Sentenza n. 186 del 1986

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SENTENZA N. 186

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale della legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7 ("Ordinamento degli uffici e del personale dell'Amministrazione regionale") quanto alla nota c) della tabella N ad essa allegata; artt. 1 e 4 legge reg. Sicilia 26 ottobre 1972, n. 53 ("Interpretazione autentica della norma contenuta nella nota c) alla tabella N annessa alla legge regionale 23 marzo 1971, n. 7, concernente l'ordinamento degli uffici e del personale dell'Amministrazione regionale"); nota e) alla tabella di cui all'art. 8 della legge reg. Sicilia 1 agosto 1974, n. 30 ("Nuove norme sull'ordinamento degli uffici e del personale dell'Amministrazione regionale") promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 luglio 1978 dalla Corte dei Conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Sicilia - nei giudizi riuniti promossi dal P. G. avverso i decreti di pensione concessa a Crisafulli Concetta ed altri, iscritta al n. 657 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54 dell'anno 1979;

2) ordinanza emessa il 26 aprile 1979 dalla Corte dei Conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Sicilia - nei giudizi riuniti promossi dal P. G. avverso provvedimenti di attribuzione o di riliquidazione di pensioni relativi a Di Gangi Spadafora Giovanna ed altri, iscritta al n. 630 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 310 dell'anno 1979.

Visto l'atto di costituzione di Paternò Gaetano ed altri nonché l'atto di intervento del Presidente della Regione Sicilia;

udito nell'udienza pubblica del 22 aprile 1986 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi l'avv. Gaetano Lepore per Paternò Gaetano ed altri e l'avv. Silvio De Fina per la Regione Sicilia.

Ritenuto in fatto

1. - La nota c) alla tabella N allegata alla legge reg. siciliana 23 marzo 1971, n. 7 - secondo l'interpretazione autentica dettata dagli artt. 1 e 4 della legge reg. siciliana 26 ottobre 1972, n. 53 - consente l'adeguamento annuale delle retribuzioni dei dipendenti regionali al costo della vita, applicando all'ammontare netto iniziale di ciascuna classe di stipendio, fino al limite di lire 100.000 mensili, le variazioni percentuali dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati e operai. Detto limite iniziale di lire 100.000 fu elevato a lire 115.000 a decorrere dal 1 gennaio 1975, e a lire 130.000 a decorrere dal 1 gennaio 1976, a norma della nota e) alla tabella contenuta nell'art. 8 della legge reg. siciliana 1 agosto 1974, n. 30.

Nel corso di un giudizio d'impugnazione di decreti presidenziali attributivi (o di riliquidazione) della pensione a taluni dipendenti della regione siciliana o a loro aventi causa promosso dal Procuratore generale della Corte dei conti nell'interesse dell'erario, sorse contestazione sulla legittimità costituzionale degli automatismi suddetti che - attraverso la determinazione della misura dello stipendio - influiscono sulla misura delle pensioni. La Corte dei conti (sezione giurisdizionale per la regione siciliana), con ordinanza 14 luglio 1978 (n. 657 r.o. 1978), sollevò allora, ritenendola influente e non manifestamente infondata, questione di legittimità costituzionale della suddetta normativa, in riferimento agli artt. 3, 5 e 36 Cost., 1 e 14 dello Statuto speciale siciliano.

In tema di rilevanza, nell'ordinanza si osserva che essa deriva dal fatto che, ove le norme impugnate fossero dichiarate illegittime, i decreti di liquidazione delle pensioni dovrebbero essere a loro volta dichiarati illegittimi, nella parte relativa alla determinazione dell'importo di ciascuna pensione, previa disapplicazione - ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E - quale atto presupposto, del decreto dell'Assessore alla Presidenza della Regione in data 29 dicembre 1977, n. 581, con il quale fu disposto l'adeguamento delle retribuzioni del personale al costo della vita con decorrenza 1 gennaio 1978 e fu determinato l'importo degli stipendi, di cui i dipendenti erano provvisti alla data di cessazione del servizio.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che il menzionato meccanismo di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita tiene luogo, per il personale regionale, della indennità integrativa speciale istituita per il personale statale con legge 27 maggio 1959, n. 324. Da questa, peraltro, essa differisce non solo per la diversità dei criteri di calcolo, ma anche per quanto riguarda la natura e gli effetti dell'attribuzione patrimoniale nel contesto del trattamento economico di attività e di quiescenza. Mentre, infatti, l'indennità integrativa speciale viene corrisposta come emolumento a sé stante, distinto e separato dallo stipendio, l'importo dell'adeguamento al costo della vita del trattamento economico del personale regionale in Sicilia viene conglobato annualmente nella retribuzione, traducendosi, a tutti gli effetti, in aumento dell'ammontare netto di ciascuna classe di stipendio, con la conseguenza di determinare il proporzionale incremento di tutte le componenti del trattamento economico di attività (ricalcolo dei normali aumenti periodici, rivalutazione del compenso per lavoro straordinario ecc.), nonché l'incremento del trattamento di pensione di ciascun dipendente (elevazione della base pensionabile) e della indennità di buonuscita.

Secondo il giudice a quo, tale sistema di adeguamento contrasterebbe con i sopra indicati parametri costituzionali dal momento dell'entrata in vigore del D.L. 1 febbraio 1977, n. 12 ("Norme per l'applicazione dell'indennità di contingenza"), conv. nella legge 31 marzo 1977, n. 91, il cui art. 2 statuisce che i miglioramenti retributivi per effetto delle indicizzazioni previste in relazione all'aumento del costo della vita "non possono essere conglobati nella retribuzione, né dare luogo a ricalcoli previsti in tempi differiti".

A sostegno di tale tesi si rammenta la sentenza 20 aprile 1978, n. 45 con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge provinciale di Bolzano, concernente modifiche alla disciplina dell'indennità integrativa speciale.

Il giudice a quo rileva che la normativa impugnata si pone in contrasto "con il principio perequativo desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost., così come esorbita dai limiti posti alla legislazione esclusiva della Regione dall'art. 14 dello Statuto in relazione all'art. 1 dello stesso testo ed all'.art. 5 Cost.".

Davanti a questa Corte si é costituito il Presidente della Regione siciliana affermando che l'ordinanza di rimessione postula, a carico della potestà legislativa siciliana in materia, limiti che non esistono. Ha chiesto, quindi, che la questione sollevata sia dichiarata non fondata.

2. - Questione identica é stata sollevata - nel corso di un analogo giudizio - anche con altra ordinanza (n. 630 r.o. 1979), emessa il 26 aprile 1979, dalla Corte dei conti (Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana).

Nel giudizio così instaurato si sono costituite le parti private, le quali hanno chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, infondata nel merito.

Quanto alla eccepita inammissibilità, nelle note depositate si osserva che dinanzi al giudice a quo sono stati impugnati soltanto i provvedimenti di liquidazione delle pensioni e non anche quelli con i quali i dipendenti regionali avevano - sulla base delle norme della cui costituzionalità é questione - conseguito il nuovo stipendio. Con la conseguenza che l'eventuale annullamento da parte della Corte di quelle norme non potrebbe influenzare la soluzione del giudizio principale, in quanto, non essendo stati impugnati (neanche come atti presupposti) i provvedimenti con i quali ai dipendenti regionali era stato attribuito il nuovo stipendio, essi, essendo ormai inoppugnabili, debbono comunque costituire la base del calcolo della pensione, tenuto conto che il giudice amministrativo (nella specie la Corte dei conti) non può disapplicare provvedimenti amministrativi non impugnati.

Circa il merito, si osserva che la regione ha legiferato, in forza dell'art. 14 lett. q) del suo statuto, in materia di competenza esclusiva, nella quale la Regione non incontra altro limite che quello dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Non può porsi, quindi, un problema di violazione degli artt. 3 e 36 Cost. per la diversità di disciplina dettata rispetto a quella statale, essendo tale diversità giustificata proprio dall'attribuzione alla Regione di una competenza esclusiva. Riguardo, poi, all'assunto che la disciplina dell'indennità di contingenza, introdotta dal D.L. n. 12/1977 convertito nella legge n. 91/77, costituirebbe un principio generale dell'ordinamento o una legge di grande riforma economico - sociale, tale da imporsi alla legislazione regionale esclusiva, le parti private osservano che tale assunto non é esatto, tenuto conto che, in base all'ultimo comma dell'art. 2, detta disciplina non si applica né allo Stato né agli enti pubblici di cui alla legge n. 70 del 1975.

Considerato in diritto

3. - I giudizi possono essere riuniti e decisi congiuntamente per l'identità del loro oggetto.

4. - L'autorità giurisdizionale rimettente ha collegato la rilevanza degli incidenti con la legittimazione che ad essa deriverebbe dalla dichiarazione di illegittimità delle norme impugnate. In tal caso, infatti, le sarebbe consentito l'esercizio del potere di dichiarare illegittimi i decreti di liquidazione degli stipendi maggiorati (in base alle norme regionali sospettate) "nella parte relativa alla determinazione dell'importo di ciascuna pensione, previamente disapplicando, ai sensi dell'art. 5 1.20 marzo 1865, n. 2248, all. E, quale atto presupposto, il decreto dell'Assessore alla Presidenza della Regione del 29 dicembre 1977, n. 581, con il quale é stato disposto l'adeguamento delle retribuzioni del personale al costo della vita con decorrenza dal 1 gennaio 1978 e per effetto del quale é stato determinato l'importo dello stipendio di cui i convenuti erano provvisti all'atto della cessazione del servizio".

Si pone come preliminare, quindi, la questione se spetti alla Corte dei conti il "potere di disapplicazione" dell'atto amministrativo contra jus, ai fini dell'esercizio delle sue attribuzioni giurisdizionali in materia di pensioni.

Osserva la Corte che la disapplicazione dell'atto amministrativo é il risultato dell'esercizio di una potestà devoluta all'autorità giudiziaria ordinaria, in base all'art. 5 della ricordata legge n. 2248 all. E, del 1865, sull'abolizione del contenzioso amministrativo. Tale potestà é strettamente legata (anche se con ambito diversificato) alla normativa dell'art. 4 della stessa legge, nella parte in cui fa divieto al giudice ordinario di revocare o di modificare l'atto amministrativo. La limitazione dei poteri di questo giudice alla sola cognizione degli effetti dell'atto costituisce l'anello di completamento e di chiusura del sistema disegnato dalla legge del 1865, che pone come condizione dell'applicazione dell'atto amministrativo la sua conformità alle leggi.

Il giudice ordinario, nel momento in cui viene investito della tutela delle posizioni di diritto soggettivo nei confronti della P. A., é obbligato a questa valutazione preliminare, che é di carattere incidentale e, quando riscontri che la conformità dell'atto alla legge non sussiste, lo disapplica. Questa operazione non si riflette sulla esistenza formale dell'atto, ma ne impedisce la operatività nel caso concreto.

5. - Non é questa la sede per precisare il complesso dei problemi che la disapplicazione propone e le recenti rivalutazioni di essi. Si deve muovere, però, da qualche considerazione conclusiva, pertinente alla fattispecie, affermando che l'accertamento incidentale rimesso al giudice ordinario, che é alla base della disapplicazione, deve fondarsi su una illegittimità, che si ripercuote su una posizione di diritto soggettivo. La tutela giurisdizionale di tale posizione - in ossequio all'esigenza di una sempre più efficace tutela nei confronti della P. A. - é volta a neutralizzare l'attitudine lesiva dell'atto; in tal senso il sindacato del giudice ordinario, nel caso che si risolva nell'accertamento della non conformità dell'atto amministrativo all'ordinamento, si riflette "sugli effetti dell'atto in relazione all'oggetto dedotto in giudizio".

Questa breve premessa circa l'origine, l'autorità giudiziaria titolare del potere e gli effetti della "disapplicazione", spiana la via per risolvere la questione della riferibilità della relativa disciplina alla Corte dei conti nei giudizi in materia di pensioni.

L'indirizzo consolidato della Corte di cassazione, giudice della giurisdizione, é nel senso che non spetta alla Corte dei conti, in tali giudizi, il potere di conoscere in via incidentale (per escluderne in concreto l'operatività) degli atti amministrativi, diventati inoppugnabili, rilevanti nel pregresso rapporto di impiego attivo.

Gli anzidetti atti, in quanto attributivi di posizioni giuridiche del pubblico dipendente, tutte afferenti al suo status, sono operanti nell'ambito e al di fuori del rapporto d'impiego. Di qui la impossibilità che tali atti possano essere considerati legittimi rispetto a tale rapporto e illegittimi in altri rapporti, come quello di pensione, che presuppongono il rapporto di pubblico impiego e sono ad esso legati dall'identità del soggetto titolare. Ne deriva che le controversie circa la legittimità dell'atto amministrativo regolatore di quelle posizioni assumono carattere pregiudiziale e debbono essere necessariamente decise con efficacia di giudicato dal giudice amministrativo competente. La conseguente preclusione del potere di disapplicazione in via incidentale da parte di altro giudice si fonda anche sul rispetto del principio di certezza, che impedisce, nel giudizio in materia di pensione, l'esercizio della potestas judicandi circa provvedimenti concernenti lo stato giuridico ed il trattamento economico del pubblico dipendente, che sono diventati inoppugnabili nell'ambito dell'ordinamento ad essi proprio.

Non é precluso invece alla Corte dei conti di statuire sui riflessi di tali atti sull'an e sul quantum della pensione, secondo la normativa applicabile in concreto.

6. - In base alle considerazioni esposte appare chiaro che la pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme sospettate dal giudice rimettente non potrebbe attribuirgli il potere di disapplicazione, che in materia non gli spetta.

Dal che deriva altresì l'irrilevanza (e la conseguente inammissibilità) delle dedotte questioni di legittimità costituzionale, in quanto la definizione di esse non potrebbe in alcun modo influire, nemmeno di riflesso, sull'esito del giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi indicati in epigrafe, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale:

1) della legge della Regione siciliana 23 marzo 1971, n. 7 ("Ordinamento degli uffici e del personale dell'Amministrazione regionale") quanto alla nota c) della tabella N, ad essa allegata;

2) degli artt. 1 e 4 della legge della stessa Regione 26 ottobre 1972, n. 53 ("Interpretazione autentica della norma contenuta nella nota c) alla tabella N annessa alla legge regionale 23 marzo 1971, n. 7, concernente l'ordinamento degli uffici e del personale dell'Amministrazione regionale");

3) della legge regionale siciliana 1 agosto 1974, n. 30 ("Nuove norme sull'ordinamento degli uffici e del personale dell'amministrazione regionale"), quanto alla nota e) alla tabella contenuta nell'art. 8, sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 5 e 36 della Costituzione e 1 e 14 dello Statuto della Regione siciliana.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1986.