Sentenza n. 172 del 1986

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SENTENZA N. 172

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 legge 19 dicembre 1973, n. 823 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto - legge 5 novembre 1973, n. 660, recante norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria") promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1977 dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Roma sul ricorso proposto da D'Archivio Giuseppe iscritta al n. 432 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 341 dell'anno 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto in fatto

1. - Il Sig. D'Archivio Giuseppe definiva tramite concordato con l'Amministrazione finanziaria il reddito di ricchezza mobile e quello complementare per l'anno 1970. Tale reddito ineriva a due distinte attività commerciali, delle quali una ceduta nel corso dell'anno, nonché al ricavo derivante dalla cessione di quest'ultima attività e del relativo avviamento commerciale. Successivamente il D'Archivio chiedeva di definire con la procedura automatica (c.d. condono) di cui al decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, le controversie relative alle dichiarazioni dei redditi per gli anni dal 1971 al 1973. L'Ufficio accoglieva l'istanza e, in applicazione dell'art. 3 del detto decreto legge, liquidava le imposte sulla base dei redditi definiti per il 1970 con l'aumento del 10 per cento l'anno. Il contribuente proponeva allora ricorso sostenendo che, ai fini del conteggio per il condono, fra i redditi definiti per il 1970 non si sarebbe dovuto prendere in considerazione quello relativo all'attività commerciale cessata né quello definito per la cessione dell'avviamento commerciale, trattandosi di redditi occasionali e comunque non riprodottisi.

Nel corso di tale giudizio, la Commissione Tributaria di secondo grado di Roma, con ordinanza del 20 dicembre 1977 (Reg. ord. n. 432/78), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 19 dicembre 1973, n. 823 - recte: dell'art. 3 del decreto legge 5 novembre 1973, n. 660 ("Norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria"), così come modificato dall'articolo unico della legge di conversione 19 dicembre 1973, n. 823 - , "nella parte in cui, per i periodi di imposta antecedenti al 31 ottobre 1973, scaduto il termine per la dichiarazione, ma non quello per l'accertamento, prevede la commisurazione dell'imposta maggiorata del 10 per cento per ciascun periodo, sulla base dell'ultimo imponibile definito nei modi ordinari o a norma dell'art. 2 della stessa legge".

Osserva la Commissione Tributaria che l'applicazione automatica dell'aumento del 10 per cento anche relativamente ai redditi occasionali o comunque non più riprodotti negli anni successivi, comporta per il contribuente "una situazione di particolare onerosità, tale da porlo in posizione differenziata e più gravosa rispetto agli altri cittadini", e determina, a causa della sua irrazionalità, una violazione del principio di eguaglianza e del criterio di capacità contributiva. Ed invero, conclude la Commissione, "il contribuente, nel chiedere di beneficiare del condono, non può, per il solo motivo che la legge relativa prevede un freddo automatismo di applicazione del prelievo fiscale, trovarsi in posizione differenziata rispetto ad altri cittadini in analoghe condizioni e, inoltre, subire una imposizione fiscale non correlata al criterio della effettiva capacità contributiva".

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

2. - E intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione.

Osserva l'Avvocatura che é evidente la manifesta infondatezza della tesi del giudice a quo, secondo il quale il sistema di determinazione automatica del prelievo fiscale ancorato ad una situazione pregressa, comporterebbe, nel caso di mancato rinnovamento di tale situazione, una particolare onerosità per il contribuente, tale da porlo in una posizione differenziata e più gravosa rispetto agli altri cittadini.

In primo luogo, infatti, la legge n. 823 del 1973 non prevede alcun sistema di imposizione, ma dispone soltanto in ordine alla definizione in via amministrativa delle controversie pendenti e relative al vecchio sistema d'imposizione, per cui essa non può essere in contrasto col principio della capacità contributiva, che governa il sistema tributario sostanziale, ma non interessa il relativo contenzioso.

In secondo luogo, il sistema della definizione in via amministrativa attuato dalla legge in questione non può mai aggravare, ma soltanto agevolare la posizione dei contribuenti, poiché questi ultimi non sono tenuti a sottostare alla definizione stessa ma devono espressamente richiederla. Questa facoltà di scelta rappresenta invero la più efficace garanzia degli interessi dei contribuenti, i quali soltanto sono abilitati a porre in moto il procedimento di definizione alle condizioni prestabilite mentre l'Amministrazione non può sottrarsi alla richiesta. Tale sistema, spesso significativamente, anche se impropriamente, indicato come un condono, costituisce in definitiva un beneficio per i contribuenti e non può pertanto comportare violazione delle fondamentali garanzie costituzionali del cittadino.

Considerato in diritto

1. - In occasione dell'entrata in vigore della riforma tributaria, col decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, come modificato dalla legge di conversione 19 dicembre 1973, n. 823, sono state emanate disposizioni dirette ad eliminare sollecitamente il rilevante contenzioso relativo alle vecchie imposte ed a consentire una tempestiva, seppure ridotta, entrata tributaria. É stata così prevista la possibilità di definire, a richiesta dei contribuenti, le controversie tributarie in via amministrativa, a condizioni oggettivamente predeterminate sulla base d'un equo contemperamento fra le pretese, effettive od anche solo possibili, dell'ufficio e le dichiarazioni dei contribuenti stessi.

Come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare (cfr. sentenze n. 32 del 1976, 96 e 119 del 1980) si é voluto, infatti, nel momento in cui diveniva operante una riforma intesa a determinare un diverso e più corretto rapporto tra fisco e contribuenti, offrire a questi ultimi un mezzo non solo per chiudere le controversie pendenti dinanzi alle commissioni tributarie, od ancora in istruttoria presso gli uffici finanziari, ma anche per definire in modo semplificato, con rapidità ed automaticità, tutti quei rapporti col fisco suscettibili di contestazione, relativamente ai tributi soppressi o modificati per effetto della riforma tributaria.

In particolare, per le imposte dirette da liquidare sulla base delle dichiarazioni prodotte dai contribuenti ed ancora suscettibili di rettifica da parte dell'ufficio, l'art. 3 del summenzionato provvedimento legislativo ha ammesso il contribuente a richiedere la definizione in via amministrativa di ogni eventuale controversia sulla base del maggiore imponibile tra quello dichiarato e l'ultimo imponibile definito, aumentato del 10 per cento per ciascun anno.

2. - Nella concreta applicazione di tale disposizione, sono peraltro sorte alcune difficoltà interpretative per l'ipotesi in cui nell'ultimo imponibile definito siano ricompresi redditi non più riprodotti negli anni successivi o perché relativi ad entrate eccezionali ed irripetibili o comunque perché derivanti da attività cessate.

La Corte non ignora, infatti, che al riguardo si é venuto a determinare un contrasto fra la giurisprudenza della Commissione Tributaria Centrale e quella della Corte di Cassazione.

La prima, invero, ha costantemente e fermamente ritenuto che nella determinazione del reddito, su cui applicare la maggiorazione automatica ai fini del c.d. condono previsto dalla disposizione in esame, non può tenersi conto del reddito una tantum, derivante da un'entrata di carattere eccezionale rispetto alla normale attività del ricorrente e perciò non ripetibile negli anni successivi, quale, ad esempio, il valore di avviamento derivante dalla cessione di un'azienda o d'una quota sociale o la plusvalenza derivante dalla vendita d'un terreno edificatorio.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, invece, ha altrettanto fermamente e costantemente affermato che, in conseguenza della rigidità ed automaticità dei criteri che il decreto legge n. 660 del 1973 e la legge di conversione n. 823 del 1973 dettano per la liquidazione degli imponibili, impugnabile unicamente per errori materiali, non é consentito compiere accertamenti analitici sui componenti dell'imponibile medesimo e decurtarlo di eventuali redditi occasionali, sicché, nell'applicare la maggiorazione automatica ai fini del c.d. condono, deve necessariamente tenersi conto anche dei redditi una tantum o occasionali e di quelli derivanti da attività cessate. In altre parole, secondo la Cassazione, la disposizione impugnata assume l'ultimo imponibile accertato o dichiarato nella sua unità ed inscindibilità, presumendosi, iuris et de iure, che esso, aumentato d'una percentuale fissa specificamente stabilita, corrisponda al reddito complessivo degli anni immediatamente successivi, e, quindi, costituisca anche la base per la determinazione delle imposte relative a tali anni.

Il giudice a quo, cui compete peraltro l'esame ermeneutico delle norme che regolano la fattispecie, ha aderito all'interpretazione adottata dalla Cassazione ma ha ritenuto che le norme così interpretate si pongano in contrasto con i principii di eguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto prevedono un sistema di determinazione automatica del prelievo fiscale ancorato ad una situazione pregressa. Questo sistema, infatti, nel caso di mancato rinnovamento di tale situazione, e quindi nel caso in cui l'ultimo imponibile accertato o definito comprenda redditi eccezionali e non più ripetibili, comporterebbe per il contribuente una situazione di particolare onerosità, rispetto ad altri cittadini in analoghe condizioni. Secondo il giudice a quo, invero, nei confronti della concessa possibilità di definire in via amministrativa le controversie tributarie, il contribuente che versi nella descritta situazione verrebbe a ricevere, rispetto agli altri contribuenti, che negli stessi anni abbiano goduto di uguali redditi, un trattamento differenziato privo di razionale giustificazione, essendo fondato esclusivamente sul "freddo automatismo" del sistema di condono e sull'occasionale circostanza di aver goduto, in un certo periodo, d'un reddito eccezionale e non più riprodotto. E poiché la liquidazione automatica dell'imponibile viene effettuata anche sulla base di questo reddito una tantum, il medesimo contribuente verrebbe a subire un'imposizione fiscale non correlata al criterio d'effettiva capacità contributiva.

3. - Le sollevate questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.

Quanto al presunto contrasto con l'art. 53 Cost. é infatti esatto il rilievo dell'Avvocatura dello Stato, che il decreto legge n. 660 del 1973 e la legge di conversione n. 823 del 1973 non prevedono alcun sistema d'imposizione (regolato dalle singole leggi d'imposta) ma dispongono soltanto in ordine alla definizione in via amministrativa delle controversie tributarie relative al vecchio sistema d'imposizione, dettando una peculiare disciplina per l'accertamento dell'imponibile, rimessa all'iniziativa dei singoli interessati. Non può esservi perciò contrasto col principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., che riguarda la disciplina sostanziale dei tributi e non il relativo contenzioso e la tutela giurisdizionale dei contribuenti (cfr. ordinanze di questa Corte n. 367 del 1983 e n. 252 del 1985).

Quanto al dedotto contrasto con l'art. 3 Cost., va osservato che il sistema delineato dalla disposizione impugnata, ed i rigidi criteri d'automatismo per l'accertamento dell'imponibile da esso introdotti, trovano razionale giustificazione proprio nella rilevata esigenza d'una rapida definizione delle pendenze relative alle imposte abrogate e d'una tempestiva acquisizione da parte dell'erario d'un introito, anche se ridotto. D'altra parte, poiché il detto sistema poteva non sempre riuscire vantaggioso per il contribuente, appunto a causa della liquidazione degli imponibili secondo criteri rigidamente prefissati ex lege, non ne é stata prevista un'applicazione obbligatoria; né la sua attuazione é stata rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione. Al contrario, é stato razionalmente stabilito che la definizione in via amministrativa delle controversie tributarie potesse aver luogo soltanto a seguito d'esplicita istanza del contribuente; quest'ultimo, con l'impiego della normale diligenza, ben avrebbe potuto conoscere, con assoluta precisione, il risultato economico della definizione da darsi alla pendenza, e pertanto ben avrebbe potuto liberamente decidere, secondo un personale giudizio di convenienza, di rimanere assoggettato all'ordinario sistema d'accertamento o di chiedere che quella sua pendenza venisse definita col predetto particolare procedimento automatico.

Questa esclusiva facoltà di scelta, egualmente concessa a tutti i contribuenti, rappresenta la più efficace garanzia dei loro interessi e la dimostrazione che il sistema introdotto costituisce, in definitiva, un beneficio per i contribuenti medesimi: non può, pertanto, profilarsi la prospettata violazione del principio d'eguaglianza.

D'altra parte, non é nemmeno possibile un giudizio astratto di maggiore o minore onerosità della situazione nella quale, a seguito della richiesta di condono, venga a trovarsi un contribuente rispetto ad un altro, basando esclusivamente tale giudizio sul diverso importo liquidato con la procedura automatica. La valutazione di convenienza, infatti, non può tener conto soltanto della differenza tra reddito determinabile automaticamente e reddito prevedibilmente determinabile in via analitica ma anche dell'eventuale vantaggio, assai variabile da caso a caso, rappresentato dall'esonero dal pagamento degli interessi, delle maggiorazioni d'imposta e delle pene pecuniarie.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, come modificato dall'articolo unico della legge di conversione 19 dicembre 1973, n. 823, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 7 luglio 1986.