Ordinanza n.345 del 1985

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ORDINANZA N. 345

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 25, 26 e 31, terzo comma, legge 3 maggio 1982 n. 203 (Norme sui contratti agrari), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 18 gennaio 1984 dal Tribunale di Lecce nel procedimento civile vertente tra Fattizzo Gino e De Donatis Domenico, iscritta al n. 440 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273 dell'anno 1984;

2) ordinanza emessa il 14 marzo 1984 dal Tribunale di Catania nel procedimento civile vertente tra Bruno Vincenzo ed altro c/Marchese Maria ed altra, iscritta al n. 939 del registro ordinanze del 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 bis dell'anno 1985.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1985 il Giudice relatore Francesco Saja.

Ritenuto che nel corso di un giudizio civile vertente tra Fattizzo Gino e De Donatis Domenico ed avente per oggetto la conversione di un contratto di colonia in affitto, disciplinata dagli artt. 25 e segg. l. 3 maggio 1982 n. 203, il Tribunale di Lecce con ordinanza del 18 gennaio 1984 (reg. ord. n. 440 del 1984) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, terzo comma, ultima parte, l. cit., in riferimento agli artt. 24 e 102 Cost.;

che il Tribunale osservava come detta disposizione, dopo avere escluso dalla conversione le "unità produttive insufficienti", affidava il relativo accertamento all'ispettorato provinciale dell'agricoltura nel cui ambito territoriale era sito il fondo: accertamento che, secondo il giudice rimettente, doveva ritenersi sostanzialmente di natura giurisdizionale e quindi in contrasto con l'art. 102 Cost., ed altresì in contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto non preceduto dal contraddittorio tra le persone interessate;

che a giudizio del Tribunale, anche se l'accertamento in questione fosse stato da considerare come atto amministrativo, l'art. 24 Cost. sarebbe stato egualmente violato in quanto la parte interessata non avrebbe potuto sottoporre l'atto stesso a controllo giudiziale;

che la questione di legittimità costituzionale, ora indicata, veniva sollevata anche dal Tribunale di Catania con ordinanza del 14 marzo 1984 (reg. ord. n. 939 del 1984) emessa nel procedimento civile vertente tra Bruno Vincenzo e Marchese Maria ed avente ad oggetto la richiesta di conversione di mezzadria in affitto;

che nella stessa ordinanza il Tribunale di Catania dubitava che l'istituto della conversione, e in particolare l'art. 25 l. cit. (il Tribunale richiamava anche il successivo art. 26 al solo fine di meglio argomentare), contrastasse con gli artt. 4 e 41 Cost., in quanto l'iniziativa del mezzadro poteva porre il concedente-imprenditore nella necessità di abbandonare la propria attività professionale;

che nella causa n. 939 del 1984 interveniva la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo che venissero rigettate le proposte questioni e richiamando anche la sent. di questa Corte n. 138 del 1984.

Considerato che i giudizi per la loro identità o connessione debbono essere riuniti;

che deve considerarsi certa, per i suoi elementi soggettivi ed oggettivi, la natura amministrativa dell'atto di accertamento compiuto dall'ispettorato provinciale dell'agricoltura ai sensi dell'art. 31, terzo comma, l. n. 203 del 1982, rivelandosi così manifestamente infondate le censure mosse dal Tribunale di Lecce con riferimento agli artt. 24 e 102 Cost.;

che non può condividersi il presupposto da cui muovono i Tribunali di Lecce e di Catania, secondo cui l'accertamento stesso sarebbe vincolante per il giudice civile e quindi sottrarrebbe ai concedenti le garanzie di cui all'art. 24 Cost.; in realtà é evidente come contro di esso non siano esclusi i rimedi comunemente esperibili contro gli atti amministrativi, tra cui la richiesta di disapplicazione da parte del giudice ordinario (cfr. sentt. n. 147 del 1967 e 84 del 1983);

che le rimanenti questioni sollevate dal Tribunale di Catania sono state già decise con sentenza 7 maggio 1984 n. 138;

che in essa la Corte ha premesso come il legislatore, attraverso l'istituto della trasformazione della mezzadria in affitto ha confermato il disfavore, già espresso nella precedente normativa, verso il primo tipo di contratto agrario ed abbia perseguito la duplice finalità di incrementare la produzione ed evitare la persistente conflittualità tra le parti del rapporto, considerando con particolare favore la posizione del mezzadro, il quale all'attività di condirezione dell'impresa unisce il lavoro manuale e perciò ha un più intenso e diretto vincolo con il fondo;

che l'istituto della cosiddetta conversione - come la Corte ha precisato - consiste in effetti in un mutamento più formale che sostanziale del tipo di contratto, da associativo in commutativo, giacché il legislatore si é limitato a prendere atto che nella generalità dei casi la collaborazione tra concedente e mezzadro era solo apparente, essendo l'impresa mezzadrile gestita solo dal secondo, mentre il primo non era che un puro percettore di reddito;

che le giustificazioni sopra dette, e in particolare l'assenteismo del concedente - riscontrabile, secondo l'espressione contenuta nei lavori preparatori della legge, nella grande maggioranza dei casi - escludono in linea di principio anche la violazione dell'art. 41 Cost.;

che, tuttavia, poiché l'assenteismo del concedente non é sempre riscontrabile, la Corte ha ritenuto che l'art. 25 l. cit. contrasti con gli artt. 41 e 44 Cost. nella parte in cui prevede che, nel caso di concedente imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 l. n. 153 del 1975 o che comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti associativi previsti nel primo comma dello stesso art. 25, la conversione abbia luogo senza il consenso del concedente stesso;

che in conseguenza la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, oltre che, parzialmente, dell'art. 25, anche dell'art. 30 l. cit.;

che anche la censura relativa all'art. 4 Cost. ha formato oggetto della sent. n. 138 del 1984;

che in conclusione, le questioni, in quanto già decise, debbono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26 l. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 31, terzo comma, l. 3 maggio 1982 n. 203, sollevate in riferimento agli artt. 24 e 102 Cost. dai Tribunali di Lecce e di Catania con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25 e 26 l. cit., sollevate in riferimento agli artt. 4 e 41 Cost. dal Tribunale di Catania con l'ordinanza indicata in epigrafe, in quanto già decise con la sent. n. 138 del 1984.

Così deciso in Rorna, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1985.

Livio PALADIN - Francesco SAJA

Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1985.