Sentenza n. 183 del 1986

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SENTENZA N. 183

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 32 del codice penale promosso con l'ordinanza emessa il 9 maggio 1978 dal giudice tutelare della Pretura di Bologna nella tutela relativa a Marchi Pietro iscritta al n. 414 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 dell'anno 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto in fatto

1. - Marchi Pietro, sottoposto ad interdizione legale a seguito di sentenza penale di condanna, ottenuta la liberazione condizionale, chiedeva al giudice tutelare di Bologna la chiusura della tutela per cessazione dello stato di interdizione legale come effetto della concessa liberazione condizionale.

Nel corso di tale procedimento, il Pretore di Bologna, con ordinanza del 9 maggio 1978, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 27 e 4 Cost., dell'art. 32 codice penale, nella parte in cui fa perdurare lo stato di interdizione legale del condannato, che benefici della liberazione condizionale.

Premette il giudice a quo che l'art. 32, terzo comma, codice penale, laddove dispone che il condannato é "durante la pena" in istato di interdizione legale, va interpretato nel senso che esso si riferisce anche a chi benefici della liberazione condizionale, fino a quando non si verifichi l'estinzione della pena, e ciò perché la pena accessoria dell'interdizione legale consegue alla mera irrogazione della condanna all'ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni e prescinde dalla effettiva espiazione in carcere della pena detentiva.

Così interpretata, però, la disposizione appare in contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost., per il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, poiché il mantenimento dello stato di interdizione legale per chi sia stato liberato condizionalmente porta a frustrare gravemente le finalità dell'istituto della liberazione condizionale, che si propone di reinserire il condannato nel consorzio civile

La medesima norma sembra altresì contrastare con l'art. 4 Cost., poiché la persistente interdizione legale ostacola dì fatto il pieno inserimento del liberato condizionalmente nel mondo produttivo in funzione attiva, impedendogli di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività e una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società: sono infatti non indifferenti, a titolo esemplificativo, le difficoltà per ottenere un mutuo da istituti ed enti.

Conclude il Pretore sottolineando la propria legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale nel corso di un procedimento di volontaria giurisdizione, nonché la rilevanza della questione stessa, giacché il suo accoglimento comporterebbe la chiusura ex officio della tutela.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

2. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per la non fondatezza, e rilevando preliminarmente che l'ordinanza di rimessione si basa su una inesatta interpretazione della disposizione impugnata, giacché, se é vero che la pena accessoria della interdizione legale opera con riguardo al periodo di eseguibilità della pena principale, ciò non significa però che permanga in stato di interdizione legale il liberato condizionalmente, il quale al contrario, durante il tempo della liberazione condizionale, non versa propriamente in stato di "durante la pena".

Osserva invero l'Avvocatura che, in ordine alla natura della liberazione condizionale, non può seguirsi la tesi secondo la quale si tratterebbe di una fase dell'esecuzione della pena detentiva e, più precisamente, di una fase più attenuata nella quale alla pena detentiva si sostituisce la libertà vigilata, dovendo invece preferirsi la tesi, più rispondente all'evoluzione dell'istituto, secondo la quale tra lo stato di detenzione e quello di libertà condizionale vi é un salto qualitativo, in quanto la seconda, per quanto vigilata, é sempre libertà, e quindi non può equipararsi o sostituirsi alla pena detentiva, né totalmente né parzialmente. Se poi si considera che, in virtù dell'art. 177, primo comma, codice penale, in caso di revoca della liberazione condizionale, il tempo trascorso in quello stato non é computabile nella durata della pena, l'istituto in questione non appare suscettibile di inquadramento tra le modalità di esecuzione della pena, poiché darebbe luogo ad un inspiegabile prolungamento della pena inflitta. Il liberato condizionale, dunque, non versa in stato di "durante la pena", e pertanto nei suoi confronti cessa lo stato di interdizione legale, conformemente, del resto, al fondamento etico - politico dell'istituto, il cui nucleo caratteristico é costituito dal raggiunto ravvedimento del reo per effetto del trattamento carcerario. La realizzazione della finalità emendatrice della pena ne rende superflua la prosecuzione: se così é non ha senso che prosegua, invece, lo stato di interdizione legale.

La proposta questione di legittimità costituzionale, pertanto, conclude l'Avvocatura, é superata dalla diversa interpretazione che deve darsi alla disposizione impugnata. In ogni caso, la questione stessa sarebbe infondata anche qualora dovesse invece accogliersi l'interpretazione adottata dal giudice a quo. Tramite la rappresentanza legale, infatti, é dato ovviare alla incapacità di agire del condannato ammesso alla liberazione condizionale, cui é in tal modo consentito, sia pure per mezzo del suo rappresentante, porsi in condizione di svolgere ogni attività intesa al suo reinserimento nella collettività.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza di rimessione, premesso che l'art. 32 c.p. va interpretato nel senso che l'interdizione legale, di cui allo stesso articolo, non é sospesa a seguito di concessione della libertà condizionale, assume che il mantenimento dello stato d'interdizione legale per chi sia stato liberato condizionalmente incide negativamente sulle finalità del beneficio, impedendo il pieno reinserimento del liberato condizionalmente nel mondo produttivo e conseguentemente solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 c.p., in riferimento agli artt. 27 e 4 Cost., nella parte in cui fa perdurare lo stato d'interdizione legale del condannato che benefici della liberazione condizionale.

Pertanto, a parere del giudice a quo, l'art. 32 c.p. dispone il mantenimento dell'interdizione legale anche nello stato di liberazione condizionale: é questa interpretazione che la Corte deve assumere a fondamento delle proprie argomentazioni.

Il giudice a quo, in sostanza, lamenta che la sospensione della pena principale della reclusione, a seguito di concessione del beneficio in esame, non comporti anche la sospensione della pena accessoria dell'interdizione legale, di cui all'art. 32 c.p.

2. - La sollevata questione di costituzionalità non é fondata.

Premesso che, nella generale nozione di rapporto giuridico punitivo (che s'instaura a seguito della definitiva sentenza penale di condanna) vanno enucleati i diversi rapporti giuridici d'esecuzione relativi alle diverse conseguenze penali della condanna; premesso che le vicende giuridiche relative a tali diversi rapporti d'esecuzione hanno di regola, autonomo svolgimento, nel senso che, (salva l'ipotesi d'estinzione di tutte le conseguenze giuridiche della condanna) la sospensione o l'estinzione d'uno degli effetti penali della condanna non coinvolge le vicende relative agli altri effetti della medesima; va ricordato che la liberazione condizionale é istituto attinente alla pena principale detentiva mentre l'interdizione legale é pena accessoria, nettamente distinta dalla prima: almeno di regola, la sospensione della pena principale detentiva, causata dall'atto di concessione del beneficio della liberazione condizionale, non comporta, pertanto, necessariamente anche la sospensione delle altre pene e dei vari e diversi effetti penali della condanna.

Va, poi, particolarmente sottolineato che la situazione del liberato condizionalmente, se é vero che é posizione di libertà, in relazione alla sospesa pena principale detentiva, non é situazione definitiva di libertà. Sul liberato condizionalmente grava il pericolo che, per l'intervento d'una causa di revoca del beneficio e, conseguentemente, di revoca della sospensione della pena principale detentiva, quest'ultima torni ad applicarsi nei termini prefissati dalla sentenza di condanna. Dal soggetto liberato condizionalmente lo Stato attende la conferma della prognosi di già avvenuto ravvedimento, che era stata formulata in detenzione e che ha causato la concessione del beneficio. Il liberato condizionalmente é, come dire, in prova: si attendono da lui conferme del ravvedimento, conferme definitive che soltanto in situazione di libertà possono essere compiutamente ed indiscutibilmente offerte.

3. - Consegue che lo Stato ha interesse a stimolare l'esito positivo della prova: la libertà vigilata ex art. 230 c.p. é segno evidente di tale interesse. Ma discende anche che lo Stato oltre al predetto interesse, ne ha altri: deve, ad esempio, garantire i terzi, la collettività tutta, dai pericoli derivanti dall'anticipata liberazione del condannato.

L'interdizione legale ex art. 32 c.p. non può ritenersi incompatibile con la liberazione condizionale: se la prima non ostacola la rieducazione del condannato durante la detenzione; se, malgrado l'interdizione legale, alla quale il detenuto é stato già sottoposto durante la detenzione, il medesimo é riuscito ad offrire prove tali da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, non si riesce ad intendere perché la stessa interdizione dovrebbe ostacolare la prova ulteriore, di conferma del ravvedimento, che il già condannato é tenuto, in libertà, ad offrire.

Non si dimentichi, peraltro, che l'interdizione legale di cui all'art. 32 c.p. comporta l'applicazione al condannato delle norme previste dalla legge civile per l'interdizione giudiziale limitatamente alla disponibilità ed all'amministrazione dei beni; il condannato non subisce, pertanto, ulteriori limitazioni della capacità giuridica o di agire, rispetto agli atti attinenti al diritto di famiglia (salve ulteriori limitazioni derivanti dall'art. 32 c.p.) o alla facoltà di testare o di stare in giudizio, quando l'oggetto del medesimo attenga a diritti non preclusi al condannato.

Va aggiunto che, quand'anche l'interdizione legale fosse prevista per la sola tutela dei terzi, non per questo si potrebbe, per sé, ritenere costituzionalmente illegittima, non essendo, ovviamente, vietato al legislatore garantire la collettività da eventuali pericoli dell'anticipata liberazione del condannato.

Ma l'interdizione in parola viene giustificata, da una parte della dottrina, non soltanto in funzione dell'interesse dei figli o degli altri parenti ma anche in funzione degli interessi dello stesso condannato; per quanto severa verso quest'ultimo. si sostiene, la legge non può volere che vadano dispersi i suoi averi. E se così fosse, non si vedrebbe, davvero, come ritenere incompatibile con la liberazione condizionale, alla luce dei chiarimenti innanzi offerti, l'interdizione legale di cui all'art. 32 c.p.

Tutto il tema relativo alle pene accessorie avrebbe forse bisogno di precisazioni e chiarimenti, legislativi e dottrinali; ma, allo stato, l'interdizione legale non é da ritenersi, secondo la Costituzione, incompatibile con la liberazione condizionale.

Gli invocati parametri di riferimento, gli artt. 4 e 27 Cost., non sono applicabili alla specie. Non l'art. 4 Cost., giacché la condizione d'interdetto legale non preclude al liberato condizionalmente d'esercitare i diritti ed i doveri di cui allo stesso art. 4 Cost.: l'esemplificazione, in contrario avviso, indicata dall'ordinanza di rimessione (le difficoltà d'ottenere mutui da istituti od enti) non é davvero probante: se difficoltà esistono, al fine d'ottenere mutui da istituti od enti, per i mai condannati, maggiori difficoltà certamente esistono per i già condannati, in liberazione condizionale; ma ciò non a causa dell'interdizione legale. Ché, anzi, si sarebbe tentati d'affermare che maggiori sarebbero, forse, le difficoltà, ai fini ora indicati, del liberato condizionalmente non sottoposto, per ipotesi teorica, ad interdizione legale.

Anche il riferimento all'art. 27 Cost. non é, nella specie, invocabile. I principi d'umanizzazione delle pene sono già rispettati con la previsione legale e la concessione, in concreto, della liberazione condizionale; come, con la stessa concessione, é, altresì, rispettato il disposto relativo alla finalità rieducativa delle pene.

Quanto osservato in tema di natura (bifronte) della liberazione condizionale, vale a concludere che non é certamente l'interdizione legale che può rendere oltremodo gravosa la prova definitiva dell'avvenuto ravvedimento.

Non esistendo alcun vincolo costituzionalmente determinato, in riferimento agli artt. 27 e 4 Cost., per il legislatore ordinario, in tema di rapporti tra liberazione condizionale ed interdizione legale, va, infine, osservato che, anche se l'interpretazione accolta nell'ordinanza di rimessione non fosse condivisa (ove, cioé, l'interprete ritenesse che durante lo stato di liberazione condizionale, a termini del diritto vigente, l'interdizione legale non permanga) ugualmente, almeno allo stato, non Vi sarebbe contrasto con la vigente Costituzione. La materia é, infatti, oggetto di scelta discrezionale del legislatore ordinario

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 c.p., sollevata, in riferimento agli artt. 27 e 4 Cost., dal giudice tutelare della Pretura di Bologna, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1986.