Sentenza n.63 del 1986

 

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SENTENZA N. 63

 

ANNO 1986

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 500 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 507 stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1978 dal pretore di Borgomanero nel procedimento penale a carico di Comolli Edoardo iscritta al n. 627 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 dell'anno 1979. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di procedimento per incidente di esecuzione promosso da Comolli Edoardo, il pretore di Borgomanero, con ordinanza emessa il 12 luglio 1978, ha sollevato, su istanza di parte, questione di legittimità costituzionale dell'art. 500 c.p.p., in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., e, congiuntamente e disgiuntamente, agli artt. 507 c.p.p. e 3, secondo comma, Cost..

 

Espone il giudice a quo che Comolli Edoardo a seguito di notifica, avvenuta il 27 aprile 1978, ai sensi dell'art. 169 c.p.p., dell'estratto della sentenza contumaciale emessa nei suoi confronti dal medesimo pretore il 18 maggio 1977 e recante condanna per contravvenzione, aveva proposto, con atto pervenuto all'ufficio giudicante il 19 maggio 1978, impugnazione, che assumeva solo apparentemente tardiva, ed incidente di esecuzione, contestando l'esecutività della sentenza; aveva successivamente sollevato, in memoria, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 500, 199, secondo comma, e 151 c.p.p., in relazione all'art. 24 Cost., nella parte in cui le norme predette non prevedono l'avviso ad un difensore dell'inizio del decorso del termine per l'utile proposizione del gravame da parte del condannato in contumacia.

 

Osserva il pretore che la questione di legittimità appare rilevante, poiché, qualora la doglianza Così esposta fosse fondata, non si potrebbe ritenere che la sentenza é passata in giudicato.

 

La questione appare inoltre - ad avviso del giudice a quo - non manifestamente infondata, atteso che l'effettività della tutela del diritto all'impugnazione del condannato in contumacia, imposta dagli artt. 24, secondo comma, e 3, secondo comma, Cost., non sembra adeguatamente assicurata dall'art. 500 c.p.p.. Invero il condannato in contumacia, ricevuta la notificazione dell'estratto della sentenza, normalmente non é a conoscenza dell'esistenza di un termine per proporre impugnazione, né delle modalità di esercizio di tale diritto, e può avere difficoltà nel procurarsi tempestivamente adeguata assistenza tecnica. A tal riguardo non appare invocabile il principio vigilantibus iura succurrunt ed appare leso l'art. 24, secondo comma, Cost., e ciò:

 

a) sia in dipendenza della mancata previsione dell'obbligo di dare avviso al difensore dell'avvenuta notifica dell'estratto della sentenza contumaciale al condannato, anche quando questo sia avvenuto (come nella specie) ai sensi dell'art. 169 c.p.p.;

 

b) sia, e soprattutto, sotto il profilo, che rafforza il sospetto dell'illegittimità dell'art. 500 c.p.p. in relazione all'art. 24 Cost., ed introduce un secondo ed autonomo dubbio di legittimità, alla stregua dell'art. 3 Cost., per il trattamento irrazionalmente diseguale che il suddetto art. 500 c.p.p. riserva al condannato in contumacia rispetto al condannato per decreto penale, dal momento che non prevede che nell'estratto della sentenza contumaciale sia contenuta l'indicazione della facoltà di proporre impugnazione, a pena di decadenza, nel termine di tre giorni dalla notifica, a differenza di quanto prevede l'art. 507 c.p.p., in base al quale nel decreto penale notificato all'imputato deve essere contenuto l'avvertimento che ha facoltà di proporre opposizione nel termine di cinque giorni dalla notificazione.

 

Non vi é stata costituzione della parte privata.

 

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha contestato la fondatezza della questione.

 

Osserva l'interveniente che, avendo previsto il legislatore che il termine per l'impugnazione della sentenza contumaciale decorre dal giorno della notificazione dell'estratto (artt. 500 e 199, primo comma, ultima parte, c.p.p.), non é fondato lamentare l'incisione della sfera costituzionalmente protetta dall'art. 24 Cost. ove in tale termine l'imputato condannato non eserciti il diritto di impugnazione per sua incuria, in quanto anche il più perfetto sistema di garanzia non può non fare affidamento su di un minimo di diligenza, la cui omissione non certo può ascriversi o imputarsi ad una imperfezione della norma o, tanto meno, ad un contrasto di questa con norme e principi costituzionali. Del resto, l'effettività dell'assistenza tecnico-professionale é pienamente assicurata nel giudizio contumaciale, nel quale l'imputato é rappresentato a tutti gli effetti dal difensore (art. 499, ultimo comma, c.p.p.) - a nulla rilevando che sia difensore di fiducia o di ufficio - che ha il potere di interporre impugnazione (art. 192, ultimo comma, c.p.p.) anche con riserva di motivi, da depositarsi entro venti giorni dall'avviso di cui agli artt. 151 e 201 c.p.p..

 

Né può ritenersi violato l'art. 3 Cost. - rileva ancora l'interveniente - in quanto la situazione processuale relativa alla opposizione avverso il decreto penale di condanna non a proposito viene posta sullo stesso piano del regime delle impugnazioni contumaciali, dal momento che la specialità del procedimento monitorio, ove il dibattimento segue la condanna, non determina quella parità di situazioni che é l'unico presupposto di una parità di trattamento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Borgomanero dubita che sia costituzionalmente legittimo, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, secondo comma, Cost., l'art. 500 c.p.p.

 

La norma stabilisce, in riferimento al giudizio contumaciale, che la sentenza é notificata per estratto all'imputato ed é soggetta alle impugnazioni previste per le sentenze pronunciate in contraddittorio, con decorrenza del termine di tre giorni per la dichiarazione di impugnazione a partire dal giorno della notifica (art. 199, secondo comma, c.p.p., richiamato nel detto art. 500).

 

Ora - sul presupposto che l'imputato contumace é normalmente ignaro della sussistenza del termine suindicato e delle preclusioni ad esso correlate - il sospetto di illegittimità formulato dal giudice a quo si articola nei seguenti rilievi:

 

a) l'art. 500 c.p.p. non prevede l'obbligo di dare avviso ad un difensore dell'avvenuta notifica (ex art. 169 c.p.p., cioé non col rito degli irreperibili) dell'estratto di sentenza all'imputato, affinché il primo renda edotto quest'ultimo delle modalità di esercizio del suo diritto di impugnazione, Così assicurandone l'effettività (artt. 24, secondo comma, e 3, secondo comma, Cost.);

 

b) la disposizione impugnata non prevede che con l'estratto della sentenza contumaciale sia notificato l'avvertimento circa il rimedio proponibile in un dato termine, analogamente a quanto avviene per il decreto di condanna (art. 507 c.p.p.), operandosi in tal modo una ingiustificato discriminazione (artt. 24 e 3 Cost.) in danno del condannato in contumacia rispetto al condannato per decreto.

 

2. - La questione non é fondata in alcuno degli aspetti sotto i quali é sollevata.

 

Quanto al primo, a voler prescindere dai dubbi circa l'ammissibilità di una integrazione, che non sarebbe l'unica ipotizzabile al fine di adeguare in senso garantistico la disciplina delle impugnazioni del contumace, é da osservare che tale adeguamento non é indispensabile, né é utilmente perseguibile con l'integrazione in parola.

 

Questa Corte ha infatti altra volta ritenuto che la disciplina di cui trattasi non é lesiva del diritto di difesa (sentenza n. 265 del 1976). E lo stesso giudice a quo ha riconosciuto che l'ulteriore notifica dell'estratto della sentenza al condannato contumace (ma non irreperibile) é da ritenere "superflua", se effettuata al difensore del dibattimento, che in tale sede ha conoscenza della sentenza nel momento in cui é pronunciata, ed é in grado pertanto di proporre l'impugnazione prevista dall'art. 192, terzo comma, c.p.p., o di "scarsa utilità", se rivolta a difensore appositamente nominato d'ufficio, non essendo sempre agevole, per un nuovo difensore d'ufficio, avvicinare il condannato contumace e prestargli utile assistenza tecnica ai fini avuti di mira (la consapevole deliberazione di proporre impugnazione e la proposizione di essa entro i termini di legge).

 

Quanto al secondo aspetto, va premesso che il giudice a quo muove dall'asserita eguaglianza di posizione tra il condannato in contumacia ed il condannato per decreto penale.

 

Ma al riguardo é sufficiente rilevare che questa Corte ha già escluso la comparabilità delle due posizioni, in ragione della particolarità del procedimento per decreto penale (cfr. sent. n. 265 del 1976, nonché le sentt. n. 170 del 1963, n. 27 del 1966 e n. 119 del 1969 e l'ord. n. 125 del 1973, ivi richiamate), e sottolineare che l'opposizione del condannato per decreto penale é un mezzo per introdurre il contraddittorio, mentre l'impugnazione del contumace é un rimedio dato a colui che é stato parte di un giudizio.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 500 c.p.p. sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, secondo comma, Cost., dal pretore di Borgomanero con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1986.

 

Livio PALADIN - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1986.