Sentenza n.53 del 1986

 

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SENTENZA N. 53

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 505 cod. pen., promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1978 dal Pretore di Pistoia nel procedimento penale a carico di Ciardi Sergio ed altri, iscritta al n. 438 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 341 dell'anno 1978;

udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto in fatto

Il Pretore di Pistoia, con ordinanza 22 marzo 1978, e nel processo penale a carico di Ciardi Sergio ed altri, sollevava questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 505 cod. pen. per asserito contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost..

Riferiva, in proposito, il magistrato che, nella giornata del 12 aprile 1976, tutti i macellai del mandamento di Pistoia avevano chiuso i rispettivi negozi per protestare contro l'arresto di un loro collega, imputato di aver violato la normativa che disciplina i prezzi al consumo. Dei quarantasette macellai coinvolti nella vicenda, si era proceduto soltanto nei confronti di dodici, dato che per gli altri 35, non avendo essi alcuno alle proprie dipendenze, si era prestato ossequio alla sentenza n. 222/1975 di questa Corte. Pertanto, cinque di quei dodici erano stati prosciolti in un precedente giudizio con formule varie e, dei residui sette, ancora tre venivano prosciolti in linea di fatto nel dibattimento conseguente ad opposizione a decreto penale di condanna.

Rimaneva, perciò, sub judice la posizione degli ultimi quattro opponenti, tutti comparsi al dibattimento, ciascuno dei quali risultava effettivamente avere alle dipendenze "uno o due dipendenti", secondo quanto testualmente si legge nell'ordinanza.

Riteneva ciononostante il Pretore che anche questi dovessero essere assimilati ai loro colleghi senza dipendenti, "sia per dimensioni d'impresa, sia per l'esistenza di situazioni ambivalenti caratterizzate da forme di collaborazione saltuaria o periodica non configurabili negli schemi del rapporto di lavoro subordinato, sia per l'irrilevanza, ai fini professionali e sindacali, dell'assunzione o del licenziamento del lavoratore dipendente".

Concludeva, perciò, ritenendo applicabili anche ai predetti "le motivazioni addotte a sostegno della sentenza n. 222 del 1975 citata" e sollevando l'eccezione di cui sopra.

Nessuno si é costituito o é intervenuto nel giudizio innanzi a questa Corte.

Considerato in diritto

La proposta questione incidentale non é fondata.

Se vi fossero davvero, in ipotesi, ragioni per ritenere che, nella specie, l'apparente sussistenza di uno o due dipendenti si risolvesse in realtà in "situazioni caratterizzate da forme di collaborazione saltuaria o periodica sicuramente non configurabili negli schemi del rapporto di lavoro subordinato", non si tratterebbe di questione di legittimità costituzionale, ma bensì di questione attinente al fatto, affidata, come tale, all'apprezzamento del giudice di merito. Il quale, ove dovesse escludere la sussistenza nella specie di alcuna dipendenza in senso tecnico giuridico, non sarebbe certo tenuto a chiedere a questa Corte l'applicazione degli effetti derivanti dalla sentenza 8 luglio 1975 n. 222.

Sotto questo aspetto, anzi, la questione sarebbe inammissibile.

Senonché l'ordinanza finisce poi per riproporre nelle conclusioni la effettiva questione di legittimità, chiedendo alla Corte di estendere la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 506 in relazione all'art. 505 cod. pen., già espressa per l'ipotesi di piccoli imprenditori senza dipendenti, anche al caso di piccoli imprenditori che abbiano uno o due dipendenti: con ciò mostrando di attribuire alle precedenti argomentazioni mero valore illustrativo.

Ma il punto focale della citata precedente decisione di questa Corte investe proprio il momento conseguente al comportamento del datore di lavoro che, sospendendo l'attività aziendale, determina altresì la sospensione del lavoro subordinato. Solo quando tale effetto é impossibile, perché si tratta di soggetto che "personalmente gestisce l'azienda" e "non avendo persone alle proprie dipendenze" non può nemmeno essere considerato "datore di lavoro nei termini propri di questa espressione", solo allora la norma che, ciononostante definisce serrata una siffatta situazione, incontra la censura già espressa.

Ma se l'imprenditore - come nella specie - ha alle sue dipendenze uno o due lavoratori, gli effetti temuti comunque si verificano, e non può esservi, perciò, una soluzione intermedia o minimale. Infatti, la scarsa rilevanza del fatto trova la sua definizione nell'ambito dell'ordinamento giuridico-penale, attraverso le valutazioni suggerite dall'art. 133 cod. pen. o, al limite, nelle situazioni circostanziali di cui all'art. 62 bis cod. pen..

Non sussiste, quindi, né disparità di trattamento né irrazionalità ex art. 3 Cost., né sussistono limitazioni all'iniziativa economica privata ex art. 41 Cost., perché questa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale: e la Corte ha già indicato proprio in relazione al problema della serrata, la disciplina dei prezzi delle merci a largo consumo, come le carni bovine, fra le legittime misure protettive del benessere sociale (sent. 27 giugno 1958 n. 47).

Né l'ordinanza solleva alcun problema in ordine allo stesso istituto della serrata come tale, e alla problematico della sua rilevanza penale in relazione ai principi generali di libertà.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 505 cod. pen., sollevata dal Pretore di Pistoia, con ordinanza 22 marzo 1978, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 24 marzo 1986.