Sentenza n. 133 del 1986

 

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SENTENZA N. 133

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi promossi con ricorsi della Regione Veneto, notificati il 23 aprile e 15 luglio 1980, depositati in Cancelleria il 30 aprile e il 21 luglio 1980 ed iscritti ai nn. 9 e 19 del Registro 1980, per conflitti di attribuzione sorti a seguito dei provvedimenti n. 3775/80 dell'Intendente di Finanza di Verona del 16 febbraio 1980 e n. 8470 dell'Intendente di Finanza di Rovigo del 17 maggio 1980, relativi alle competenze regionali in materia di opere idrauliche e conseguentemente alla competenza per il rilascio delle concessioni.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 i1 Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'Avvocato Guido Viola per la Regione e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con nota del 16 febbraio 1980 l'Intendenza di Finanza di Verona invitava il sig. Crivellaro Vittorio, titolare di una concessione idraulica per l'attraversamento del fiume Menago con ponte di cemento armato, assentita dall'Ufficio regionale del Genio Civile di Verona il 3 gennaio 1980, a versare gli importi corrispondenti al canone annuo all'Ufficio statale del Registro di Verona. Il provvedimento dell'Intendenza era difforme da quanto disposto dallo stesso Ufficio del Genio civile, il quale aveva invece invitato il Crivellaro ad effettuare i versamenti a favore della Regione Veneto.

Secondo l'Intendenza, la titolarità del demanio fluviale resta statale pure in regime di decentramento regionale, anche se diversa é l'autorità che emana l'atto di concessione.

Avverso detto provvedimento dell'Intendenza di Finanza di Verona solleva conflitto di attribuzione la Regione Veneto con ricorso notificato il 23 aprile 1980, chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato per il difetto di attribuzione dello Stato in ordine alla pretesa espressa nell'atto stesso, nonché, corrispondentemente, la dichiarazione di appartenenza alla Regione delle competenze in ordine alle concessioni idrauliche e ai relativi canoni.

Si assume dalla ricorrente che le attuali norme statali e regionali attribuiscono alla Regione il potere di determinare ed incamerare il canone per le concessioni ed autorizzazioni in materia idraulica sul proprio territorio.

Più precisamente, per effetto dei d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, art. 2 lett. e), e 24 luglio 1977, n. 616, artt. 9, 11, 87 segg., attuativi degli artt. 117, 118, 119 Cost., sarebbero state trasferite alla Regione le funzioni relative alle opere idrauliche di IV e V categoria e non classificate, alle opere idrauliche di III categoria e comunque a tutte le opere idrauliche, relative anche ai bacini idrografici interregionali, con esclusione di quelle di I categoria. Sempre alla Regione sarebbero state parallelamente trasferite anche le funzioni relative alla polizia idraulica, e in generale alle opere pubbliche che si eseguono nel territorio della Regione medesima e, in particolare, per la materia delle cave e torbiere, il potere di autorizzazione all'escavazione di sabbia e ghiaia nell'alveo dei corsi d'acqua e nelle spiagge e fondali lacuali di competenza regionale nonché la vigilanza sulle attività di escavazione (art. 62, lett. a), d.P.R. n. 616).

Su tali basi, la legge del 27 aprile 1979, n. 32, della Regione Veneto avrebbe inteso dettare una disciplina unitaria delle funzioni amministrative riguardanti la polizia idraulica regolando il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni e concessioni in materia, e ciò con portata generale, anche se nella legge é posta in particolare risalto l'estrazione di sabbia e ghiaia dall'alveo dei fiumi.

Non sarebbe d'altra parte fondata la tesi dell'Intendenza, che afferma il diritto dello Stato sui beni appartenenti al demanio fluviale. Invero, afferma la ricorrente, le concessioni regolate nella legge regionale n. 32/79, in materia di acque pubbliche, dovrebbero intendersi corrispondenti alle concessioni previste dal Testo Unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie, approvato con R.D. 25 luglio 1904, n. 523, nella stessa materia e concernenti, fra l'altro, le acque pubbliche in genere, oltre che, in particolare, l'estrazione di sabbia e ghiaia dall'alveo dei fiumi e la costruzione di ponti su fiumi (artt. 97 e 98). La titolarità del bene demaniale in capo allo Stato non potrebbe quindi intaccare la spettanza del potere di esercitare la vigilanza e attribuire le concessioni al soggetto pubblico cui la funzione é attribuita, ed in cui si esprimerebbe appunto la funzione di polizia delle acque ora regolata dalla legge regionale.

Né il trasferimento alla Regione del potere rivendicato altererebbe sotto il profilo della proprietà pubblica il demanio fluviale, poiché lo stesso legislatore statale avrebbe assoggettato al medesimo regime normativo delle opere idrauliche sia l'estrazione della ghiaia, sia la costruzione di ponti, ed avrebbe comunque trasferito tali opere e i relativi poteri alla Regione senza nel contempo trasferire a quest'ultimo ente la proprietà del bene.

Infine, la Regione afferma che il complesso di poteri di cui al capo IV del d.P.R. n. 616 del 1977 trasferito alla Regione in tema di opere pubbliche e di opere idrauliche in particolare, nonché dei poteri in altre numerose materie, pure esse devolute alla Regione stessa con altre disposizioni del medesimo decreto, renderebbe evidente che non sussiste la pretesa esclusività dei poteri statali in materia di demanio, e che si é, anzi, introdotto un criterio di collaborazione fra Stato e Regione per tutte le attività oggetto della programmazione nazionale e dei programmi regionali di sviluppo. Escluso il potere statale di regolare in via unilaterale ed esclusiva la destinazione e l'uso dei beni pubblici, la stessa configurazione del demanio statale andrebbe rivista nel senso che, in materia di polizia idraulica e delle acque e dei connessi poteri, allo Stato rimane la proprietà del bene e la signoria della relativa destinazione di esso; mentre spetta alla Regione tutto ciò che attiene alla gestione amministrativa e quindi all'attuazione dei poteri.

1.2. - Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.

L'Avvocatura contesta la fondatezza del ricorso affermando che le norme invocate dalla Regione hanno disciplinato il trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alla Regione, ma non hanno inciso sulla titolarità dei beni appartenenti al pubblico demanio, la quale resterebbe disciplinata dall'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281 e riservata allo Stato in relazione ai corsi d'acqua pubblica. Ancora allo Stato, di conseguenza, competerebbero i canoni delle relative concessioni.

2.1. - Con nota del 17 maggio 1980, diretta al locale Ufficio del Genio civile della Regione Veneto, l'Intendenza di Finanza di Rovigo, richiamandosi alle istruzioni ricevute dalla Direzione Generale del Demanio - in cui si affermava che in tutte le ipotesi di utilizzazione dei beni del demanio pubblico, marittimo, lacuale, fluviale, ad esclusione di quelle a scopo turistico ricreativo previste dalla delega di cui all'art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977, "spetta agli organi regionali (uffici del Genio civile) soltanto il potere di esprimere il parere circa la compatibilità dell'utilizzazione con il regime idraulico del corso d'acqua, ferma restando la competenza dello Stato a rilasciare le concessioni con introito dei relativi canoni "disponeva che l'ufficio stesso si attenesse alla direttiva sopra ricordata in relazione alle procedure da adottare per le concessioni relative all'occupazione di superfici costituenti rilevati arginali a mare c.d. di prima difesa nei Comuni di Rosolina e Porto Tolle.

A fondamento della disposizione l'Intendenza di Finanza distingue fra "polizia idraulica" - attività amministrativa diretta alla tutela delle opere idrauliche e del buon regime idraulico dei corsi d'acqua, disciplinata dagli artt. da 93 a 101 del T.U. approvato con R.D. 25 luglio 1904, n. 523, sulle opere idrauliche ed affidata alla competenza del Ministero dei lavori pubblici (uffici del Genio civile) - e "polizia delle acque", attività diretta alla tutela delle acque pubbliche mediante la regolamentazione degli usi delle stesse, prevista dal T.U. approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici nonché dal Regolamento per la derivazione e utilizzazione delle acque pubbliche del 14 agosto 1920, n. 1285.

Tale distinzione sarebbe stata confermata dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che tratta separatamente di acque (art. 88 n. 12 e art. 90) e di opere idrauliche (art. 88 n. 2 e art. 89). Con l'art. 90 dello stesso d.P.R. sarebbero state delegate alle Regioni le sole funzioni concernenti la "polizia delle acque". Comunque, le competenze trasferite alla Regione riguarderebbero unicamente l'esercizio di funzioni amministrative senza comportare il passaggio di proprietà di beni del demanio idraulico statale.

Di conseguenza, il potere di determinare e riscuotere i canoni per le relative concessioni spetterebbe pur sempre allo Stato.

Secondo l'Intendenza, infine, la legge n. 32 del 1979 della Regione Veneto oltrepasserebbe i limiti segnati ai poteri regionali con il già richiamato d.P.R. n. 616 del 1977.

Contro l'anzidetto provvedimento dell'Intendenza di Finanza, la Regione Veneto solleva conflitto di attribuzione con ricorso notificato il 15 luglio 1980 chiedendo, previa dichiarazione di illegittimità dell'atto impugnato e delle relative istruzioni ministeriali, dichiararsi la competenza della Regione al rilascio delle concessioni di cui all'art. 6 della legge regionale 27 aprile 1979, n. 32, nonché alla determinazione e riscossione del relativo canone.

La Regione ripete le argomentazioni già svolte nella difesa relativa al ricorso contro il sopra menzionato provvedimento dell'Intendenza di Finanza di Verona e ribadisce l'affermazione che la legge regionale n. 32 del 1979 concerne tutta la materia della polizia idraulica e quindi ricomprende l'azione di tutela e vigilanza, nonché gli atti autorizzativi e concessivi relativi alle opere idrauliche e loro pertinenze sui corsi di acqua.

Rileva altresì la ricorrente l'inefficacia di ogni censura alla legge regionale formulata al di fuori del giudizio di legittimità costituzionale.

2.2. - Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Anche in questo giudizio l'Avvocatura contesta la fondatezza del ricorso con argomentazioni analoghe a quelle esposte in occasione del ricorso della Regione avverso il sopra menzionato provvedimento dell'Intendenza di Finanza di Verona.

3. - In prossimità dell'udienza, la difesa della Regione Veneto - relativamente al secondo conflitto - e l'Avvocatura dello Stato - relativamente ad entrambi i giudizi - hanno depositato memorie aggiuntive, sviluppando le argomentazioni già svolte e insistendo nelle conclusioni adottate.

4. - La trattazione dei presenti ricorsi era stata assegnata all'udienza pubblica del 13 marzo 1984. La Corte, con ordinanza n. 160/84, ha disposto che la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Presidenza della Giunta regionale del Veneto facessero pervenire, rispettivamente: il testo integrale della circolare del Ministero delle Finanze, Direzione Generale Demanio, ed eventuali successive istruzioni impartite in materia dal Ministero delle Finanze; l'indicazione dei tipi di utilizzazione dei beni demaniali cui tendono le richieste di concessione, delle quali é cenno nella nota dell'Ufficio regionale del Genio civile di Rovigo, diretta all'Intendenza di Finanza.

L'una e l'altra amministrazione hanno provveduto a depositare i documenti richiesti.

5. - Nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986, il giudice La Pergola ha svolto la relazione e la difesa della ricorrente e l'Avvocato dello Stato hanno ribadito le conclusioni già adottate.

Considerato in diritto

1. - Questa Corte é stata investita di due conflitti di attribuzione con ricorsi della Regione Veneto, rispettivamente notificati il 23 aprile ed il 15 luglio del 1980, com'é spiegato in narrativa.

La prima delle controversie in esame trae origine da un atto dell'Intendenza di Finanza di Verona del 16 febbraio 1980. Gli organi regionali avevano, sulla base della legge veneta 27 aprile 1979, n. 32, assentito alla ditta Crivellaro la concessione di attraversare con un ponte in cemento armato il fiume Menago, nel Comune di Bovolone; l'Ufficio regionale del Genio civile di Verona ha conseguentemente determinato il canone annuo di concessione (in misura diversa da quella in precedenza stabilita dall'Intendenza di Finanza), invitando l'anzidetta ditta a versarlo direttamente alla Regione. Con l'atto impugnato in questa sede, l'Intendenza, sull'assunto che il canone sia tuttora di spettanza statale, ha, dal canto suo, successivamente invitato il concessionario a versarlo non alla Regione, ma al locale Ufficio del Registro. La questione posta alla Corte é, allora, quella di stabilire se, in relazione alla concessione idraulica che qui viene in considerazione, spetti allo Stato, oppure alla Regione, determinare ed incamerare il canone dovuto dal concessionario.

Il secondo conflitto é sollevato dalla ricorrente per avere l'Intendenza di Finanza di Rovigo prodotto - in risposta ad una nota del locale Ufficio regionale del Genio civile - una lettera, in data 17 maggio 1980, nella quale si afferma che compete, anche qui, non alla Regione, ma allo Stato, assentire alle autorizzazioni e concessioni di polizia idraulica, le quali concernono, nella specie, rilevati arginali a mare, c.d. "di prima difesa", nei Comuni di Rosolina e Porto Tolle. In quest'ultimo caso, si tratta, quindi, di decidere se la competenza di adottare l'atto di concessione avente l'oggetto testé descritto spetti allo Stato ovvero alla Regione. Le due questioni di cui la Corte é chiamata ad occuparsi sono connesse. I relativi giudizi possono essere riuniti e congiuntamente decisi.

2. - Giova, prima di tutto, ricordare in quali termini la ricorrente deduca la lesione della propria sfera di attribuzione, garantita dagli artt. 117- 119 Cost. e dalla legislazione ordinaria che ha trasferito alle Regioni le funzioni amministrative concernenti le opere idrauliche ed altre attribuzioni in varia guisa interferenti nel settore (cfr. d.P.R. n. 616/1977). Nell'uno e nell'altro atto dell'Intendenza di Finanza si assume, precisamente, che il trasferimento delle anzidette funzioni "nulla ha innovato circa la titolarità del diritto di proprietà pubblica sui beni appartenenti al demanio fluviale". Titolare di questo diritto, ritiene l'Intendenza, é rimasto lo Stato. Restando riservata ai competenti organi del Ministero delle Finanze l'amministrazione dei beni demaniali, nessuna disposizione della legge regionale n. 32/79 avrebbe, ad avviso dell'Intendenza di Finanza di Verona, inteso, o comunque potuto, conferire alcun titolo alla Regione per determinare ed incamerare il canone di concessioni, le quali concernono, come qui accade, l'utilizzazione di beni demaniali. L'Intendenza di Rovigo muove anch'essa dalle premesse testé riferite per dedurne, sulla base di istruzioni impartite dalla Direzione generale del Demanio, che il d.P.R. n. 616/77, in conformità del criterio discretivo adottato nella previgente legislazione, pone distinte discipline relativamente alla polizia o tutela delle acque pubbliche, che si connette con la disciplina degli usi delle stesse, e alla polizia o tutela delle opere idrauliche, che concerne il buon regime del corso d'acqua: la polizia delle acque é delegata alle Regioni (art. 90 d.P.R. n. 616/77); quanto alle funzioni amministrative concernenti le opere idrauliche, esse sarebbero state attribuite alle Regioni, senza. tuttavia, espressa menzione dei relativi poteri di polizia. Dal sistema vigente, sempre a giudizio dell'Intendenza di Rovigo, si ricava, in via d'interpretazione, che alle Regioni debbano, in materia di polizia idraulica, intendersi trasferite solo le attribuzioni prima spettanti al Ministero dei lavori pubblici, ai sensi del Testo Unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie, approvato con R.D. 25 luglio 1904, n. 523. Di qui la conclusione secondo la quale in tutte le ipotesi di utilizzazione dei beni del demanio pubblico - ad esclusione di quelle a scopo turistico-ricreativo, per le quali é espressamente prevista altra delega alle Regioni, ex art. 59 del d.P.R. n. 616 - spetta agli organi regionali "soltanto di esprimere il parere circa la compatibilità dell'utilizzazione" (del bene demaniale, conseguente al provvedimento da adottare) "con il regime idraulico"; mentre spetta allo Stato assentire alla concessione, oltre che determinare ed incamerare il relativo canone.

Ora, alle affermazioni dell'Intendenza di Finanza la ricorrente oppone che le funzioni ad essa trasferite in materia di opere idrauliche vanno configurate alla stregua dei principi informatori del d.P.R. n. 616 (la tassatività delle competenze residuate allo Stato, per un verso, e, per l'altro, organicità del settore devoluto alle Regioni; la generale previsione secondo cui le funzioni amministrative delle Regioni si collegano con quelle di polizia; la puntuale ed espressa delega alle Regioni della polizia delle acque; le attribuzioni ad esse conferite con riferimento alle opere pubbliche nel territorio regionale; e così via). Le norme di trasferimento avrebbero, insomma, investito la Regione di tutte le competenze occorrenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e di polizia, nelle quali sarebbe implicitamente, ma chiaramente radicato anche il potere di disporre in ordine alle concessioni ed autorizzazioni aventi per oggetto opere idrauliche; e ciò, sotto tutti gli aspetti, per i quali l'Intendenza di Finanza rivendica la competenza dello Stato ed avanza, altresì, la pretesa di declassare al piano del semplice parere la funzione spettante alla ricorrente. Dopo di che, la disciplina della specie andrebbe ricondotta sotto il generale regime concessorio dettato con la legge veneta n. 32/1979. Nulla toglie al fondamento delle conclusioni dinanzi esposte - asserisce la Regione - il fatto che lo Stato mantenga il diritto di proprietà sui beni appartenenti al demanio fluviale. Per quel che concerne l'attuale decisione, il decentramento delle funzioni, intervenuto successivamente alla produzione dei corpi normativi che regolano acque pubbliche ed opere idrauliche, imporrebbe all'interprete di distinguere, nella sfera del demanio, l'ambito di residua competenza statale, in cui gli organi centrali potrebbero, se mai, istituire un canone ricognitivo del diritto di proprietà, e quello in cui operano, in relazione al bene demaniale, i poteri di autonomia: dai quali ultimi la Regione verrebbe, senza necessità di apposita ed espressa attribuzione, a trarre il titolo giustificativo, sia della determinazione e spettanza del canone, sia - in considerazione dell'attività di gestione e delle funzioni di polizia ad essa trasferite - dell'adozione dei provvedimenti autorizzativi e concessori, attualmente previsti dalla legge.

La tesi della Regione sarebbe, poi, confortata da altri dati del vigente ordinamento. così, in particolare, la ricorrente deduce che il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, contenente modificazioni delle leggi sulle tasse per le concessioni governative ha eliminato dalle tasse di concessione quelle relative agli atti compresi nell'art. 97 del T. U. del 1904 sulle opere idrauliche; il legislatore avrebbe con ciò tenuto conto del fatto che, trasferite le funzioni in discorso alle Regioni, le concessioni gravate da tale onere fiscale non sarebbero più state di competenza dello Stato.

3. - Va aggiunto che, con riguardo ai giudizi riuniti ai fini della presente decisione e dopo l'udienza pubblica del 13 marzo 1984, la Corte ha pronunziato un'ordinanza istruttoria (n. 160/84), volta ad acquisire agli atti il testo integrale della lettera-circolare del Ministero delle Finanze, menzionata nella nota dell'Intendenza di Finanza di Rovigo (v. sopra sub 2.1) e a conoscere i tipi di utilizzazione dei beni demaniali contemplati dalle richieste di concessione, alle quali si riferisce la sopra richiamata nota dell'Ufficio regionale del Genio civile di Rovigo (10 maggio 1980, n. 3188), diretta all'Intendenza di Finanza di quella città.

La Presidenza del Consiglio e la Presidenza della Giunta regionale hanno provveduto agli adempimenti richiesti. La circolare della Direzione Generale del Demanio contiene, in buona sostanza, le affermazioni fatte dall'Intendenza di Rovigo sull'assetto delle competenze, e sulla relativa distribuzione fra Stato e Regioni. Lo stesso deve dirsi di altri provvedimenti della Direzione Generale del Demanio (29 dicembre 1980; 10 dicembre 1983), diretti, il primo all'Intendenza di Belluno, l'altro a tutte le Intendenze del Veneto, fatti pervenire alla Corte dalla Presidenza del Consiglio in ottemperanza all'anzidetto provvedimento istruttorio. La Giunta regionale del Veneto ha per parte sua precisato che le concessioni cui si fa riferimento nella citata nota dell'Ufficio regionale del Genio civile di Rovigo riguardano l'utilizzazione dei beni demaniali elencati nell'art. 97 del T. U. n. 523/1904, e nella specie, precisamente, costruzioni di rampe di accesso, attraversamenti aerei, sfalci di prodotti erbosi su rilevati arginali. Le concessioni per queste ed altre utilizzazioni dello stesso genere, soggiunge la Presidenza della Giunta regionale, sono rilasciate dagli uffici regionali del Genio civile, sulla base dell'art. 6 della legge regionale n. 32/1979.

4. - Delle questioni poste alla Corte va, in ordine logico, considerata per prima quella che riguarda il potere di adottare il provvedimento concessorio. La ricorrente fa, invero, discendere dall'asserzione che tale competenza é stata ad essa attribuita anche l'ulteriore conseguenza, di cui sopra si é detto: assentita la concessione, spetterebbe altresì alla Regione di determinare il canone ed incamerarlo. A1 riguardo s'impone subito una precisazione.

La Regione non contesta che lo Stato mantenga il diritto di proprietà sul bene appartenente al demanio fluviale. La ricorrente non deduce nemmeno di essere, in base alle funzioni ad essa trasferite, abilitata a rilasciare concessioni di uso del bene demaniale; essa lamenta che lo Stato abbia preteso di emanare i provvedimenti contemplati negli artt. 97 e 98 del T. U. 1904, in materia di opere idrauliche, dei quali rivendica la spettanza, evidentemente sull'assunto che si tratti di veri e propri atti di concessione, la cui emanazione é stata demandata alle Regioni, quando, per il settore in discorso, sono state ad esse trasferite le funzioni amministrative e di polizia. Se così é, sovviene però il rilievo, formulato dalla difesa dello Stato, che i provvedimenti, della cui spettanza si controverte, sono qualificati dalla legge solo come autorizzativi: sono o "speciali autorizzazioni", o "permessi", così testualmente definiti nel senso proprio del termine, per modo che, ai fini dell'esecuzione delle opere, le quali interessano corsi d'acqua pubblica, l'organo autorizzante é chiamato esclusivamente a valutare la compatibilità dell'opera da eseguire con il buon regime delle acque. Posto ciò, non occorre indagare se qui versiamo di fronte ad una funzione trasferita alla ricorrente, in quanto connessa o addirittura afferente al settore delle opere idrauliche, o all'altra funzione, concernente la polizia delle acque, che alla Regione é soltanto delegata, e nell'esercizio della quale essa non sarebbe, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 359/1985), nemmeno assistita dal mezzo di tutela offerto, in relazione alla sua propria sfera di attribuzioni, dal regolamento di competenza. Ai fini della presente decisione, basta osservare che il provvedimento autorizzativo, per via della funzione alla quale esso é predisposto, non era, né può oggi considerarsi, titolo idoneo a costituire in capo al privato concessionario i diritti, cosiddetti reali, sul bene demaniale oggetto dell'uso speciale assentito. Giustamente, dunque, la difesa dello Stato deduce che, quando l'esecuzione dell'opera autorizzata comporta l'occupazione o l'uso di tale bene il provvedimento autorizzativo, concernente la compatibità dell'opera con il buon regime delle acque, dovrà essere seguito dal provvedimento concessorio di carattere costitutivo, indispensabile perché il concessionario fruisca dei diritti e delle azioni scaturenti dagli artt. 823, primo comma, e 1145, secondo e terzo comma, c.c.. In ragione del sottostante regime del bene demaniale, il potere di concessione, che qui viene in rilievo, compete, peraltro, necessariamente allo Stato e ricade nella sfera di attribuzione degli organi del Ministero delle Finanze, istituzionalmente preposti all'amministrazione dei beni anzidetti. Queste funzioni dell'amministrazione delle Finanze hanno una loro autonoma e perdurante ragione d'essere e non toccano la materia delle opere pubbliche, né quella della polizia delle acque: ecco perché esse non sono coinvolte nel trasferimento (e nemmeno, é appena il caso di aggiungere, nella delega) delle attribuzioni prima spettanti agli organi statali, ed ora invocate in giudizio dalla ricorrente.

5. - I rilievi fin qui svolti conducono a ritenere che il ricorso sia infondato anche per quanto riguarda la determinazione e la spettanza del canone. Si voglia configurare il canone di concessione come un'imposizione di carattere tributario, oppur no, é un dato decisivo per la soluzione del problema rimesso alla Corte che il bene del demanio fluviale non é stato trasferito al demanio della Regione, laddove il non controverso diritto statale di proprietà sul bene costituisce un indefettibile presupposto del canone che si esige dal concessionario.

Le ragioni fin qui dette conducono alla seguente altra conclusione: spetta allo Stato determinare il canone relativo alle concessioni, che nel caso in esame esso rilascia; ed é alle casse dello Stato che il canone va versato, per l'introito nell'apposito capitolo del bilancio. D'altra parte, la funzione autorizzativa in materia di opere idrauliche spetta alla ricorrente nella sua pienezza e tipicità e non scade, come si vorrebbe dall'Intendenza di Finanza, all'emanazione di pareri. Se, poi, la ricorrente possa, in virtù di queste attribuzioni, istituire, anche con proprie leggi, oneri di sua spettanza a carico del soggetto autorizzato all'esecuzione dell'opera é altro problema, di cui la Corte non é chiamata ad occuparsi. Oneri del genere sarebbero in ogni caso nuovi e diversi dal canone che viene in considerazione nel presente giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara che spetta allo Stato rilasciare la concessione per l'occupazione di superfici costituenti rilevati arginali a mare c.d. di prima difesa nei Comuni di Rosolina e Porto Tolle, nonché determinare e riscuotere il relativo canone;

b) dichiara che spetta allo stato determinare e riscuotere il canone relativo alla concessione per l'attraversamento del fiume Menago con ponte in cemento armato nel Comune di Bovolone.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 9 giugno 1986.