Sentenza n.32 del 1986

 

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SENTENZA N. 32

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 29, sesto comma, d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420 ("Norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche"), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 12 ottobre 1977 dal TAR per la Lombardia sui ricorsi riuniti proposti da Angella Alberto ed altri contro Ministero della Pubblica Istruzione ed altro, iscritta al n. 247 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 201 dell'anno 1978;

2) ordinanza emessa il 22 marzo 1979 dal TAR per la Lombardia sul ricorso proposto da Lissoni Albino ed altri contro Provveditorato agli Studi di Milano ed altro, iscritta al n. 596 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 298 dell'anno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1985 il Giudice relatore Antonio La Pergola.

Ritenuto in fatto

1.1 - Con ricorsi del 1976 numerosi aiutanti tecnici del settimo Istituto tecnico industriale statale di Milano, premesso che all'atto del loro passaggio dalla carriera ausiliaria a quella esecutiva (disposto dall'amministrazione ai sensi degli artt. 2, terzo comma, e 29, secondo comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420) avevano subito una riduzione dello stipendio, che da quello corrispondente al parametro 143 era sceso a quello corrispondente al parametro 140, chiedevano al TAR della Lombardia che venisse accertato il loro diritto a mantenere il trattamento economico originario, ai sensi dell'art. 14, ultimo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 e dell'art. 24 del d.P.R. n. 420 del 1974. Il tribunale adito, con ordinanza del 12 ottobre 1977 (r.o. n. 247/78), rileva, innanzitutto, che per la valutazione, ai fini del trattamento economico del servizio nella nuova carriera, del servizio già prestato prima dell'inquadramento in quest'ultima, provvede (con disposizione generale applicabile anche al personale non di ruolo, come ritenuto dallo stesso Ministero della Pubblica Istruzione con circolare n. 19 del 29 gennaio 1975 e successivo telegramma del 17 febbraio 1975) l'art. 29, sesto comma, del citato d.P.R. n. 420 del 1974: questa norma attribuisce a tutto il personale di cui trattasi un numero di aumenti stipendiali del 2,50 per cento strettamente corrispondente ai bienni di servizio prestati prima dell'inquadramento. Tale limitata valutazione del servizio svolto prima del passaggio di carriera non é stata, però, sufficiente a garantire ai ricorrenti la conservazione del trattamento economico precedente.

A tal fine non può sopperire, ad avviso del giudice rimettente, l'art. 24 del d.P.R. n. 420/74 - che garantisce la conservazione del trattamento economico in caso di passaggio da una carriera ad un'altra - essendo detta norma applicabile, secondo la sua tassativa formulazione, al solo personale di ruolo. Ciò, d'altra parte, é conforme al generale principio contenuto nell'art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 - ritenuto dalla giurisprudenza applicabile ai soli dipendenti statali di ruolo - e, inoltre, il divieto della reformatio in peius del trattamento economico ha efficacia soltanto per i provvedimenti amministrativi e non nei confronti di atti che, come nella specie, hanno forza e valore di legge.

Neanche, prosegue il giudice a quo, può accogliersi la tesi che considera l'art. 14, terzo comma, della legge n. 477 del 1973 (secondo il quale "lo stipendio mensile del personale della scuola, che passa ad altra carriera della stessa amministrazione, non potrà essere inferiore a quello percepito nella precedente carriera al momento del passaggio") norma con efficacia immediatamente precettiva e non già contenente una mera direttiva per l'esercizio della funzione legislativa delegata: a quest'ultima conclusione condurrebbero, infatti, sia la dizione testuale della norma, che sembra voler esprimere appunto un comando o una direttiva al legislatore delegato, sia l'assenza di qualsiasi specificazione circa il concreto meccanismo tramite il quale possa essere assicurato il fine della norma, assenza che rende la disposizione in esame insuscettibile di immediata ed inequivoca applicazione.

In conclusione, secondo il Tribunale rimettente, deve ritenersi che il Governo, nell'esercizio delle sue funzioni di legislatore delegato, non abbia esattamente rispettato i criteri contenuti nella norma delegante. Viene, quindi, sollevata d'ufficio la questione di costituzionalità, per violazione dell'art. 76 Cost., degli artt. 24 e 29, sesto comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420, in relazione all'art. 14, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, nella parte in cui, contrariamente al principio direttivo, concernente il generale ambito soggettivo di efficacia desumibile da quest'ultima disposizione, "limitano ai dipendenti di ruolo la conservazione dello stipendio in caso di passaggio ad altra carriera della stessa amministrazione".

Non può, infatti, dubitarsi, afferma il giudice a quo, che l'art. 14, terzo comma, cit. si riferisca - attesa la genericità delle espressioni "personale" e "carriera" da esso usate - a tutti i dipendenti della scuola, siano essi di ruolo o no, Così come altre disposizioni contenute nella legge di delega (ad es. l'art. 10, secondo comma); inoltre, va rilevato che la formulazione di disposizioni applicabili soltanto all'una o all'altra categoria di personale é sempre stata dal legislatore accompagnata dalla dizione "di ruolo" o "non di ruolo".

Gli artt. 24 e 29, sesto comma, citati violerebbero, inoltre, anche l'art. 36, primo comma, Cost., in quanto consentono che a seguito del passaggio ope legis di carriera, avvenuto senza alcun mutamento della quantità e qualità del lavoro prestato, i dipendenti interessati possano vedersi, benché temporaneamente, ridotto lo stipendio.

1.2 - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, interviene nel presente giudizio e conclude per l'infondatezza della questione.

L'Avvocatura, in particolare, contesta la tesi del giudice a quo, secondo cui l'art. 14 della legge n. 477/73 si riferirebbe sia al personale di ruolo sia a quello non di ruolo.

Tale interpretazione condurrebbe, in realtà, ad avviso dell'Avvocatura, all'individuazione di un comando di dubbia costituzionalità, in quanto la norma, Così interpretata, creerebbe una posizione di ingiustificato privilegio per il personale della scuola rispetto alla generalità degli impiegati civili dello Stato, ai quali si applica l'art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 - modificato dall'art. 12, terzo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 - che ha un ambito soggettivo limitato al personale di ruolo, come lo stesso Tribunale rimettente ha ricordato. Pertanto, é da accogliere, secondo il noto canone di ermeneutica, l'interpretazione che salva la norma dal vizio di costituzionalità e la uniforma ai criteri vigenti per il restante personale statale. Così chiarita l'effettiva portata dell'art. 14 in questione, cade, per l'Avvocatura, la denunciata violazione dell'art. 76 Cost..

Quanto alla censura che fa riferimento all'art. 36, primo comma, della Costituzione, osserva l'Avvocatura che tale precetto costituzionale "non intende certo inibire al legislatore ordinario la possibilità di procedere nel tempo a nuove valutazioni della qualità di un dato tipo di lavoro e di modificare il suo regime retributivo".

D'altronde, conclude la difesa del Presidente del Consiglio, una differenza di appena tre punti parametrali non pare per sé obiettivamente idonea a provocare le sproporzioni o insufficienze di retribuzione di cui al citato principio costituzionale, là dove prima vi era proporzione e sufficienza.

2.1 - Nel corso di un analogo procedimento promosso da vari aiutanti tecnici dell'Istituto tecnico industriale statale di Sesto San Giovanni, il TAR della Lombardia, con ordinanza del 22 marzo 1979 (r.o. n. 596/79), solleva nuovamente questione di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 29, sesto comma, del d.P.R. n. 420/74, in riferimento agli artt. 76, 3 e 97 Cost..

Richiamata la precedente ordinanza per quanto riguarda la denunciata violazione dell'art. 76, il giudice a quo soggiunge, quanto al contrasto con l'art. 3, che nessuna valida giustificazione sussiste nel garantire la conservazione dell'antico trattamento economico al solo personale di ruolo, in violazione del principio di eguaglianza; e, quanto al richiamo all'art. 97 Cost., che la denunciata discriminazione pare in contrasto, in assenza di qualunque elemento che la giustifichi, con il principio di buon andamento e di imparzialità dell'azione amministrativa.

2.2 - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto anche nel presente giudizio per tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato, chiede che la questione sia dichiarata infondata.

Dopo aver ripetuto argomentazioni identiche a quelle svolte nel giudizio introdotto con l'ordinanza n. 247/78 circa il presunto contrasto della normativa censurata con l'art. 76 Cost., l'Avvocatura osserva, quanto alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost., che non si può non rilevare la differenza strutturale dei due rapporti di impiego, quello di ruolo e quello non di ruolo: solo il primo, per il suo organico inserimento nell'organizzazione permanente dell'amministrazione, possiede caratteri di stabilità tali da giustificare sicurezza di aspettative nello svolgimento della carriera (intesa questa latamente come sviluppo del trattamento economico) e garanzia di conservazione del trattamento economico acquisito. Viceversa, il personale non di ruolo, come non può pretendere la conservazione del posto di lavoro, Così non può porsi aspettative di conservazione del trattamento economico.

Circa, infine, la dedotta violazione dell'art. 97 Cost., si osserva da parte dell'Avvocatura che l'indicata diversità di disciplina, lungi dal costituire ingiustificato posizioni di vantaggio, risponde all'esigenza logica di caratterizzazione del sistema, al fine dell'assicurazione di quel buon andamento della P.A., il cui apprezzamento é rimesso al legislatore ordinario.

Considerato in diritto

1. - Il TAR della Lombardia censura, in relazione agli artt. 36, primo comma, e 76 Cost., gli artt. 24 e 29, sesto comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420 ("Norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche"). Le disposizioni denunziate si occupano dell'anzidetto personale, con riguardo, rispettivamente, all'attribuzione di stipendio nei casi di passaggio da un ruolo all'altro di diversa carriera, e all'inquadramento nella carriera esecutiva. Per quel che interessa il presente giudizio, occorre anzitutto ricordare il disposto dell'art. 24. Al personale non insegnante - provvisto, nel caso del passaggio ad altro ruolo, di stipendio superiore a quello iniziale - "sono attribuiti, nella nuova posizione, gli aumenti periodici necessari per assicurare uno stipendio eguale o immediatamente superiore a quello già in godimento". Il sesto comma dell'art. 29 prevede, dal canto suo, che la determinazione del trattamento economico spettante al personale inquadrato (nella carriera esecutiva) avvenga sulla base dell'anzianità maturata nel ruolo di provenienza.

Ora, nella specie sottoposta all'esame del TAR della Lombardia, si tratta di aiutanti tecnici di un Istituto tecnico industriale, i quali lamentano di aver subito una riduzione dello stipendio (che prima corrispondeva al parametro 143, ed in seguito al loro passaggio dalla carriera ausiliaria a quella esecutiva é sceso all'importo corrispondente al parametro 140), per chiedere al giudice rimettente di accertare il loro diritto a mantenere il trattamento economico originario, ai sensi dell'art. 14, ultimo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, nonché dell'art. 24 del d.P.R. n. 420 del 1974.

La prima delle disposizioni invocate dai ricorrenti nella causa di merito si trova in una legge di delega ("Delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna"); essa stabilisce che lo stipendio mensile del personale della scuola, passato ad altra carriera della stessa amministrazione, non può essere inferiore a quello percepito nella precedente carriera al momento del passaggio. Il giudice a quo ritiene che la norma testé ricordata riguardi, per il suo tenore letterale, anche il personale non di ruolo, epperò non possa ricevere applicazione nel caso di specie, in quanto configura semplici direttive per l'esercizio della funzione delegata, mentre la disposizione risultante dal successivo esercizio della delega, ed introdotta nel citato art. 24 del d.P.R. n. 420 del 1974, andrebbe intesa nel senso che il mantenimento del progresso trattamento economico é garantito - in mancanza di un'espressa previsione in senso opposto - al solo personale di ruolo. A tale risultato, ritiene il giudice a quo, si giunge, a tacer d'altro, per via del generale principio, secondo cui il divieto della reformatio in peius, in punto di retribuzione, opera nei confronti di provvedimenti amministrativi e non anche di un atto che, come il decreto delegato, abbia forza e valore di legge.

Posto ciò, la normativa denunziata risulterebbe lesiva sia dell'art. 76 Cost., deducendo il TAR la violazione di criteri che esso assume stabiliti nella legge di delega, sia dell'art. 36, primo comma, Cost., in quanto la contestata riduzione di stipendio sarebbe intervenuta senza alcun mutamento nella qualità, o quantità, del lavoro prestato.

2. - Identica questione é sollevata dal TAR della Lombardia con altra ordinanza (r.o. n. 596/79), in cui gli artt. 24 e 29, sesto comma, del d.P.R. n. 420 del 1974 sono denunziati in riferimento agli artt. 76, 3 e 97 Cost.. Il richiamo di questi due ultimi parametri é motivato con la considerazione che l'aver mantenuto il trattamento economico in godimento al solo personale di ruolo implicherebbe, nei riguardi del personale non di ruolo, ricorrente avanti al giudice a quo, una discriminazione priva di razionale supporto e pertanto lesiva Così del principio di eguaglianza, come del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

3. - I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe possono, data la sostanziale identità della questione, essere riuniti e congiuntamente decisi.

4. - La questione non é fondata. Va, infatti, in primo luogo esclusa la dedotta violazione dell'art. 76 Cost..

La disposizione della legge di delega invocata dal giudice a quo si riferisce - alla stregua della giurisprudenza amministrativa e dei principi sanciti nella legislazione sul pubblico impiego, dai quali il legislatore delegante non ha inteso discostarsi - necessariamente al personale di ruolo: che é il solo, quindi, a fruire del diritto ad uno stipendio comunque non inferiore a quello già in godimento, quando passa ad altra carriera. Altrettanto non può dirsi dei ricorrenti nel giudizio di merito. Come si é premesso, si tratta di personale inquadrato nella carriera esecutiva, ex art. 29, secondo comma, del d.P.R. n. 420/74. Ciò significa che esso gode del trattamento economico corrispondente a quello previsto per l'anzidetta carriera. Resta fermo, però, che la permanenza in servizio del personale in parola, nella nuova posizione, discende, come risulta dall'art. 36 dello stesso d.P.R. n. 420/74, dalla conservazione dell'incarico a tempo indeterminato, che si configura ben diversamente dall'ingresso nel ruolo. Se Così é, il legislatore delegato non ha, nel produrre la norma oggetto del presente giudizio, superato alcun limite, posto all'esercizio della sua potestà. Il divieto della reformatio in peius, per quel che qui interessa, non era stato inserito nella legge di delega, né può dunque ritenersi violato dalla conseguente normativa delegata, sulla quale gravano le censure del TAR.

Basta poi riflettere come il detto divieto si giustifichi in base alla stabilità - e più in generale alla situazione in cui, nel sistema del pubblico impiego, versa il personale di ruolo - perché risulti l'infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli altri precetti costituzionali. Il personale non di ruolo non sta, né può presumersi collocato, sullo stesso piano di quello che nel ruolo viene invece, a tutti gli effetti, stabilmente inserito: e questo rilievo fuga il sospetto della prospettata offesa al principio di eguaglianza. Lo stesso risultato s'impone con riguardo all'asserita violazione dell'art. 97 Cost., del resto dedotta dal giudice a quo come semplice corollario dell'assunto che la denunciata disparità nel trattamento economico sia irrazionale. La disciplina in esame é per vero giustificata, si é appena visto, dai criteri secondo i quali il legislatore distingue il personale di ruolo e quello non di ruolo. Non si può quindi ritenere che essa vulneri l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione.

Né sussiste, infine, alcuna lesione dell'art. 36, primo comma, Cost.. Il precetto costituzionale in questione garantisce al lavoratore una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro: ma con questo esso non preclude al legislatore ordinario di procedere nel tempo a nuove valutazioni della qualità di un dato tipo di lavoro, e di modificare in conseguenza il regime retributivo. D'altra parte, come osserva l'Avvocatura dello Stato, lo scarto parametrale di tre punti, di cui si dolgono i ricorrenti nel giudizio principale, non é di per sé obiettivamente idoneo a provocare sproporzione o altrimenti inadeguatezza del trattamento retributivo rispetto al lavoro prestato, laddove i mezzi di sussistenza erano prima sufficienti e adeguati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 29, sesto comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420 ("Norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche") sollevata, in riferimento agli artt. 76, 3, 36, primo comma, e 97 Cost., dal TAR della Lombardia con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1986.