivolgersi per la convalida.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 224-bis, secondo comma, e 238, secondo comma (quest'ultimo quale risultava prima della sua sostituzione ad opera dell'art. 1 del decreto-legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito con modificazioni nella legge 27 gennaio 1986, n. 8), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1986.

 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1986.