Sentenza n.355 del 1985

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SENTENZA N. 355

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 22 luglio 1975, n. 382 (Norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione); degli artt. 11, comma primo, 12, comma primo, e 16, commi primo e terzo, legge 22 ottobre 1971, n. 865; degli artt. 14, comma quarto, e 19 legge 28 gennaio 1977, n. 10; dell'art. 8 della legge della regione Emilia- Romagna 24 marzo 1975, n. 18, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 20 ottobre 1977 dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sul ricorso proposto da Cavatorta Mauro c/Sindaco del Comune di Langhirano e Regione Emilia-Romagna, iscritta al n. 108 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 121 del 1978;

2) ordinanza emessa il 24 gennaio 1979 dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sui ricorsi riuniti proposti da Volpe Liliana c/Presidente Giunta provinciale di Bologna ed altri, iscritta al n. 577 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 1979;

3) ordinanza emessa il 7 ottobre 1980 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria sul ricorso proposto da Romeo Michelina c/Comune di Motta S. Giovanni ed altro, iscritta al n. 577 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 352 del 1981;

4) ordinanza emessa il 14 aprile 1983 dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sui ricorsi riuniti proposti da Montanari Wanna c/Comune di Ravenna ed altri, iscritta al n. 597 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 329 del 1983.

Visti gli atti di costituzione della Regione Emilia- Romagna e di Romeo Michelina nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1985 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni e Fabio Roversi Monaco per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 20 ottobre 1977 (n. 108, r.o. 1979), il T.A.R. per l'Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento all'art. 125, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l. 22 luglio 1975, n. 382, a norma del quale il controllo sulle deliberazioni adottate dalle Province, dai Comuni e da altri enti locali nelle materie ad essi delegate dalla Regione é attribuito ai comitati regionali di controllo.

A sostegno della non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo sostiene che, essendo la competenza in materia di funzioni delegate una competenza dell'ente delegante e restando tale anche dopo la delega, la norma impugnata illegittimamente demanderebbe la funzione di controllo allo stesso ente che ha competenza ad emanare l'atto da controllare. Invero, l'art. 125, primo comma, Cost., disponendo che il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione é esercitato da un organo dello Stato, si riferirebbe a tutti gli atti di competenza regionale, ancorché delegati ad altri enti: infatti, una diversa interpretazione svuoterebbe grandemente di contenuto il disposto dell'art. 125, primo comma, tenendo conto che l'art. 118 Cost. stabilisce l'esercizio in via normale delle funzioni amministrative della Regione attraverso la delega agli enti locali.

Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Nell'atto di intervento si osserva che l'art. 62 della l. 10 febbraio 1953, n. 62 disponeva che le deliberazioni adottate dagli enti locali nelle materie ad essi delegate dalle Regioni, fossero soggette al controllo della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale. Si rileva, peraltro, che pur essendo stata tale norma ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 40 del 1972, fu criticata in dottrina, auspicandosi un decentramento, in tema di competenze delegate, anche nei controlli. Auspicio accolto, appunto, dalla nuova normativa dettata dall'art. 4 della l. n. 382 del 1975.

Secondo le tesi esposte nell'atto di intervento, sarebbe discutibile che le funzioni delegate a norma dell'art. 118 Cost. restino funzioni regionali. Ad ogni modo - osserva l'Avvocatura dello Stato - nel novero dei controlli sugli atti, si debbono distinguere quelli che sono stabiliti in ragione della situazione giuridica propria dell'autore dell'atto controllato, i quali delimitano l'autonomia dell'ente controllato, dai controlli istituiti in ragione della specie e del contenuto dell'atto obbiettivamente considerato, prescindendosi cioé dalla sua provenienza.

La appartenenza dei controlli prescritti e regolati dagli artt. 125 e 130 Cost., alla categoria dei controlli disposti in considerazione ed a delimitazione della capacità giuridica dell'ente controllato e non di quelli istituiti in considerazione del contenuto oggettivo dell'atto e dell'interesse pubblico in concreto perseguito, sarebbe - secondo l'Avvocatura dello Stato - confermata dalla lettera delle due disposizioni costituzionali, che regolano il controllo "sugli atti amministrativi della Regione" e quella "sugli atti delle provincie, dei comuni e degli altri enti locali", senza alcun riferimento all'oggettivo contenuto di quegli atti ed all'interesse in concreto perseguito. Pertanto, in mancanza di espressa esclusione, dovrebbe ritenersi che la previsione dei due articoli comprenda tutti gli atti amministrativi, rispettivamente, delle Regioni e degli enti territoriali minori, emessi nell'esercizio delle loro competenze, quali risultano determinate, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione; perciò anche nell'esercizio delle funzioni delegate in forza, rispettivamente, del secondo e del terzo comma dell'art. 118 Cost..

2. - Questione identica é stata sollevata anche dal T.A.R. per la Calabria con ordinanza 3 ottobre 1980 (n. 577, r.o. 1981).

Anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Si é costituita pure la parte ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che la norma impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima.

3. - Con altra ordinanza, emessa il 24 gennaio 1979 (n. 577, r.o. 1979), nel corso di un giudizio analogo ai precedenti - nei quali s'impugnavano gli atti di un procedimento espropriativo - il T.A.R. per l'Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei seguenti articoli di legge:

a) - dell'art. 16, primo e terzo comma, l. 22 ottobre 1971, n. 865 nonché dell'art. 14, quarto comma, della l. 28 gennaio 1977, n. 10, in quanto per le aree esterne ai centri già edificati, prevedendo che l'indennità di espropriazione sia commisurata al valore agricolo medio nel precedente anno solare, corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare, violerebbero l'art. 42, terzo comma, Cost.;

b) - dell'art. 8 della l. reg. dell'Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, in quanto tale articolo, designando gli organi degli enti locali competenti ad esercitare le funzioni a questi delegate dalla Regione, invaderebbe la competenza dello Stato in materia di ordinamento degli enti locali, in violazione dell'art. 128 Cost.:

c) - dell'art. 4 della l. 22 luglio 1975, n. 382, in quanto tale articolo, domandando il controllo sulle deliberazioni degli enti locali nelle materie loro delegate dalla Regione ai Comitati regionali di controllo, contrasterebbe con l'art. 125, primo comma, Cost., che prevede l'affidamento del controllo degli atti amministrativi regionali ad un organo dello Stato;

d) - del combinato disposto dell'art. 4 della l. n. 382 del 1975 e dell'art. 8 della l. reg. dell'Emilia-Romagna n. 18 del 1975, in quanto delegando quest'ultimo articolo la materia espropriativa per opere non regionali e non dello Stato al presidente dell'amministrazione provinciale, e prescrivendo il detto art. 4, sui relativi atti, il controllo regionale in luogo di quello dello Stato, tale combinato disposto viene a configurare un trasferimento alla provincia delle funzioni amministrative in tale materia, in violazione o della riserva esclusiva di legge costituzionale di cui all'ultima parte del secondo comma dell'art. 117 Cost., oppure della riserva esclusiva della legge della Repubblica, di cui al primo comma dell'art. 118 Cost., ove si ritenga che la materia delegata sia di interesse esclusivamente locale;

e) - dell'art. 11, primo comma, della l. n. 865 del 1971, perché non prevede che l'autorità cui spetta di dichiarare la pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere, fissi il termine per l'inizio e il compimento dei lavori e quello entro il quale l'espropriazione deve essere compiuta, lasciando arbitra l'amministrazione di protrarre nel tempo gli uni e l'altra, con violazione dei principi contenuti nel terzo comma dell'art. 42 Cost., sia in ordine alla riserva di legge per la espropriazione per motivi di pubblico interesse, sia in ordine alla congruità dell'indennizzo, il cui contenuto economico può venire ridotto, a causa del ritardo del provvedimento di esproprio rispetto al momento in cui l'indennità provvisoria accettata, ovvero quella di cui all'art. 15 della l. n. 865, sono state determinate;

f) - dell'art. 19 della l. n. 10 del 1977 perché, stabilendo che le nuove norme sulla determinazione dell'indennità di espropriazione e di occupazione si applicano nei casi in cui l'indennità non sia ancora definita, non detta alcuna disposizione circa la necessità che l'espropriando sia messo in condizione di esercitare il suo diritto di optare per la cessione volontaria dell'immobile: necessità derivante dal dettato del primo comma dell'art. 14 della stessa legge n. 10. Ciò violerebbe, infatti, il principio di uguaglianza tra cittadini espropriati, in vista di opere di pubblica utilità della stessa specie, nei confronti dei quali viene applicata, quanto a possibilità di cessione volontaria del bene, una norma più vantaggiosa (il primo comma dell'art. 14 della l. n. 10/1977) ovvero quella meno vantaggiosa (il primo comma dell'art. 12 della l. n. 865/1971, modificato dall'art. 6 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito dalla l. 27 giugno 1974, n. 247) a seconda che l'entrata in vigore della l. n. 10/1977 intervenga prima oppure dopo la scadenza dei termini di cui al primo comma dell'art. 12 della l. n. 865/1971 per l'esercizio della opzione per la cessione dell'immobile.

Davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

4. - Con altra ordinanza del 14 aprile 1983 (n. 597 r.o. 1983) emessa nel corso di un provvedimento avente ad oggetto l'impugnazione di una variante ad un p.e.e.p., il T.A.R. per l'Emilia-Romagna ha sollevato, infine - oltre alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l. n. 382 del 1975 (proposta negli stessi termini dianzi esposti) - anche questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 97 Cost., dell'art. 9 della l. reg. dell'Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18 come sostituito dall'art. 3 della l. reg. 13 gennaio 1978, n. 5, nella parte in cui affida ai comuni le funzioni amministrative per le occupazioni temporanee e d'urgenza e per le espropriazioni relative alle opere pubbliche trasferite o delegate alle Regioni.

In tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si é costituita la Regione Emilia-Romagna chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze in epigrafe sollevano varie questioni di legittimità costituzionale in ordine a disposizioni legislative statali o regionali, relative tutte alla materia delle espropriazioni per causa di pubblica utilità o al controllo sui relativi atti e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti ai fini di un'unica sentenza.

2. - Una prima questione di legittimità costituzionale (sollevata con le ordinanze 20 ottobre 1977, 24 gennaio 1979 e 14 aprile 1983 del T.A.R. per l'Emilia-Romagna e 7 ottobre 1980 del T.A.R. per la Calabria) ha ad oggetto l'art. 4 della legge statale 22 luglio 1975, n. 382 ("Norme sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della pubblica amministrazione"), a norma del quale il controllo sulle deliberazioni adottate dalle provincie, dai comuni e dagli altri enti locali nelle materie ad essi delegate dalle Regioni é attribuito ai comitati regionali di controllo.

I giudici a quibus dubitano che tale disposizione violi l'art. 125, primo comma, Cost., il quale, parlando di "atti amministrativi regionali" si riferirebbe anche agli atti delegati dalla Regione agli enti locali: ne conseguirebbe che per effetto della norma costituzionale anche gli atti delegati dovrebbero essere soggetti al controllo dell'organo previsto dalla medesima disposizione e la legge ordinaria non potrebbe trasferire il controllo medesimo ad altro organo, come ha fatto l'art. 4 della legge statale n. 382 del 1975.

La questione non é fondata.

Invero l'art. 125, primo comma, Cost., quando parla di "atti amministrativi regionali" non contiene alcuna precisazione o specificazione, né fa riferimento ad alcun criterio che possa valere ad individuare la categoria degli atti amministrativi da sottoporre al sindacato del ripetuto organo. La dizione adoperata, quindi, nella sua latitudine, può comprendere tanto gli atti che siano direttamente emanati dagli organi regionali quanto quelli che, pur essendo delegati ad enti locali, siano obbiettivamente regionali siccome emanati nell'ambito di materie rientranti nelle competenze regionali: tali competenze, d'altro canto, non vengono certamente meno per il fatto che la Regione, seguendo il criterio indicato in via preferenziale dall'art. 118, terzo comma, Cost., abbia ritenuto di avvalersi della delega, che può sempre revocare nelle forme di legge.

Consegue da questa premessa che in mancanza, nella Costituzione, di una norma rigida, il legislatore ordinario, nel disciplinare il modo di esercizio del controllo sui ripetuti atti gode di una facoltà di scelta e può, quindi, sottoporre al controllo dell'organo statale di cui all'art. 125 Cost. tutti gli atti rientranti nella competenza regionale, quale che sia in concreto il soggetto che li adotta, ma può anche sottoporre solo quelli che vengano adottati direttamente dagli organi della Regione, affidando invece quelli adottati dai soggetti delegatari al controllo proprio degli atti degli enti locali (art. 130 Cost.).

Il legislatore ordinario, cioé, può, in caso di delega da parte della Regione, attribuire maggiore rilievo ad un dato oggettivo, vale a dire al carattere delle funzioni ed al legame con il soggetto astrattamente competente (e, quindi, delegante) ma può invece far leva sul dato puramente soggettivo, riferendosi esclusivamente alla appartenenza dell'organo che adotta l'atto all'uno od all'altro soggetto.

Al primo dei cennati criteri si era attenuto il legislatore con l'art. 62 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e questa Corte, con la sentenza n. 40 del 1972, ritenne costituzionalmente legittima la norma, tenuto conto che le funzioni delegate non cessano di essere imputabili alle Regioni.

Ma ugualmente non contrastante con la Costituzione appare il diverso criterio seguito ora dalla più recente legge n. 382 del 1975, ove si consideri che nella realtà concreta l'atto soggetto a controllo viene emanato da organi appartenenti ad altri soggetti e non é, quindi, irrazionale sottoporlo al medesimo sindacato al quale sono assoggettati tutti gli altri atti che promanano dai medesimi organi.

Del resto questa Corte ha più volte riconosciuto che il rapporto delegatorio comporta per l'ente delegante poteri di vigilanza e controllo, che possono giungere fino alla sostituzione (sent. n. 29 del 1975; sent. n. 40 del 1960 e sent. n. 40 del 1961), sicché il principio contenuto nell'articolo in discussione si inserisce anche logicamente in questa realtà.

Né può dirsi che in tal modo la Regione, abbondando in deleghe, potrebbe sottrarre i suoi atti al controllo preveduto dall'art. 125, cioé all'organo statale, poiché la delega avviene a mezzo di leggi regionali sulle quali, come é noto, deve essere esercitato il controllo voluto dall'art. 127 Cost..

Neppure ha rilievo costituzionale il fatto che con il sistema più recente il sindacato su atti obbiettivamente regionali viene esercitato da un organo regionale, poiché, come si é già detto, é la stessa norma costituzionale (art. 125) che consente questa soluzione (al che, in ogni caso, si aggiunga che l'organo regionale preveduto dall'art. 55 della legge n. 62 del 1953 é collegiale e di esso fanno parte anche membri non nominati dalla Regione).

3. - Una seconda questione di legittimità costituzionale (ordinanza 24 gennaio 1979 del T.A.R. per l'Emilia- Romagna) investe l'art. 16, primo e terzo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nonché l'art. 14, quarto comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, in quanto prevedono che per le aree esterne ai centri abitati la indennità di espropriazione sia commisurata al valore agricolo medio del precedente anno solare corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare. Tali norme, ad avviso del giudice a quo, violerebbero l'art. 42, terzo comma, Cost., perché, escludendo il ricorso al valore venale, si fa riferimento ad un dato di valutazione estraneo alle caratteristiche dell'immobile e relativo ad un bene di tipo diverso, conducendo ad una quantificazione dell'immobile del tutto irrisoria.

Anche tale questione non é fondata.

La giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 5 del 1980 e n. 231 del 1984) ha chiarito, in sostanza, che per la determinazione della indennità di espropriazione occorre che la legge faccia riferimento alle caratteristiche essenziali del bene ablato, e cioé tenga esatto conto della realtà delle cose: in conseguenza, soprattutto con la sentenza n. 231, si é affermato che il criterio del valore agricolo, se é lesivo dei principi costituzionali quando si tratti di terreni che hanno ricevuto diversa destinazione, non lo é quando viene riferito alle aree prive di attitudine edificatoria così come definita dalla medesima giurisprudenza (vedasi in particolare la cit. sent. n. 231).

Nel quadro di queste affermazioni la Corte di cassazione (sent. 24 ottobre 1984, n. 5401) ha anch'essa sostanzialmente precisato che occorre avere riguardo alla consistenza del bene da esproriare per cui, anche dopo la sent. n. 5 del 1980, il criterio del valore agricolo rimane fermo per le aree che hanno in realtà destinazione agricola.

Ed allora le norme impugnate in questa sede devono essere interpretate nel senso che laddove l'area sia da considerare edificatoria (nei sensi precisati dalla ripetuta sent. n. 231 del 1984), la indennità non può non tenere conto di questa realtà, mentre il riferimento al valore agricolo rimane fermo sempre che le aree abbiano effettivamente destinazione agricola: così interpretate, le norme in discussione appaiono conformi ai principi costituzionali e non meritano censura sotto il profilo in esame.

4. - Una terza questione di legittimità costituzionale viene sollevata (ordinanza 24 gennaio 1979 del T.A.R. per l'Emilia-Romagna) sull'art. 8 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18: si assume che questa disposizione designando quali siano gli organi degli enti locali che debbono esercitare le funzioni delegate dalla Regione, invada la competenza dello Stato in materia di ordinamento degli enti stessi, in violazione dell'art. 128 Cost..

A parte la considerazione che questa Corte con la sentenza n. 319 del 1983 ha riconosciuto la legittimità costituzionale di disposizioni del genere, sta di fatto che l'art. 8 denunciato é stato abrogato e sostituito con l'art. 3 della legge regionale 13 gennaio 1978, n. 5: in queste condizioni, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, s'impone la restituzione degli atti al giudice a quo perché riesamini la rilevanza della proposta questione.

5. - Altra questione di legittimità costituzionale (ordinanza 24 gennaio 1979 del T.A.R. per l'Emilia-Romagna) investe il combinato disposto dall'art. 4 della legge statale 22 luglio 1975, n. 382, e dell'art. 8 della citata legge regionale n. 18 del 1975, in quanto delegando ai presidenti delle amministrazioni provinciali la materia delle espropriazioni per causa di p.u. per opere né statali né regionali si potrebbe configurare un trasferimento alla provincia delle funzioni amministrative in violazione o della riserva di legge costituzionale di cui all'art. 117, primo comma, ultima parte, Cost. o della riserva esclusiva della legge della Repubblica di cui all'art. 118, primo comma, Cost..

La Corte rileva che, come si é già detto, l'art. 8 della legge regionale n. 18 é stato abrogato e sostituito con l'art. 3 della successiva legge regionale n. 5 del 1978, sicché anche in questo caso occorre restituire gli atti al giudice a quo per il riesame della rilevanza della proposta questione.

Rimane ovviamente assorbita la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge statale n. 382 del 1975, poiché per effetto della legge regionale n. 5 predetta é venuta meno la stessa possibilità di sottoporre atti di enti locali al controllo degli organi regionali: comunque la questione relativa al citato art. 4 é stata riconosciuta non fondata con la presente sentenza.

6. - Una quinta questione di legittimità costituzionale (ordinanza 24 gennaio 1979 del T.A.R. per l'Emilia- Romagna) ha ad oggetto l'art. 11, primo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, poiché non prevede che l'autorità alla quale spetta dichiarare la pubblica utilità, la indifferibilità e la urgenza delle opere in vista delle quali occorra procedere ad espropriazione fissi i termini per l'inizio e l'ultimazione sia delle espropriazioni sia dei lavori. In tal modo si violerebbero i principi contenuti nell'art. 42, terzo comma, Cost., sia in ordine alla riserva di legge per le espropriazioni per causa di p.u. sia in ordine alla congruità dell'indennizzo il cui contenuto economico potrebbe venire ridotto per il ritardo del provvedimento di espropriazione rispetto al momento in cui l'indennità provvisoria é stata accettata.

La questione non é fondata.

É ben vero che la legge n. 865 del 1971 non parla della fissazione dei termini per l'inizio e la ultimazione delle espropriazioni e dei lavori, ma é anche ben vero che la giurisprudenza é del tutto costante e pacifica nel senso che la fissazione di tali termini costituisce regola indefettibile per ogni e qualsiasi procedimento espropriativo. E la necessità della fissazione di tali termini, posta già in via generale con l'art. 13 della legge 23 giugno 1865, n. 2359, é rimasta ferma anche dopo la entrata in vigore della legge n. 865 del 1971, la quale ha modificato soltanto in parte le norme precedenti sulle espropriazioni in questione ma, se ha taciuto in ordine alla fissazione di quei termini, non ha abrogato il citato art. 13 della legge del 1865. Questa legge, d'altro canto, conserva tuttora, secondo la giurisprudenza, valore di legge generale applicabile in tutti i casi nei quali le leggi speciali non la abbiano modificata anche implicitamente: e nel caso di specie non sussiste alcun motivo per ritenere abrogato implicitamente il citato art. 13.

7. - Una ulteriore questione di legittimità costituzionale (ordinanza 24 gennaio 1979 del T.A.R. per l'Emilia-Romagna) investe l'art. 19 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, il quale porrebbe in essere una disparità di trattamento fra gli espropriati, stabilendo che le nuove norme sulla determinazione dell'indennità di espropriazione e di occupazione si applicano nei soli casi in cui l'indennità non sia ancora definita.

In ordine a tale questione si rileva che l'impugnato art. 19 della legge n. 10 del 1977, del quale si denuncia il contrasto con l'art. 3 Cost., limitatamente (come risulta dal contesto della motivazione) al suo primo comma, é stato dichiarato incostituzionale, proprio in tale comma, con la sentenza n. 5/1980 di questa Corte. Ne consegue che si deve dichiarare la manifesta infondatezza della questione in parola.

8. - Un'ultima questione di legittimità costituzionale (ordinanza 14 aprile 1973 del T.A.R. per l'Emilia-Romagna) riguarda l'art. 9 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, come sostituito dall'art. 3 della legge regionale 13 gennaio 1978, n. 5, sollevata in quanto tale articolo, affidando ai comuni le funzioni amministrative per le occupazioni temporanee e d'urgenza e per le espropriazioni relative ad opere pubbliche trasferite o delegate alle Regioni, violerebbe l'art. 97 Cost..

Tale questione é manifestamente infondata, essendo state già decise nel senso della non fondatezza o della manifesta infondatezza numerose questioni analoghe (sent. n. 318 del 1983; ordd. nn. 42, 43, 71, 157, 158 e 161 del 1984).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l. 22 luglio 1975, n. 382 ("Norme sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della pubblica amministrazione"), sollevata con ordinanze 20 ottobre 1977, 24 gennaio 1979 e 14 aprile 1983 del T.A.R. per l'Emilia-Romagna e con ordinanza 7 ottobre 1980 del T.A.R. per la Calabria, in riferimento all'art. 125, primo comma, Cost.;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16, primo e secondo comma, della l. 22 ottobre 1971, n. 865 ("Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica utilità; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazioni di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata"), 14, quarto comma, della l. 28 gennaio 1977, n. 10 ("Norme per la edificabilità dei suoli"), sollevata con ordinanza 24 gennaio 1979 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna in riferimento all'art. 43, terzo comma, Cost.;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della l. 22 ottobre 1971, n. 865, sollevata con ordinanza 24 gennaio 1979 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost.;

4) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, sollevata con ordinanza 24 gennaio 1979 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna in riferimento all'art. 3 Cost.;

5) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 della l. della Reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18 ("Riordinamento delle funzioni amministrative e nuove procedure in materia di urbanistica, di edilizia residenziale agevolata e convenzionata, nonché di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale, trasferite o delegate alla Regione ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 - Deleghe in materia di espropriazione per pubblica utilità"), come sostituito dall'art. 3 della legge della stessa Regione 13 gennaio 1978, n. 5 ("Modifica alla legge regionale n. 18/1975, relativamente alle deleghe per espropriazione e per occupazione temporanea e di urgenza per pubblica utilità"), sollevata con ordinanza 14 aprile 1983 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna in riferimento all'art. 3 Cost.;

6) ordina la restituzione degli atti relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della l. della Reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, sollevata con ordinanza 24 gennaio 1978 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna;

7) ordina la restituzione degli atti relativamente alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4 della l. 22 luglio 1975, n. 382, e 8 della l. della Reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, sollevata con ordinanza 24 gennaio 1979 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN

Depositata in cancelleria il 21 dicembre 1985.