Sentenza n.34 del 1986

 

 CONSULTA ONLINE 

 

 

SENTENZA N. 34

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo e terzo comma, legge 20 luglio 1952 n. 1126 (Disposizioni integrative in materia valutaria e di commercio con l'estero), promosso con ordinanza emessa il 17 marzo 1977 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Burgassi Silvano ed il Ministero del Commercio con l'estero nonché il Ministero del Tesoro, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 dell'anno 1978.

Visto l'atto di costituzione di Burgassi Olinto nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1986 il Giudice relatore dott. Francesco Saja;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con decreto del 17 maggio 1974 il Ministero per il Commercio con l'estero assumeva che l'impresa di Burgassi Silvano aveva importato con ritardo, rispetto ai termini prestabiliti dal Ministero stesso, un quantitativo di merci dall'estero e per l'effetto disponeva la riscossione della cauzione prestata dal Burgassi mediante fideiussione bancaria.

Analogo decreto veniva emesso dal Ministero il 21 maggio successivo, sempre per ritardo nell'importazione.

Con citazione del 10 settembre 1975 il predetto conveniva davanti al Tribunale di Firenze il nominato Ministero e quello del Tesoro per sentirli condannare alla restituzione delle somme percepite, previa disapplicazione dei due citati decreti, in quanto emessi sulla base di disposizioni di legge (artt. 1, 3, 4 e 5 l. 20 luglio 1952 n. 1126) da ritenere costituzionalmente illegittime.

Il Tribunale adito con ordinanza del 17 marzo 1977 (reg. ord. n. 2 del 1978) sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 23 Cost., dell'art. 1, commi primo e terzo, l. n. 1126 del 1952. Questo articolo disponeva: "i pagamenti anticipati delle merci da importare sono subordinati alle prestazioni di cauzione a favore dell'Ufficio italiano dei cambi da parte dell'importatore" (primo comma), e poi: "La misura della cauzione é stabilita con decreto del Ministro per il Commercio con l'estero" (terzo comma). Il quarto comma stabiliva che la cauzione poteva essere sostituita da fideiussione bancaria.

Il collegio rimettente precisava trattarsi non già delle norme che stabilivano i termini entro i quali l'importazione doveva avvenire, sotto comminatoria di perdita della cauzione: su queste norme, infatti, non sorgeva alcun dubbio di costituzionalità. Si trattava soltanto del potere di imporre la cauzione stessa, attribuito al Ministro dall'impugnato art. 1, commi primo e terzo, l. n. 1126 del 1952. Infatti il versamento di una somma di denaro ovvero l'ottenimento di una fideiussione bancaria, in ogni caso onerosi per l'importatore anche nell'eventualità di successiva restituzione, dovevano ritenersi come "prestazioni patrimoniali" imposte, ai sensi dell'art. 23 Cost. Ed era evidente, secondo il Tribunale, come non fosse rispettata la riserva di legge prevista da quest'ultimo articolo, poiché l'autorità amministrativa disponeva di una discrezionalità illimitata nello stabilire la misura della somma da prestare.

2. - Interveniva la Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale escludeva che la cauzione in questione avesse natura di prestazione patrimoniale imposta, stante la sua temporaneità e la finalità cautelativa, che la rendeva assimilabile agli analoghi istituti del diritto civile dei contratti.

3. - Burgassi Olinto, costituitosi quale successore del suddetto Silvano, affermava preliminarmente che le disposizioni statuenti i termini d'importazione, previste dall'art. 41. n. 1126 del 1952, non erano state mai emanate.

Nel merito, egli aderiva alle argomentazioni del Tribunale rimettente.

Considerato in diritto

1. - La legge 20 luglio 1952 n. 1126 detta disposizioni integrative in materia valutaria e di commercio con l'estero e, in particolare, disciplina i pagamenti anticipati delle merci importate, vale a dire quelli effettuati prima dell'arrivo delle merci stesse nel territorio della Repubblica e del loro "sdoganamento". In particolare, il legislatore ha inteso garantire l'obbligo, gravante sull'importatore, che abbia anticipatamente ottenuto dall'Ufficio italiano dei cambi una concessione di valuta, di destinare realmente la medesima all'importazione, per la quale la detta concessione é stata chiesta ed accordata. A tal fine, ha disposto che la concessione sia subordinata al versamento di una cauzione, ovvero all'assunzione di una fideiussione bancaria, a favore del suddetto Ufficio (art. 1, primo e quarto comma). Per il caso di inadempimento, ha sancito l'incameramento totale o parziale della cauzione, a seconda che l'importazione non sia stata effettuata in tutto ovvero in parte (art. 4, primo e secondo comma), esclusi peraltro espressamente i casi in cui l'inosservanza dell'obbligo sia stata determinata da causa non imputabile all'importatore (art. 5, primo comma).

2. - Relativamente alla misura della cauzione, l'art. 1, terzo comma, l. cit. dispone che essa viene stabilita con decreto del Ministro per il Commercio con l'estero.

Contro questa norma si dirige appunto il dubbio di illegittimità costituzionale sollevato nell'ordinanza di rimessione in riferimento all'art. 23 Cost., il quale dispone che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base a legge". In proposito opina il giudice a quo che la norma impugnata, consentendo all'Esecutivo di determinare l'entità della cauzione (o fideiussione), gli conferisca in realtà il potere di incidere senza limiti, legislativamente determinati, sul patrimonio dell'importatore: il che contrasterebbe con la riserva di legge stabilita dal precetto costituzionale ora citato.

Prima di affrontare tale questione, é opportuno ricordare che nel corso del giudizio di costituzionalità é sopravvenuta la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 9 giugno 1982 (causa n. 95/1981), la quale ha dichiarato che la Repubblica italiana con la norrativa della cit. l. n. 1126 del 1952 ha violato gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE, in quanto la già detta cauzione potrebbe ostacolare la libera circolazione dei beni nell'ambito comunitario; la suddetta decisione non rileva però nella fattispecie, perché il rapporto dedotto nel giudizio di merito, come dalle parti non si contesta, é estraneo all'ordinamento comunitario (in caso diverso, sarebbe stato applicabile il principio enunciato da questa Corte con la sent. n. 113 del 1985

).

3. - Ciò precisato, si rileva che, seppure la cauzione de qua (ed anche la fideiussione bancaria, la quale si risolve pur sempre in un onere economico) possa essere considerata quale prestazione imposta ai fini del cit. art. 23 Cost., la questione sollevata dal giudice rimettente non appare fondata.

La disposizione costituzionale ora ricordata (che trova significativamente la sua collocazione nel Titolo I della Parte I della Carta fondamentale, relativo ai rapporti civili, mentre i rapporti economici sono regolati dal Titolo III) é diretta a garantire la libertà individuale sia personale che patrimoniale. A tal fine il legislatore ha fatto ricorso al meccanismo della riserva di legge; la quale, però, com'é ius receptum, ha carattere relativo, poiché consente che il precetto espresso dalla norma primaria possa essere integrato da atti amministrativi che lo rendano meglio aderente alla multiforme realtà socioeconomica.

Naturalmente, l'ambito in cui può ritenersi consentito l'intervento dell'Amministrazione é molto più limitato per le prestazioni personali che per quelle patrimoniali: e ciò sia perché sostanzialmente eterogeneo ne é il rispettivo oggetto, sia perché, mentre riguardo alle prime di norma valgono criteri già consolidati nella coscienza collettiva come espressione della nostra civiltà giuridica, sulle seconde incidono notevolmente la varietà e la intrinseca mutevolezza delle situazioni prese in considerazione, le quali sono collegate al continuo fluire delle vicende economiche e quindi generalmente irriducibili a trattamenti omogenei.

4. - Peraltro, anche relativamente a queste ultime, le sole qui in questione, é pur sempre necessario che il legislatore indichi compiutamente il soggetto e l'oggetto della prestazione imposta, mentre l'intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima: senza che residui la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie della stessa pubblica amministrazione, ma sussistano nella previsione legislativa - considerata nella complessiva disciplina della materia - razionali ed adeguati criteri per la concreta individuazione dell'onere imposto al soggetto nell'interesse generale.

In tali sensi é costante l'orientamento della Corte (v. sentt. n. 4, 30 e 122 del 1957; 70 del 1960, in motivazione; 48 del 1961; 72 e 129 del 1969; 144 del 1972, in motivazione; 257 del 1982; ordd. n. 31 e 139 del 1985); né si ravvisano, ovvero vengono prospettati dalle parti, motivi per discostarsi da esso.

5. - Seguendo la ricordata giurisprudenza, si deve escludere che la norma impugnata sia costituzionalmente illegittima: essa, infatti, se intesa al di là del mero elemento letterale e considerata nella sua effettiva portata, non determina il pericolo di un'arbitraria invasione da parte della pubblica amministrazione nella sfera patrimoniale dell'importatore. Se per l'osservanza dell'art. 23 Cost. non é certo sufficiente una norma primaria che sia soltanto attributiva di competenza agli organi esecutivi, d'altro canto, la delimitazione della potestà amministrativa non deve necessariamente risultare dalla formula della norma stessa, ma ben si può ricavare da tutto il contesto della disciplina relativa alla materia di cui essa fa parte. Nella fattispecie, dalla legislazione valutaria, considerata sia complessivamente sia con particolare riguardo al settore del commercio con l'estero, si rileva agevolmente che la pubblica amministrazione non ha un illimitato potere discrezionale, ma subisce effettive limitazioni in conseguenza di tutti i fattori rilevanti sul contenuto del provvedimento. Fattori i quali vanno dal controllo sul corso dei cambi alla situazione della bilancia dei pagamenti, dall'entità dell'inflazione alla quantità delle riserve monetarie e, in breve, a tutti gli altri elementi che influiscono sull'andamento dell'economia e quindi sullo sviluppo economico della Nazione.

Ne discende che la natura tecnica dei suddetti criteri, come questa Corte ha ripetutamente affermato (vedansi ancora, le sentt. n. 122 del 1957; n. 48 del 1961; n. 72 del 1969; n. 257 del 1982; ord. n. 31 del 1985), esclude la sussistenza di un potere della pubblica amministrazione Così ampio, da potere sconfinare nell'arbitrario; esso, per contro, risulta circoscritto nell'ambito della cosiddetta discrezionalità tecnica, che impone all'Amministrazione di adottare, previ i necessari accertamenti di fatto, soluzioni imposte dagli anzidetti criteri.

6. - Da un diverso angolo visuale, può aggiungersi che l'esclusione dell'eventualità di un arbitrio dell'Amministrazione riceve conferma dal modulo procedimentale previsto per l'emanazione del provvedimento in esame.

Infatti, il Ministero del Commercio con l'estero é tenuto, secondo il suo ordinamento generale e in relazione agli interessi da tutelare, ad agire in consonanza con il Ministero del Tesoro, la Banca d'Italia, e l'Ufficio italiano dei cambi: e la collaborazione di più organi, come questa Corte ha già ritenuto (sent. n. 4 del 1957; n. 72 del 1969; n. 257 del 1982; ord. n. 31 del 1985), costituisce efficace elemento di cautela contro eventuali arbitri della pubblica amministrazione, per effetto della reciproca influenza che la determinazione di ciascuno di essi spiega sugli altri e, in definitiva, sulla decisione dell'autorità competente all'emanazione del provvedimento finale.

Né si può trascurare la circostanza che la misura della cauzione va fissata dal Ministero del Commercio con l'estero mediante atto generale, il quale, come tale, si rivolge ad una pluralità indeterminata di destinatari, con la necessaria conseguenza che esso deve ispirarsi alle complessive esigenze economiche del settore. in modo che resti esclusa la possibilità di ingiustificato discriminazioni soggettive.

7. - L'esistenza dei limiti ora indicati, che adeguatamente circoscrivono il potere dell'autorità amministrativa, trova puntuale riscontro nell'attuazione data alla norma impugnata dal Ministero del Commercio con l'estero. Il quale, infatti, ha determinato la cauzione in una misura che nelle varie epoche ha oscillato tra il 5 % e il 10 % del controvalore delle merci da importare (D.M. 29 luglio 1955, 28 dicembre 1956 e 21 marzo 1974, rispettivamente pubblicati nella G. U. del 30 luglio 1955 n. 174, 2 gennaio 1957 n. 1 e 22 marzo 1974 n. 77) e quindi in una entità non eccessiva e tanto meno vessatoria, diretta alle finalità implicitamente indicate dalla legge, ossia agli obiettivi vincolati dall'andamento complessivo dell'economia nazionale.

É intuitivo che una misura sproporzionata della cauzione sarebbe in contrasto con l'indicazione della normativa primaria, la quale non potrebbe logicamente consentire che l'oggetto di prestazioni strumentali (quali la cauzione o la fideiussione) assuma dimensioni eccessive rispetto al contenuto dell'obbligo principale. Tanto più che la legge prevede nell'art. 6 un ulteriore (e forse più efficace) mezzo di coazione, statuendo che "indipendentemente dall'incameramento della cauzione, rimangono ferme le sanzioni previste per le infrazioni alle disposizioni valutarie del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928 convertito nella legge 2 giugno 1939 n. 739 e successive modificazioni".

8. - Il giudice a quo riconosce che la materia valutaria, anche per quanto riguarda il commercio con l'estero, richiede di norma provvedimenti urgenti e di vario contenuto, resi indispensabili dalle pressanti e mutevoli esigenze dell'economia nazionale, a sua volta profondamente influenzata da quella internazionale. Ma, dopo tale esatta premessa (le suindicate esigenze informano anche il recente disegno di legge n. 316/A, concernente la revisione della legislazione valutaria e presentato al Senato nel corso dell'attuale legislatura), lo stesso giudice, senza neppure tentare di cogliere l'effettiva volontà della norma impugnata, aprioristicamente afferma che, onde evitare la violazione dell'art. 23 Cost., sarebbe indispensabile ricorrere a due rimedi, prospettati in alternativa.

Questi però, osserva la Corte, anche in sé considerati, indipendentemente dalla già criticata prospettiva di fondo, non sono per nulla convincenti.

Non può invero condividersi l'affermazione secondo cui ogni intervento in materia dovrebbe avvenire con decreto legge, in quanto ciò urta chiaramente contro la stessa volontà del Costituente, comportando la conseguente e necessaria trasformazione della riserva relativa di legge in riserva assoluta.

Né può accettarsi l'altra affermazione, con la quale si deduce che la norma primaria dovrebbe indicare almeno la misura massima della prestazione imposta. Invero, come questa Corte ha ripetutamente ritenuto (sentt. nn. 4 e 30 del 1957; n. 257 del 1982), la circostanza che la legge non fissi il massimo della prestazione non basta a vulnerare il precetto dell'art. 23 Cost., essendo invece necessario e sufficiente che essa (considerata, come già si é detto, nel suo complesso e al di là della formulazione letterale della singola disposizione) sia congegnata in modo che l'atto dell'Amministrazione non possa trasmodare in arbitrio.

In base a quanto fin qui osservato, é innegabile che tale pericolo, sia sotto il profilo contenutistico che sotto quello procedimentale, non ricorre nella fattispecie: sicché deve ritenersi che la norma impugnata - la quale fa parte integrante di una composita disciplina, diretta alla tutela di un interesse di indubbio rilievo costituzionale, quale l'economia nazionale - non é in contrasto con l'indicato parametro costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo e terzo comma, della l. 20 luglio 1952 n. 1126 - che subordina i pagamenti anticipati delle merci da importare alla prestazione di una cauzione oppure di una fideiussione bancaria - sollevata dal Tribunale di Firenze in riferimento all'art. 23 della Costituzione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1986.