Sentenza n. 134 del 1986

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SENTENZA N. 134

ANNO 1986

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336 (norme sullo stato giuridico del personale sanitario degli ospedali); dell'art. unico della legge 3 settembre 1982, n. 627 nella parte in cui modifica l'art. 5 del d.l. 2 luglio 1982, n. 402; dell'art. 66 della legge 12 febbraio 1968, n. 132; dell'art. 60 d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri) e leggi successive, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 aprile 1983 dal Pretore di Bari nel procedimento civile vertente tra Buonsante Andrea a USL Ba/13, iscritta al n. 536 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 322 dell'anno 1983;

2) ordinanza emessa il 27 aprile 1984 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Foti Mario e USL XVIII della Liguria ed altra, iscritta al n. 1182 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47 bis dell'anno 1985;

3) n. 3 ordinanze emesse il 27 novembre 1984 dal T.A.R. per il Piemonte sui ricorsi proposti da Di Nola Francesco, Salvetti Franco e Guglielmini Guglielmo c/USL 1-23 di Torino ed altra e USL 34 di Orbassano e altra, iscritte ai nn. 299, 300 e 301 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 226 bis e 232 bis dell'anno 1985;

visto l'atto di costituzione di Foti Mario nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi gli avvocati Giuseppe Guarino e Lorenzo Acquarone per Foti Mario e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 27 aprile 1984 il Consiglio di Stato - nel giudizio d'appello avverso la decisione del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria che aveva rigettato il ricorso col quale il prof. Mario Foti (primario ospedaliero di ruolo) aveva impugnato il provvedimento che ne disponeva il collocamento a riposo alla data del compimento del 65 anno di età - ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale "degli artt. 1 e 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336; 66 della legge 12 febbraio 1968, n. 132; 5 del d.l. 2 luglio 1982, n. 402, nel testo modificato dalla legge di conversione 3 settembre 1982, n. 627" nella parte in cui, stabilendo che i sovraintendenti sanitari, i direttori sanitari, i direttori di farmacia e i primari ospedalieri che occupassero un posto di ruolo alla data di entrata in vigore della legge n. 336 del 1964 siano trattenuti in servizio fino al compimento del settantesimo anno d'età, non estendono la regola del pensionamento a settanta anni ai sanitari che, alla data di entrata in vigore della legge, fossero legati all'organismo ospedaliero da un rapporto diverso.

L'art. 1 (primo comma) della citata l. n. 336 del 1964 - osserva in sostanza il giudice a quo - stabilisce il principio, del resto già posto dall'art. 18 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, della cessazione dal servizio per limiti di età di tutti i sanitari ospedalieri al compimento del 65 anno; la deroga contenuta nella disposizione transitoria di cui all'art. 6, che solo ai sanitari che occupassero un determinato posto di ruolo al momento di entrata in vigore della legge consente di rimanere in servizio sino a 70 anni, creerebbe una ingiustificata discriminazione, "che non appare sorretta da accettabili ragioni oggettive" di interesse pubblico, in danno degli altri sanitari.

Le precedenti deroghe alla regola del collocamento a riposo al momento del raggiungimento del 65 anno di età miravano, invero, o a consentire il compimento di quaranta anni di servizio utile a pensione (articolo unico della legge 20 febbraio 1956, n. 68) o a trattenere in servizio quei sanitari che avessero continuato a prestarlo nonostante il superamento dei limiti di età in attesa dell'emanazione di nuove disposizioni in materia (l. 23 ottobre 1962, n. 1552): tutte, peraltro, erano estese a tutti i sanitari, senza alcuna distinzione fra le diverse categorie. Tale distinzione é, invece, - così testualmente afferma il Consiglio di Stato - irragionevolmente operata dall'art. 6 della l. n. 336 del 1964, che non "si presenta motivata da esigenze dovute ad eventuali carenze delle strutture ospedaliere, dato che la presenza di particolari situazioni di inadeguatezza non può condurre, ai fini della loro sanatoria, all'emanazione di una normativa generalizzata e, per di più, con effetti discriminatori".

La denuncia delle disposizioni successive che richiamano l'art. 6 della l. n.336 del 1964 e ne stabiliscono l'applicazione con gli stessi effetti é, - afferma ancora il giudice a quo - conseguenziale. L'art. 5 del d.l. n. 402 del 1982, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 627 del 1982, estendendo l'applicazione dell'art. 6 della l. n. 336 del 1964 a coloro che, alla data di entrata in vigore di detta legge, "occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate" (e dunque a chi nel 1964 fosse solo "incaricato" delle funzioni di primario) accentuerebbe anzi la rilevata discriminazione nei confronti degli altri sanitari di ruolo.

2. - Analoga questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con tre identiche ordinanze emesse il 27 novembre 1984 in tre distinti giudizi promossi dai dottori Francesco Di Nola, Franco Salvetti e Guglielmo Guglielmini, tutti primari ospedalieri, avverso i provvedimenti con i quali li si informava che sarebbero cessati i rispettivi rapporti di impiego al compimento, da parte di ciascuno, del 65 anno di età.

Il T.A.R. denuncia, in riferimento all'art. 3 Cost., gli artt. 1 e 6 della l. n. 336 del 1964; l'art. 60 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130; l'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761; l'art. 5 del d.l. n. 402 del 1982 nel testo modificato dalla legge di conversione n. 627 del 1982 "nella parte in cui non consentono ai medici ospedalieri divenuti di ruolo in qualità di assistenti ed aiuti prima della data di entrata in vigore della legge n. 336 del 1964, ma nominati primari successivamente, di rimanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età".

Il giudice a quo espone preliminarmente che la disorganica legislazione succedutasi negli ultimi anni avrebbe finito col determinare una ingiustificata discriminazione di sanitari: da un canto, invero, hanno diritto al trattenimento in servizio sino al 70 anno d'età, oltre ai primari contemplati dal combinato disposto degli artt. 6, l. n. 336 del 1964, 5, d.l. n. 402 del 1982, e 53, d.P.R. n. 761 del 1979, anche tutti i primari universitari e "tutti i medici trasferiti ai ruoli regionali ai sensi della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (in pratica tutti i convenzionati esterni INAM e medici condotti)"; dall'altro, solo i primari nella posizione dei ricorrenti, "accidentalmente rimasti fuori da tale disorganica normativa, devono lasciare a sessantacinque anni l'attività lavorativa". Ed aggiunge che, secondo la tesi dei ricorrenti, la deroga introdotta dall'art. 5 del d.l. n. 402 del 1982 alla più generale disciplina posta dalla l. n. 336 del 1964 e dall'art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979 "andrebbe estesa ad ipotesi non contemplate, perché ciò consentirebbe la piena espansione della volontà legislativa e ristabilirebbe insieme il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.".

Il giudice a quo sostiene dunque che la possibilità di ampliare l'ambito della deroga per farle acquistare una certa razionalità é stata già affermata dalla Corte costituzionale con sentenze nn. 2 e 20 del 1982 e dichiara di condividere pienamente le argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato nell'ordinanza di remissione di cui s'é detto più sopra, in parte letteralmente riproposte. Nega, da ultimo, che i principi generali attualmente vigenti nel pubblico impiego impongano il pensionamento al compimento del 65 anno d'età, dacché l'art. 4 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, pur fissando quel limite di età per i soli dipendenti statali, stabilisce tuttavia che continuano ad applicarsi le norme prevedenti diversi limiti di età per il collocamento a riposo di talune categorie di dipendenti, quali, ad esempio, i magistrati ordinari, amministrativi e militari, gli avvocati dello Stato, i professori universitari.

3. - L'articolo unico della legge 3 settembre 1982, n. 627, nella parte in cui modifica l'art. 5 del d.l. 2 luglio 1982, n. 402, é stato altresì denunciato, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Bari con ordinanza emessa il 15 aprile 1983.

Premesso che il ricorrente Andrea Buonsante aveva contestato il rifiuto opposto dalla unità sanitaria locale convenuta "al diritto di usufruire di quanto disposto dall'art. 5 della legge 3 settembre 1982, n. 627", il Pretore di Bari nega che la questione possa considerarsi già risolta sulla base della decisione di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 1982, avendo la Corte stessa, con successiva ordinanza n. 183 del 1982, disposto la restituzione degli atti al giudice a quo perché riesaminasse, alla luce del sopravvenuto d.l. n. 402 del 1982, convertito con modificazioni nella l. n. 627 del 1982, la questione di costituzionalità delle disposizioni (artt. 60, lettera a) e 135, d.P.R. n. 130 del 1969) prevedenti, in via generale ed indifferenziata, il collocamento a riposo di tutto il personale sanitario al compimento del 65 anno d'età, abrogando ogni disposizione contraria.

Il giudice a quo afferma dunque che nella controversia al suo esame "il diritto del ricorrente non viene contestato sotto il profilo della mancata occupazione di un posto di ruolo di cui altri avrebbe potuto rivestire la titolarità, bensì in quanto al 16 giugno 1964 il Buonsante non occupava un posto di ruolo perché non esistevano "ruoli" presso l'ospedale Fallacara di Triggiano, di cui era dipendente". E, sulla base di tali premesse, conclude testualmente che "la limitazione dell'efficacia del più volte citato art. 5 della legge n. 627 del 1982 soltanto nei confronti di chi avesse occupato un posto di "ruolo" e con la medesima qualifica (primario) creerebbe una ingiustificata discriminazione nei confronti di chi, titolare comunque di un posto di ruolo (diverso da quello di primario) fosse, nello stesso tempo, investito di funzioni di primario incaricato".

4. - Nel giudizio promosso dal Consiglio di Stato si é costituito il prof. Mario Foti, rappresentato dall'avv. Giuseppe Guarino, instando per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate.

In atto di intervento si nega anzitutto che il pensionamento a 65 anni costituisca una regola generale anche per i medici giunti all'apice della carriera; le continue deroghe in materia (costituite dall'art. 10 del r.d.l. n. 1631 del 1938, dalla l. n. 459 del 1965, dall'art. 5 del d.l. n. 402 del 1982, dall'art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979, dall'art. 48 della l. n. 833 del 1978, dall'art. 19 del d.P.R. n. 382 del 1980) avrebbero, al contrario, prodotto l'effetto di rendere regola generale il collocamento a riposo a 70 anni e "quello a 65 una deroga irrazionale nei confronti di una sparuta pattuglia di primari". Sono, infatti, collocati a riposo al compimento del 70 anno di età i medici condotti (ex l. n. 459 del 1965 in relazione all'art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979), i professori universitari di medicina e chirurgia (ex art. 19 del d.P.R. n. 382 del 1980) - equiparati ai primari ospedalieri in virtù del d.P.R. n. 129 del 1969 -, i c.d. convenzionati esterni delle unità sanitarie locali (ex artt. 7 del d.P.R. 13 agosto 1981 e 10 del d.P.R. 22 ottobre 1981, efficaci erga omnes grazie all'art. 48 della l. n. 833 del 1978), i quali tutti svolgono attività che non sembrano presentare caratteristiche talmente diverse rispetto a quelle dei primari da giustificare il deteriore trattamento dei secondi. Quanto poi agli stessi primari si nega ogni razionalità alla scelta operata dal legislatore - soprattutto da quello del 1982 - di consentire solo ai medici giunti all'apice della carriera nel 1964 di maturare i 40 anni di servizio effettivo, negandola a tutti gli altri, anche a quelli che avessero in ipotesi raggiunto lo stesso traguardo con un sol giorno di ritardo rispetto al termine fissato dal legislatore, e benché sovente accada che l'assistente in una grande università o in un importante nosocomio svolga mansioni assai più ampie del primario di un piccolo ospedale di provincia. Ma va anche considerato - si afferma ancora in atto di costituzione - che, di fatto, per la lunghezza degli studi, aggravata dai tempi necessari per conseguire una specializzazione, un medico non riesce ad entrare in una struttura pubblica prima dei trent'anni; di tal che il collocamento a riposo al 70 anno vale anche a soddisfare l'esigenza di consentire ai medici le stesse possibilità di carriera e di anzianità di servizio garantite agli altri pubblici impiegati. Tanto più se si tenga conto della circostanza che tanti medici "non poterono giungere al primariato prima del 1964 sia perché negli anni decisivi alla loro formazione erano militari, sia perché anteriormente al 1964 trovarono i posti apicali occupati da colleghi che v'erano giunti per vicende varie e non già per concorso" (si menzionano, in proposito, le leggi nn. 53 del 1949, 268 del 1950, 97 del 1955, 550 del 1955, 256 del 1958). Da ultimo si rammenta che l'art. 3 della l. n. 627 del 1982 viene ormai univocamente interpretato nel senso di includere coloro che nel 1964 fossero solo primari "incaricati", anche da un solo giorno, "facendo così sempre più apparire gli esclusi dal pensionamento a 70 anni uno sparuto numero di vittime d'una legislazione particolare".

5. - In tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le sollevate questioni vengano dichiarate infondate.

Negli atti d'intervento - e segnatamente in quello relativo al giudizio di costituzionalità promosso dal Consiglio di Stato - si osserva preliminarmente che il giudice a quo, pur riconoscendo che la legislazione successiva al r.d. n. 1631 del 1938 non modificò il principio generale del collocamento a riposo a 65 anni ma solo vi derogò per esigenze particolari, da tali deroghe trae argomento per negare la legittimità di una deroga ulteriore legata a presupposti diversi. Di più: il Consiglio di Stato lamenta, in buona sostanza, che il diritto al mantenimento in servizio sino a 70 anni non sia esteso a tutto il personale sanitario, senza alcuna distinzione di qualifica o di posizione pensionistica; escludendo, peraltro, il personale che nel 1964 non ricopriva una posizione di ruolo o non era ancora in servizio, così in definitiva venendo a prospettare una discriminazione all'interno della categoria dei sanitari. E non solo di quella, posto che la legittima aspirazione ad essere trattenuto in servizio sino al raggiungimento del 70 anno andrebbe allora tutelata nei confronti di ogni pubblico dipendente.

La verità é - afferma l'Avvocatura - che, a parte la intervenuta abrogazione dell'art. 6 della l. n. 336 del 1964 ad opera dell'art. 135 del d.P.R. n. 130 del 1969 (secondo quanto rilevato dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 33 del 1982), le norme impugnate non hanno inteso favorire una limitata categoria di sanitari "solo a tutela del loro interesse al prolungamento in servizio", ma hanno anche considerato le esigenze organizzative degli enti ospedalieri, la necessità di evitare "il blocco delle nuove assunzioni che avrebbe fatto seguito al blocco dei collocamenti a riposo, come si sarebbe verificato, in forma macroscopica, se per cinque anni nessun sanitario fosse stato collocato a riposo per limiti di età". Si é così opportunamente limitato il prolungamento del servizio solo di quel personale di ruolo (dunque qualificato) giunto a livelli nei quali ha decisamente più rilievo la capacità professionale acquisita e l'attitudine alle mansioni direttive del vigore fisico e del continuo, diretto impegno personale. Con il d.l. n. 402 del 1982, in particolare, il legislatore ha inteso "venire incontro a quel ristretto numero di sanitari che, già primari nel 1964, avevano perduto, per effetto della successiva normativa, la possibilità di restare in servizio fino al 70 anno", così agevolando una categoria non solo numericamente assai ridotta, ma anche di accertato valore professionale, trattandosi di sanitari che hanno ormai maturato una anzianità pressoché ventennale nella qualifica di primario.

Quanto, infine, all'affermazione contenuta in ordinanza relativa alla possibilità, data a tutto il personale prima della legge del 1964, di restare in servizio sino a 70 anni, l'Avvocatura rammenta che la Corte costituzionale, con sentenza n. 33 del 1982, ha escluso che possa considerarsi un diritto acquisito quello di permanere in servizio, per migliorare la posizione pensionistica, fino all'età che era prevista al momento dell'ingresso in carriera.

6. - Negli atti d'intervento depositati nei giudizi di costituzionalità promossi dal T.A.R. per il Piemonte l'Avvocatura si riporta alle argomentazioni già svolte, riaffermando che la deroga posta con l. n. 336 del 1964 fu giustificata dalla particolare posizione nella quale versavano i sanitari "che avevano raggiunto la posizione apicale in un periodo di riassestamento legislativo della materia, sicché la loro aspettativa ad essere trattenuti in servizio assumeva particolare rilevanza".

7. - Nell'atto di intervento relativo al giudizio promosso dal Pretore di Bari l'Avvocatura prospetta preliminarmente il difetto di rilevanza della questione in relazione all'addotto difetto di giurisdizione del giudice ordinario in una controversia concernente un rapporto di impiego pubblico; nonché la sua inammissibilità per incertezza sulla rilevanza in relazione alla impossibilità di evincere dalla ordinanza del giudice a quo se presso l'ospedale Fallacara di Triggiano "non esistevano ruoli del personale sanitario", ovvero "non esisteva posto in ruolo per il primario".

Considerato in diritto

1. - Le cinque ordinanze che sono all'esame della Corte - emesse, rispettivamente, dal Pretore di Bari il 15 aprile 1983 (r.o. 536/1983), dal Consiglio di Stato il 27 aprile 1984 (r.o. 1182/1984) e dal T.A.R. del Piemonte il 27 novembre 1984 (r.o. 299, 300 e 301/1985) - dubitano tutte della legittimità costituzionale delle norme che stabiliscono il pensionamento a 70 anni, non già per tutto il personale medico ospedaliero, ma solo per una determinata categoria, e lamentano tutte la violazione del principio d'eguaglianza, sicché i relativi giudizi possono riunirsi e definirsi con unica sentenza.

2. - La prospettazione, che offre l'ordinanza del Pretore di Bari, é, ad un tempo, carente ed ambigua. Non risulta dedicato alcun cenno alla posizione del ricorrente, e neppure alla rilevanza. Né é dato comprendere, quando si espone che il ricorrente "non occupava un posto di ruolo perché non esistevano 'ruolì presso l'ospedale... di cui era dipendente", se si intende dire che presso quell'ospedale non esistevano ruoli del personale sanitario o che, viceversa, non esisteva un posto di ruolo per il primario, con conseguente impossibilità, come ben a ragione rileva l'Avvocatura dello Stato, di operare la comparazione tra la norma impugnata e la situazione di fatto che la renderebbe incostituzionale. Bastano le brevi considerazioni che precedono per negare ammissibilità alla questione per difetto di motivazione sulla rilevanza.

3. - Le fattispecie di cui alle ordinanze emesse dal Consiglio di Stato e dal T.A.R. del Piemonte riguardano tutte primari ospedalieri, nei cui confronti é stato disposto dalle relative amministrazioni il collocamento a riposo a 65 anni. Gli interessati, premesso che erano già di ruolo al momento della entrata in vigore della deroga al limite di età, disposta con l'art. 6 della legge 10 maggio 1964, n. 336 (norme sullo stato giuridico del personale sanitario degli ospedali) - l'uno, il prof. Mario Foti (r.o. 1182/1984), quale Assistente presso l'Università di Genova, gli altri, dott. Franco Di Nola (r.o. 299/85), dott. Franco Salvetti (r.o. 3OO/1985) e dott. Guglielmo Guglielmini (r.o. 301/1985), quali Aiuti presso gli stessi ospedali, ove successivamente diventarono primari - hanno chiesto alle rispettive amministrazioni di volere applicare loro la suddetta deroga, rinviando di conseguenza il loro collocamento a riposo al compimento del 70 anno. In seguito al rigetto delle istanze, hanno adito il giudice amministrativo, eccependo, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale della norma derogatoria, in quanto confliggente col principio d'eguaglianza, se ritenuta escludere i primari diventati tali dopo l'entrata in vigore della legge n. 336 del 1964, ma già di ruolo anteriormente.

II Consiglio di Stato in sede di gravame, prima, il T.A.R. del Piemonte, dopo, reputando non manifestamente infondata la questione, ne hanno investito questa Corte, dinanzi alla quale hanno entrambi impugnato, in riferimento all'art. 3 Cost., gli artt. 1 e 6 legge n. 336 del 1964 e l'art. 5 decreto legge 2 luglio 1982, n. 492 (disposizioni urgenti in materia di assistenza sanitaria), nel testo modificato dalla legge di conversione 3 settembre 1982, n. 627; inoltre, il primo ha esteso l'impugnativa anche all'art. 66, legge di delegazione 12 febbraio 1968, n. 132 (enti ospedalieri e assistenza ospedaliera), il secondo anche agli artt. 60 d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri) e 53, d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 76l (stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali).

4. - La moltitudine dei provvedimenti legislativi che si sono susseguiti nel corso dell'ultirno trentennio a riguardo dell'età pensionabile del personale medico in genere, di quello sanitario ospedaliero in particolare, e che risultano comporsi di principi generali solennemente proclamati, di distinzioni, di deroghe, di proroghe, di pretese sanatorie ed interpretazioni autentiche, e persino di espliciti richiami in vigore, rende necessario premettere all'esame del merito un'accurata e completa ricognizione della pletorica e disorganica legislazione che ne é derivata in materia. E il solo modo, questo, di orientarsi in siffatto quadro normativo e, quindi, di operare il tentativo di rintracciare in esso una sicura linea di tendenza, alla cui stregua risolvere la questione.

4.1. - A sensi dell'art. 18, secondo comma, prima proposizione, regio decreto 30 settembre 1938, n. 1631 (norme generali per l'ordinamento dei servizi sanitari e del personale sanitario degli ospedali) - a questo provvedimento normativo occorre far capo, perché ad esso fanno capo quelli successivi -, "i sanitari che hanno acquistato la stabilità rimangono in carica fino al raggiungimento del 65 anno di età". Detta disposizione non é stata mai abrogata; anzi, lo stesso limite d'età stabiliscono successivamente ed esplicitamente: gli artt. 1, legge n. 336 del 1964, 60, secondo comma, d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri), 53, primo comma, d.P.R. n. 761 del 1979.

Dalla normativa sopra indicata si ricava, dunque, che il collocamento a riposo a 65 anni é la regola generale per tutto il personale medico ospedaliero, cioé senza alcuna distinzione categoriale. Ed appare utile ricordare altresì che tale regola vale anche per il personale sanitario a rapporto convenzionale di cui all'art. 48 legge 23 dicembre 1978, n. 833 (istituzione del servizio sanitario nazionale), come risulta dagli accordi collettivi nazionali, e per tutti "gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo" (art. 4, primo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, recante "approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato"), nei cui confronti a torto il T.A.R. del Piemonte afferma l'applicazione della regola contraria - il pensionamento a 70 anni - desumendola dalla disciplina riguardante magistrati e professori.

4.2. - A questa regola generale il legislatore ha derogato varie volte nel corso dell'ultimo trentennio.

a) A parte il caso, del tutto peculiare dei primari che erano stati allontanati dal servizio per motivi politici o razziali (legge 1 luglio 1955, n. 550), il limite d'età é stato per la prima volta elevato a 70 anni (articolo unico legge 20 febbraio 1956, n. 68, recante "collocamento a riposo dei sanitari ospedalieri di ruolo") per i "sanitari ospedalieri che... erano in servizio di ruolo in data anteriore all'entrata in vigore" del regio decreto n. 1631 del 1938 ed al fine di consentire loro di compiere "40 anni di servizio utile agli effetti della pensione". A sua volta, la legge 23 ottobre 1962, n. 1552 (sospensione dei termini di cessazione dal servizio, di cui al r.d. n. 1631 del 1938, a favore dei sanitari e delle ostetriche Ospedalieri) stabiliva (art. 1) il mantenimento "nell'incarico fino alla emanazione di nuove norme legislative" in materia, "e comunque non oltre il 30 giugno 1963", non solo per i sanitari "già in servizio di ruolo", ma "scaduti per superamento dei limiti di età", che tuttavia erano "ancora in attività presso gli stessi ospedali", bensì persino per "i sanitari che scadranno dopo la data di pubblicazione della legge" in discorso.

Le deroghe di cui sopra risultano stabilite entrambe a favore di tutto indistintamente il personale sanitario ospedaliero, e l'una per il raggiungimento di 40 anni di servizio, l'altra in attesa della nuova disciplina.

b) L'elevazione del limite d'età é stata successivamente e nuovamente disposta con la già menzionata legge n. 336 del 1964, e precisamente con l'art. 6, il quale così recita: "i sovraintendenti sanitari, i direttori sanitari, i direttori di farmacia e i primari, che alla data di entrata in vigore della presente legge occupino un posto di ruolo, sono trattenuti in servizio fino al compimento del 70 anno di età".

É questa la disposizione impugnata in tutte le ordinanze - unitamente all'art. 5, decreto legge n. 402 del 1982 -, e su cui perciò occorre soffermare particolare attenzione. Ivi risulta stabilita una ulteriore deroga alla regola generale del collocamento a riposo a 65 anni, ma non più per tutto il personale sanitario ospedaliero, bensì per le categorie dei primari e per il restante personale ospedaliero con qualifica apicale, con conseguente esclusione degli aiuti e degli assistenti; e neppure per tutta la categoria dei primari, bensì solo per quelli che erano in ruolo alla data di entrata in vigore della legge (16 giugno 1964), con conseguente esclusione, sia di quanti a quella data fossero primari, ma non di ruolo, sia di quanti diventassero primari di ruolo posteriormente. Si configura così una norma speciale, caratterizzata dalla provvisorietà, cioé destinata a perdere efficacia con l'esaurirsi della subcategoria presa in considerazione. Che fosse questa l'intenzione del legislatore non sembra che possano nutrirsi dubbi: oltre tutto, la disposizione é ancorata ad un dato temporale ed é compresa nel primo dei tre articoli, i quali, come espressamente recita l'epigrafe sotto cui sono collocati, compongono le norme comunemente denominate "transitorie", ma non già nel senso proprio di norme volte a regolare il passaggio da una disciplina vecchia ad una nuova, bensì nel senso improprio di norme intese a disporre difformemente dalla disciplina generale per un periodo di tempo ben determinato, in maniera che la disciplina generale possa al più presto riacquistare piena uniformità.

c) Ma la deroga in esame, al contrario di quelle sub a), non esprime la ratio, che ha indotto il legislatore ad operare la lamentata distinzione categoriale, e che tuttavia occorre individuare per potere valutare la ragionevolezza di questa. A tal fine giova chiedere sussidio ai lavori preparatori, dai quali si apprende, attraverso la parola del relatore della proposta di legge (Atti Camera, Commissione igiene e sanità, 27 febbraio 1964), che, poiché "alcune leggi... hanno praticamente bloccato i concorsi ed i licenziamenti, abolito i limiti d'età, creando delle situazioni che era necessario in qualche modo sanare", la norma transitoria che stabiliva il superamento del limite dei 65 anni trovava "una giustificazione nel fatto che, nel periodo dal 1938 al 1950, i concorsi ospedalieri non ebbero luogo prima a causa della guerra e poi per le difficoltà di ogni genere del periodo postbellico"; tanto più che "dal momento in cui entrò in vigore la prima legge sulle sospensioni dei licenziamenti, automaticamente anche i concorsi si sono fermati; e da quel momento, fino all'entrata in vigore della legge attualmente al nostro esame, nessun concorso avrebbe dovuto essere espletato", per cui "anche i concorsi già banditi non hanno potuto essere svolti", con la conseguenza che, stante la suddescritta situazione di stallo, ne sarebbe derivato grave danno all'interesse pubblico, nel senso che gli ospedali sarebbero rimasti privi del personale più altamente qualificato e sperimentato per un periodo di tempo imprevedibile.

d) A distanza di circa un ventennio dalla legge della quale si é testé detto, é stato emanato il decreto legge n. 402 del 1982, che fa richiamo alla deroga stabilita con la legge n. 336 del 1964, ma il cui esame va rinviato al seguito, sembrando che in ordine logico sia consigliabile completare il discorso su quest'ultima legge.

5. - I giudici a quibus chiedono a questa Corte, non già la caducazione di una norma, bensì la estensione della deroga ivi contenuta ad una fattispecie non prevista. Per quanto, poi, siano copiose le disposizioni impugnate, la censura si sostiene fondamentalmente sull'art. 6, legge n. 336 del 1964, giacché l'art. 5, decreto legge n. 402 del 1982, non tanto pone, quanto ripropone la deroga. L'art. 66, legge delega n. 132 del 1968, invece, limitandosi a disporre che la deroga si applica anche al personale che si sia trasferito da un ospedale all'altro, non altera sostanzialmente la questione; tanto che l'ordinanza del Consiglio di Stato, pur denunciandolo, non spende parola a suo riguardo. Da ultimo, le impugnazioni degli artt. 1, legge n. 336 del 1964, 60, d.P.R. n. 130 del 1969 e 53, d.P.R. n. 761 del 1979, poiché questi si limitano a loro volta a stabilire come regola generale il collocamento a riposo a 65 anni, assumono, tutt'al più, valore complementare e rafforzativo della censura formulata nei confronti dell'art. 6, legge n. 336 del 1964; gli stessi giudici rimettenti, che sembrano imputare loro - entrambi all'art. 1, legge n. 336 del 1964, il solo T.A.R. del Piemonte anche agli artt. 60, d.P.R. n. 130 del 1969 e 53, d.P.R. n. 761 del 1979 - di non contenere la deroga, si astengono da ogni approfondimento al riguardo. In seguito al chiarimento che precede, l'ampio quadro normativo offerto dalle ordinanze in esame si restringe così agli artt. 6, legge n. 336 del 1964 e 5, decreto legge n. 402 del 1982, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 627 del 1982; ed é su tali due articoli che va concentrata l'attenzione, anche se praecipue sul primo, che palesemente é il sostegno del secondo.

6. - Ma in proposito occorre preliminarmente ricordare che, con sentenza n. 33 del 1982, questa Corte, investita di analoga questione - si lamentava, infatti, che la deroga non si applicasse anche ai primari incaricati - si pronunciò nel senso dell'inammissibilità della questione per irrilevanza. Essa ritenne, infatti, che la deroga introdotta con l'impugnato art. 6, legge n. 336 del 1964 non fosse più in vigore in conseguenza del combinato disposto di cui agli artt. 60 e 135, d.P.R. n. 130 del 1969, dei quali il primo aveva statuito che il rapporto d'impiego cessa a 65 anni "per il personale sanitario" in genere - compresi, quindi, i primari -, ed il secondo che "é abrogata ogni disposizione incompatibile con le norme contenute nel presente decreto".

Senonché, successivamente a tale pronuncia, e reputandola priva di valore vincolante, in quanto interpretativa, a conclusione del tutto opposta pervennero il T.A.R. del Lazio, prima, ed il Consiglio di Stato, dopo, sia pure in due sole sentenze, nelle quali si affermò la persistente vigenza della deroga per effetto, sia dell'art. 66 della legge di delegazione n. 132 del 1968, il quale statuiva che "le disposizioni di cui all'art. 6", legge n. 336 del 1964 si applicavano anche al personale "successivamente... trasferito da un ospedale ad altro", sia dell'art. 53, d.P.R. n. 761 del 1979, il quale a sua volta statuiva che "restano ferme, per il personale trasferito ai ruoli regionali ai sensi della legge 28 dicembre 1978, n. 833, le vigenti norme di legge o regolamentari che fissano un diverso limite di età". Certo, poiché la legge delega n. 132 del 1968, nel dettare i "principi direttivi per lo stato giuridico del personale" ospedaliero (art. 42, primo comma), prescriveva testualmente al governo di "stabilire la disciplina fondamentale", ispirandosi a "criteri di uniformità e in conformità dei principi delle leggi vigenti che regolano il rapporto del pubblico impiego", sembrerebbe collimare meglio con la finalità di riordinamento, perseguita dal legislatore delegante nel settore ospedaliero, l'opinione secondo cui questo, con l'art. 66 (ma anche con l'art. 42, cpv.), avrebbe inteso, attraverso il rinvio dell'art. 6, cpv., legge n. 336 del 1964 alla legge n.1552 del 1962, non già mantenere in vita la deroga di cui al primo comma del predetto art. 6 bensì integrare la disciplina di quella di cui al secondo comma, riguardante i primari trattenuti in servizio "presso gli stessi ospedali", cui sembra più propriamente correlarsi l'ipotesi del successivo trasferimento ad altro ospedale.

Ma il problema della vigenza, o meno, della deroga in esame al momento dell'adozione delle ricordate sentenze non ha più ragione di porsi, essendo stato risolto dal legislatore con la disposizione di cui appresso.

7. - L'art. 5, decreto legge n. 402 del 1982, che nel testo modificato dalla legge di conversione n. 627 del 1982 - ed ivi riportando per chiarezza parenteticamente la proposizione modificativa - risulta così formulato: "Il personale di cui all'art. 6, legge n. 336 del 1964, compreso quello di cui all'art. 66 della successiva legge n. 132 del 1968 (che alla data di entrata in vigore della citata legge n. 336 del 1964 occupava un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate) resta in servizio fino al compimento del 70 anno d'età".

La trascritta disposizione si risolve sostanzialmente nella riproduzione della deroga stabilita circa un ventennio prima. Quale ne sia la ratio non emerge direttamente dal dato testuale, sicché occorre reperirla nei lavori preparatori. E sia nella relazione accompagnatoria del disegno di legge di conversione, sia in quella orale, sia nei vari interventi, si affermò concordemente che si tratterebbe, nell'intenzione del legislatore, di un'interpretazione autentica, resa necessaria dall'asserito contrasto giurisprudenziale fra questa Corte ed il giudice amministrativo, che avrebbe provocato difformi applicazioni della disciplina sull'età pensionabile fra regione e regione, tra alcune unità sanitarie locali ed altre (Atti Camera e Senato, Commissione igiene e sanità, 20 luglio 3, 4, 5 e 6 agosto 1982).

Ma questi motivi sembrano piuttosto l'occasio, che la ratio legis, la quale si lascia più propriamente individuare nella preoccupazione ampiamente condivisa, di tutelare le "posizioni acquisite", di "salvaguardare diritti quesiti", etc. Diviene agevole allora cogliere il genuino pensiero del legislatore: l'art. 5 "concerne diritti acquisiti senza alcuna riapertura di norme superate" (Atti cit., 28 luglio) ; esso "vuol solo sanare le posizioni giuridiche contemplate dalla legge n. 336 del 1964" (Atti cit., ib.); inoltre, "ha il valore di una vera e propria sanatoria e non può costituire in alcun modo un precedente per l'avvenire" (Atti cit., 3 agosto); infine, "di fronte ad interpretazioni contrastanti... propone di mantenere in servizio, fino al compimento del 70 anno, quei primari ospedalieri che erano stati assunti come tali prima del 10 maggio 1964" (Atti cit. 6 agosto). Insomma, il legislatore, con evidente riguardo all'ipotesi che l'art. 6, legge n. 336 del 1964 avesse perduto vigenza e che, quindi, occorresse provvedere in ordine alle conseguenze provocate dalla sua abrogazione, ha inteso, col decreto legge in esame, ripristinare o, comunque, confermare la deroga, ma nei precisi limiti stabiliti nel 1964, cioé esclusivamente a favore di quei primari che erano già tali e di ruolo nel 1964, e che alla data del decreto legge prestavano ancora servizio per non avere superato il 65 anno d'età. Che proprio e solo ad essi sia fatto riferimento deve ritenersi non più dubitabile quando si legge che si "chiede di sapere il numero esatto degli interessati al provvedimento"; che "non si sa con esattezza su quante persone (l'art. 5) inciderà"; che "si tratta di un numero limitato di persone"; che le "perplessità sono superabili considerando anche l'esiguità del fenomeno" (Atti cit. 20 e 28 luglio, 4 e 6 agosto 1982). Ed in effetti non può non riconoscersi che questa categoria era ormai divenuta un relitto, cioé di tanto scarsa consistenza e tanto prossima ad estinguersi, da potersi dire che la relativa deroga non aveva la capacità di turbare la regola generale del collocamento a riposo del personale sanitario ospedaliero al compimento del 65 anno d'età.

8. - L'art. 5 in discorso si richiama, sia all'art. 6, legge n. 336 del 1964, che per effetto di esso ha riacquistato vigore, sia all'art. 66, legge n. 132 del 1958. In quanto a quest'ultimo - di cui é stata data (paragrafo 6) l'interpretazione che appare più coerente col sistema -, si é già detto (paragrafo 5) che la disposizione ivi contenuta non altera sostanzialmente la questione. L'argomentazione può così essere circoscritta al richiamo che viene fatto al suindicato art. 6. É di tutta evidenza che l'impugnato art. 5, decreto legge n. 402 del 1982, rinviando all'art. 6, legge n. 336 del 1964, rinvia non solo, ovviamente, alla deroga ivi stabilita. ma anche alla sua ratio, che é quella più sopra individuata (paragrafo 4.2, sub c), cioé il blocco dei concorsi in conseguenza della guerra e delle prolungatesi difficoltà postbelliche e la preoccupazione di non potere perciò sostituire sollecitamente, nell'interesse pubblico, con personale di pari livello professionale quello che, in attesa dei nuovi concorsi, fosse stato collocato a riposo. Ed al riguardo é opinione di questa Corte che la deroga in esame, collocata nella cornice del tempo in cui venne disposta e valutata nella ratio che la promosse, trovava già allora giustificazione nell'anomala situazione testé ricordata e sfugge ancor oggi a qualsiasi censura di arbitrarietà, purché applicata esclusivamente a quei primari, che erano tali e di ruolo nel 1964, nei confronti dei quali soltanto può aver senso parlare di diritti quesiti. Ove così non fosse, si configurerebbe, nell'ambito di questa particolare categoria, un'ingiustificata discriminazione fra quelli che poterono avvalersi della deroga, avendo superato il 65 anno nella vigenza di questa, e quelli che non potrebbero più avvalersene, avendo superato la suddetta età dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 130 del 1969 (artt. 60 e 135).

8.1. - Ma allora, proprio perché questa può ritenersi costituzionalmente legittima nei ristretti confini di cui sopra, l'impugnato art. 5, decreto legge n. 402 del 1982 non merita censura per essersi limitato a ridarle o, comunque, a confermarle vigore nella precisa portata in cui venne disposta nel 1964 e per non averla, quindi, dilatata sino a comprendere i primari oggi in servizio, che a quella data erano di ruolo, ma quali aiuti ed assistenti. La deroga é inestensibile a questi, perché ne é inestensibile la ratio, stante la specificità della situazione nella quale quella venne a vita - per cui si giustifica la distinzione operata nell'ambito della categoria dei medici ospedalieri, nonostante la sua omogeneità, posta in luce dalla difesa privata -, e perché, inoltre, nella ripristinazione della norma derogatoria non é ravvisabile una ratio nuova e diversa da quella originaria. Né rilevano in contrario le altre considerazioni offerte dalla difesa privata: una volta riconosciuta, infatti, la peculiarità della disciplina del settore ospedaliero, non é proponibile il parallelo con i medici di altri settori sotto il profilo della vigoria fisica in corrispondenza all'età; e l'eventualità che alcuni aiuti ed assistenti di grandi ospedali fossero, al momento dell'entrata in vigore della deroga, superiori per professionalità ed esperienza a primari di piccoli ospedali é un dato di fatto che, anche se vero, non spetta a questa Corte, né di accertare, né di valutare.

8.2. - A questo punto, appare piuttosto opinabile l'interpretazione, che in entrambe le ordinanze viene proposta - sia pure incidentalmente e per rafforzare la censura - dell'emendamento aggiuntivo, col quale in sede di conversione venne modificata la formulazione dell'impugnato art. 5, decreto legge n. 402 del 1982. Entrambi i giudici a quibus affermano che tale emendamento, più sopra trascritto testualmente e parenteticamente (paragrafo 7), avrebbe esteso la deroga ai primari che alla data dell'entrata in vigore della legge n. 336 del 1964 erano semplicemente "incaricati", ma non ne danno alcuna dimostrazione, limitandosi a dedurne la conseguenza che a fortiori sarebbe ingiustificata l'omessa estensione della deroga a quei medici che alla stessa data erano di ruolo, anche se divenuti primari solo successivamente. Senonché, tale interpretazione non trova alcun appiglio nella legge e neanche nei lavori preparatori ove é scritto, invece, (Atti cit., 28 luglio) che il proponente "ribadisce che scopo del suo emendamento é quello di precisare che l'art. 5 vuol solo sanare le posizioni giuridiche contemplate dalla legge n. 336 del 1964.... e soltanto salvaguardare diritti quesiti" e che il rappresentante del Governo "giudica probabilmente ultroneo l'emendamento". Supposto pure, tuttavia, che detto emendamento aggiuntivo possa intendersi nel senso proposto dai giudici a quibus, l'inestensibilità più sopra asserita, della rilevata ratio impedirebbe egualmente di ritenere che la deroga vada perciò estesa ai sanitari che erano di ruolo nel 1964 e che diventarono primari successivamente.

8.3. - Valutando alla stregua delle suesposte considerazioni le doglianze dei giudici a quibus, si deve escludere che la mancata estensione della deroga ai ricorrenti comporti disparità di trattamento e, quindi, contrasti con l'art. 3 Cost.. Il principio di eguaglianza non é violato quando la deroga a favore di una categoria e non di altre dello stesso settore sia, come nella specie, giustificata. Si può, anzi, aggiungere che proprio l'espansione della deroga nel senso sollecitato dalle ordinanze in esame creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento - perché ormai inattuali le oggettive esigenze di interesse pubblico che furono alla base della norma derogatoria - fra quanti erano in ruolo nel 1964 e tutti coloro che lo sono diventati in seguito. Senza dire che, poiché l'art. 6, legge n. 336 del 1964, richiamato in vigore dall'art. 5, decreto legge n. 402 del 1982, non riguarda soltanto i primari, ma anche i sovrintendenti sanitari, i direttori sanitari ed i direttori di farmacia, la deroga non potrebbe non estendersi anche a quanti, già di ruolo in posizione subalterna nel 1964, sono divenuti posteriormente a tale data sovrintendenti e direttori sanitari e di farmacia. Ma allora si verificherebbe una profonda e grave incrinatura della riforma del settore, ed in genere del pubblico impiego, faticosamente raggiunta, che ha stabilito la regola generale del collocamento a riposo al compimento del 65 anno d'età.

La questione deve quindi dichiararsi infondata.

9. - La conclusione cui si é pervenuti in esito al riordinamento ed all'analisi della complessa legislazione in materia dispensa questa Corte dall'affrontare il problema se l'art. 5, decreto legge n. 402 del 1982 configuri, come si é sostenuto in sede parlamentare, un'interpretazione autentica - benché palesemente surrettizia ed adottata con decreto legge -, ovvero una ripristinazione di norma perenta, e se sia operativa ex nunc ovvero ex tunc. E si può egualmente omettere il riesame del quesito, se la disciplina del collocamento a riposo sia compresa, come ha ritenuto il giudice amministrativo, fra le posizioni giuridiche ed economiche acquisite, ovvero esclusa, come ha ritenuto questa Corte più volte e, da ultimo, con la ricordata sentenza n. 33 del 1982; il quesito e la sua soluzione sono, infatti, divenuti ininfluenti dopo che il legislatore, ridando o confermando vigore alla deroga, ha espressamente riconosciuto ai residui appartenenti alla categoria contemplata nell'art. 6, primo comma, legge n. 336 del 1964 il diritto a rimanere in servizio sino al 70 anno d'età.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 3 settembre 1982, n.627, sollevata dal Pretore di Bari, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza di cui in epigrafe (reg. ord. n. 536 del 1983);

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 6, legge 10 maggio 1964, n. 336 (norme sullo stato giuridico del personale sanitario degli ospedali); dell'art. 5, decreto legge 2 luglio 1982, n. 402 (disposizioni urgenti in materia di assistenza sanitaria), nel testo modificato dalla legge di conversione 3 settembre 1982, n. 627; dell'art. 66, legge 12 febbraio 1968, n. 132 (enti ospedalieri e assistenza ospedaliera); dell'art. 60, d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri); dell'art. 53, d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Consiglio di Stato e dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con le ordinanze di cui in epigrafe (reg. ord. nn. 1182 del 1984, 299, 300 e 301 del 1985).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 9 giugno 1986.