sentenza n. 247 del 1986

 

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SENTENZA N. 247

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 3, primo, secondo, terzo e quarto comma, della legge 27 luglio 1984, n. 397 (Modifiche all'arresto obbligatorio e facoltativo in flagranza. Giudizio direttissimo davanti al Pretore), promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1985 dal Pretore di Termini Imerese nel procedimento penale a carico di Bocca Pasquale ed altro, iscritta al n. 596 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, 1 serie speciale, dell'anno 1986.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Il 28 marzo 1985, in Termini Imerese, la polizia giudiziaria procedeva al fermo, ex art. 238 del codice di procedura penale, di Bocca Pasquale e Blaskovic Silvio per il reato di furto aggravato. Il fermo veniva convalidato il 30 marzo 1985 dal locale Procuratore della Repubblica, il quale trasmetteva immediatamente gli atti al Pretore per competenza, a norma del1 art. 31 del codice ali procedura penale, come modificato dall'art. 1 della legge 31 luglio 1984, n. 400.

Nei confronti del Bocca e del Blaskovic il Pretore di Termini Imerese spediva, lo stesso 30 marzo 1985, ordine di cattura; e pochi giorni dopo concedeva ad entrambi gli imputati il beneficio della libertà provvisoria.

Con ordinanza del 13 aprile 1985 il Pretore ha denunciato, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale e, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 3, primo, secondo, terzo e quarto comma, della legge 27 luglio 1984, n. 397.

Secondo il giudice a quo, l'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 31 dello stesso codice, come modificato dall'art. 1 della legge 31 luglio 1984, n. 400, attributivo al pretore della cognizione di alcuni reati in ordine ai quali é consentito il fermo di polizia giudiziaria, violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge, mantenendo in capo al solo procuratore della Repubblica, anche per i reati di competenza del pretore, il potere di disporre la convalida del fermo. Apparirebbe, invece, "indispensabile, sia sotto il profilo pratico che sotto quello spiccatamente costituzionale, che tale attività venga ugualmente attribuita al Pretore operante in sede in cui é ubicato il Tribunale per i reati di sua competenza": da un lato, "per garantire uniformità di valutazioni circa la sussistenza di quei presupposti tali da giustificare il fermo e la sua convalida da parte di un identico giudice"; dall'altro, per garantire che il fermato non venga, anche se per brevi - "ma incisivi" - momenti processuali, sottratto al pretore, suo giudice naturale che dovrà giudicarlo in primo grado. Tale sottrazione deriverebbe dal fatto che il legislatore non ha" verosimilmente" provveduto a coordinare la norma del codice di procedura penale con l'art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397, negando al pretore il potere di procedere alla convalida del fermo di polizia giudiziaria in ordine a reati di sua competenza, quando il fermo sia stato eseguito in un comune sede anche di tribunale.

A sua volta, l'art. 3 della legge n. 397 del 1984 violerebbe il principio di eguaglianza, "ponendo in una differente e più sfavorevole posizione il fermato rispetto all'arrestato": solo a quest'ultimo é, infatti, garantita la celebrazione in tempi estremamente brevi del processo a suo carico, un'identica possibilità risultando, invece, preclusa per il fermato "quanto meno tutte le volte in cui la convalida del fermo sia stata tramutata in arresto"; la predetta disparità verrebbe addirittura "esasperata" allorché, "a fronte dei soggetti imputati in stato di arresto per un reato di competenza del Pretore e giudicati (o giudicabili) con le speciali forme di cui all'art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397, ve ne siano altri coimputati per il medesimo titolo, ma in stato di fermo successivamente convalidato e tramutato in arresto", non assoggettabili, quindi, allo speciale rito previsto dalla legge n. 397 del 1984, con la conseguente possibilità "di un'ulteriore protrazione dei tempi processuali solo nei loro confronti".

La norma denunciata lederebbe, altresì, l'art. 25, primo comma, della Costituzione: gli imputati denunciati in stato di arresto al pretore vengono direttamente e solo da questo giudicati; i coimputati per il medesimo titolo che siano, invece, denunciati in stato di fermo devono prima essere sottoposti al giudizio per la convalida del fermo e, solo una volta che sia stato pronunciato tale provvedimento, sottoposti ad un ulteriore e più ampio giudizio del pretore, giudice naturale precostituito per legge.

In punto di rilevanza il giudice a quo osserva, da un canto, che, essendo intervenuta la convalida del fermo ad opera di un organo giudiziario incompetente, "il successivo procedimento instauratosi sarebbe inficiato da invalidità con specifico riferimento al titolo di detenzione"; dall'altro canto, che l'ordine di cattura spedito dal pretore dopo la convalida del fermo ad opera del procuratore della Repubblica "solo apparentemente sanerebbe l'inevitabile nullità derivante da incompetenza dell'organo che ha effettuato la menzionata convalida, sotto il profilo - appunto - che consisterebbe in un espediente necessario cui ricorrere per evitare di far caducare la convalida".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 6,1a serie speciale, del 12 febbraio 1986.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata " inammissibile e comunque infondata". L'inammissibilità deriverebbe dall'assoluto difetto di rilevanza della questione, in quanto sollevata quando il giudice a quo aveva già deciso circa la legittimità del provvedimento contestato, sia con l'emissione dell'ordine di cattura per gli stessi fatti e avverso le stesse persone sia con la concessione del beneficio della libertà provvisoria.

L'infondatezza della questione deriverebbe, per quel che si riferisce alla denuncia dell'art. 238 del codice di procedura penale, dalla natura della convalida del fermo, "palesemente funzionale, rispetto ai prevalenti interessi di speditezza nell'azione di polizia giudiziaria e di tempestività nel controllo di essa da parte del giudice"; e, per quel che si riferisce alla denuncia dell'art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397, sotto il profilo del principio di eguaglianza, dalle profonde differenze esistenti tra la posizione dell'arrestato e la posizione del fermato e, sotto il profilo del principio del giudice naturale, dal fatto che la speciale competenza funzionale fissata dall'art. 238 trova "la sua ratio nell'esigenza di garantire un rapido controllo sull'operato della polizia giudiziaria, da parte degli organi da cui essa dipende".

Considerato in diritto

1. - Nel corso di un procedimento penale per furto aggravato contro due persone sottoposte a fermo di polizia giudiziaria debitamente convalidato dal procuratore della Repubblica, in quanto eseguito nel territorio di un comune sede anche di tribunale prima che l'art. 238, secondo comma, del codice di procedura penale venisse novellato dall'art. 1 del decreto - legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito con modificazioni nella legge 27 gennaio 1986, n. 8, il Pretore di Termini Imerese sollecita l'intervento di questa Corte per più ordini di ragioni.

La denuncia di illegittimità costituzionale coinvolge, innanzi tutto, il suddetto testo dell'art. 238, primo (rectius, secondo) comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 25 della Costituzione, "non potendosi consentire che il prevenuto venga, sia pur per brevi ma incisivi momenti processuali, giudicato da un giudice incompetente e sottratto per l'identico periodo temporale alla valutazione da parte del giudice naturale (il Pretore) che viceversa lo dovrà giudicare in primo grado". E si estende, poi, all'art. 3, primo, secondo, terzo e quarto comma, della legge 27 luglio 1984, n. 397 (Modifiche all'arresto obbligatorio e facoltativo in flagranza. Giudizio direttissimo davanti al pretore): da un lato, in relazione all'art. 3 della Costituzione, perché colloca "in una differente e più sfavorevole posizione il fermato, rispetto all'arrestato, essendo garantita solo a quest'ultimo la celebrazione in tempi estremamente brevi del processo"; dall'altro, in relazione all'art. 25 della Costituzione, "perché gli imputati denunziati in stato di arresto al Pretore vengono direttamente e solo da questi giudicati, mentre soggetti coimputati per il medesimo titolo, denunziati in stato di fermo, vengono prima sottoposti al giudizio da parte del Procuratore della Repubblica per la eventuale convalida della misura cautelare e, solo in costanza di detta ipotesi, sottoposti ad un ulteriore e più ampio giudizio da parte del Pretore, giudice precostituito per legge".

2. - La Corte viene così a trovarsi in presenza di tre questioni, certo strettamente collegate, ma comunque ben distinte o per la diversità della normativa ordinaria chiamata in causa o per la diversità del parametro costituzionale invocato. Ne dà conferma la stessa ordinanza di rimessione, allorché, sintetizzando, precisa accuratamente i termini delle norme denunciate: l'art. 238 del codice di procedura penale viene censurato in relazione all'art. 25 della Costituzione "nella parte in cui non prevede per il Pretore operante in sede in cui é ubicato il Tribunale e per i reati di sua competenza analoga possibilità - al pari del Procuratore della Repubblica - di procedere autonomamente alla convalida del fermo di P.G."; l art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397, viene censurato in relazione all'art. 3 della Costituzione "nella parte in cui non prevede per l'imputato in stato di fermo, successivamente convalidato e tramutato in arresto, la possibilità di essere giudicato dal Pretore con il rito speciale di cui al terzo comma della legge 397/84 così come previsto per l'imputato denunziato in stato di arresto dagli organi di P.G. al pretore "e in relazione all'art. 25 della Costituzione "nella parte in cui esclude che il Pretore possa procedere in modo autonomo alla convalida del fermo e al conseguente, successivo ed eventuale arresto".

3. - Per quanto riguarda la prima questione, la sopraggiunta novellazione dell'art. 238, secondo comma, del codice di procedura penale impone di prendere in esame l'eventualità di una restituzione degli atti al giudice remittente, tanto più che il testo introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito con modificazioni nella legge 27 gennaio 1986, n. 8, corrisponde puntualmente al risultato cui dovrebbe condurre la sollecitata declaratoria di illegittimità parziale del previgente testo dell'art. 238, secondo comma, del codice di procedura penale.

Mentre tale testo imponeva "all'ufficiale di polizia giudiziaria che ha eseguito il fermo" di rivolgersi "al procuratore della Repubblica o, se il fermo avviene fuori del comune sede del tribunale, al pretore del luogo dove esso é stato eseguito", il testo recentemente subentratogli impone "all'ufficiale di polizia giudiziaria che ha eseguito il fermo" di rivolgersi "al procuratore della Repubblica o al pretore del luogo ove é stato eseguito il fermo, secondo la rispettiva competenza per materia, ovvero al pretore del mandamento in cui é avvenuto il fermo, se diverso da quello nel quale ha sede il tribunale".

L'ipotesi di una restituzione degli atti va, peraltro, disattesa, data l'indubbia applicabilità dei nuovi criteri ai soli fermi ancora da convalidare, con esclusione, quindi, di ogni incidenza sulle situazioni restrittive della libertà personale susseguenti a fermi convalidati in precedenza. Un limite che risulta vieppiù insuperabile in un caso, come quello di specie, dove il giudice a quo é dichiaratamente mosso dalla preoccupazione di pervenire all'invalidazione del fermo convalidato dal procuratore della Repubblica, attraverso il riconoscimento dell'illegittimità costituzionale della norma che gli attribuiva la relativa competenza.

4. - A sua volta, l'Avvocatura dello Stato, nell'atto di intervento per la Presidenza del Consiglio dei ministri, eccepisce l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza: il giudizio di questa Corte "interverrebbe inutilmente", essendosi il Pretore di Termini Imerese determinato a sollevare l'incidente di legittimità costituzionale soltanto dopo aver "spiccato un ordine di cattura" e "concesso la libertà provvisoria", così da far apparire ormai" deciso "lo status libertatis degli imputati.

Tali argomentazioni non sembrano, però, sufficienti a superare la coerente motivazione che il giudice a quo dedica al requisito della rilevanza. Infatti, né l'emissione di un ordine di cattura né, tanto meno, la concessione della libertà provvisoria varrebbero di per se stesse a sanare l'invalidità da cui, in caso di accoglimento della questione, risulterebbe colpita la convalida del fermo: una qualunque soluzione di continuità tra il titolo originario rivelatosi invalido ed il nuovo titolo di detenzione subentratogli inficerebbe, per un periodo più o meno lungo, lo stato di custodia cautelare così venuto a determinarsi.

La questione é, tuttavia, ugualmente priva di rilevanza, dato che l'ordine di cattura del giudice a quo - in quanto emanato nello stesso giorno della convalida da parte del Procuratore della Repubblica e, quel che più conta, entro il termine prescritto per la legittimazione del fermo di polizia giudiziaria - deve essere considerato non solo come un nuovo titolo di custodia cautelare sovrappostosi alla convalida del fermo operata dal Procuratore della Repubblica, ma anche come una sostanziale convalida dello stesso fermo da parte del pretore. In un ordine di cattura, infatti, sono a maggior ragione presenti gli elementi richiesti per convalidare il fermo di polizia giudiziaria.

Del resto, é la stessa ordinanza di rimessione a riconoscere, contraddicendosi, che l'ordine di cattura non sarebbe stato altro che "un espediente necessario... per evitare di far caducare la convalida", così smentendo che esso "solo apparentemente sanerebbe l'inevitabile nullità derivante dall'incompetenza dell'Organo che ha effettuato la menzionata convalida".

Proprio questo concorrere di effetti giuridici renderebbe nel caso di specie superflua, perché privata in partenza di riflessi pratici, un'eventuale pronuncia di fondatezza da parte di questa Corte.

La questione é, quindi, inammissibile.

5. - La stessa conclusione in termini di inammissibilità si impone con riguardo alla questione prospettata nei confronti dei primi quattro commi dell'art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397 (rectius, dei primi quattro commi dell'art. 505 del codice di procedura penale, quale sostituito ad opera del suddetto art. 3), in relazione all'art. 25 della Costituzione. Anche attraverso tale questione viene contestata la legittimità costituzionale di una previsione normativa che avrebbe impedito al pretore di procedere alla convalida del fermo di polizia giudiziaria, quando, invece, ad un'autonoma valutazione dei presupposti del fermo lo stesso giudice a quo era già virtualmente pervenuto mediante la tempestiva adozione di un congegno destinato sì ad altri fini, ma non incompatibile con la convalida del fermo.

6. - Resta da esaminare la censura concernente l'art. 3, primo, secondo, terzo e quarto comma, della legge 27 luglio 1984, n. 397 (rectius, anche qui, l'art. 505, primo, secondo, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale, quale sostituito ad opera del suddetto articolo), in relazione all'art. 3 della Costituzione, là dove per la persona sottoposta a fermo, per giunta convalidato e tramutato in arresto come nel procedimento a quo, non viene prevista la possibilità di essere giudicata con lo speciale rito direttissimo introdotto dalla legge n. 397 del 1984 per la persona arrestata in flagranza: un rito suscettibile di essere instaurato immediatamente, "quando il pretore tiene udienza", oppure, "quando il pretore non tiene udienza", all'udienza che "il pretore fissa entro le quarantotto ore dall'arresto".

La questione non é fondata.

7. - La differenza di regolamentazione tra fermato ed arrestato in flagranza, che consegue ad una previsione così chiaramente circoscritta a quest'ultimo, é innegabile, ma tutt'altro che irragionevole.

Come puntualmente osserva l'Avvocatura dello Stato, non solo i presupposti di fatto a fondamento dell'arresto in flagranza sono così diversi rispetto alle condizioni che legittimano il fermo da dare vita a due situazioni non omogenee, ma proprio essi, e solamente essi, possono giustificare l'instaurazione di un rito direttissimo di particolare immediatezza, quale quello contemplato dai primi quattro commi del "nuovo" art. 505 del codice di procedura penale. Trattandosi di un soggetto sorpreso nella flagranza o quasi flagranza del reato, e non, come per il fermato, di persona nei cui confronti "ricorrono sufficienti indizi", la responsabilità penale può sovente risultare di più facile accertamento, senza che sia necessario far luogo ad apposita istruttoria o a particolari indagini preliminari per acquisire le prove a carico dell'imputato. Il che vale anche a rendere non inaccettabile la prospettata eventualità di una separazione dei procedimenti nell'ipotesi che "a fronte dei soggetti imputati in stato di arresto in flagranza ve ne siano altri coimputati per il medesimo titolo, ma in stato di fermo successivamente convalidato e tramutato in arresto".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 238, secondo comma, del codice di procedura penale, quale risultava prima della sua sostituzione ad opera dell'art. 1 del decreto-legge 29 novembre 1985, n. 685, convertito con modificazioni, nella legge 27 gennaio 1986, n. 8, questione sollevata, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 505, primo, secondo, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale, quale sostituito ad opera dell'art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397, questione sollevata, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 505, primo, secondo, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale, quale sostituito ad opera dell'art. 3 della legge 27 luglio 1984, n. 397, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1986.

 

Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 28 novembre 1986.