Ordinanza n.250 del 1985

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ORDINANZA N. 250

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 25, 26, 28, 30 e 31 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (conversione della mezzadria in affitto) promossi con ordinanze emesse il 7 novembre 1983 dal Tribunale di Reggio Emilia (n. 3 ord.), il 5 luglio 1983 dal Tribunale di Ancona (n. 2 ord.), il 9 marzo, il 17 e 24 febbraio 1984 dal Tribunale di Fermo, il 17 febbraio 1984 dal Tribunale di Fermo e il 5 luglio 1983 dal Tribunale di Ancona, iscritte rispettivamente ai nn. 586, 587, 588, 907, 908, 924, 925, 926, 956 e 1003 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 252 dell'anno 1984 e nn. 13 bis, 19 bis e 34 bis dell'anno 1985.

Visto l'atto di costituzione dell'Istituto Muzio Gallo azienda agraria, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 1985 il Giudice relatore Francesco Saja.

Ritenuto che nel corso di giudizi civili aventi ad oggetto la conversione del contratto di mezzadria in affitto, disciplinata dagli artt. 25 e segg. l. 3 maggio 1982 n. 203, i Tribunali di Reggio Emilia, di Ancona e di Fermo con le ordinanze indicate in epigrafe sollevavano questione di legittimità costituzionale delle norme disciplinanti il detto istituto;

che, precisamente, mentre con tutte le ordinanze di rimessione veniva impugnato l'art. 25 l. cit. nella parte in cui esso prevede la conversione "automatica", ossia attuabile attraverso il solo atto di esercizio di un diritto del mezzadro, il Tribunale di Ancona richiamava, al solo fine di meglio argomentare, anche il successivo art. 26, concernente la diversa disciplina della conversione richiesta dal concedente e non realizzabile senza il consenso del mezzadro;

che il Tribunale di Reggio Emilia indicava anche, genericamente e solo per corroborare la denuncia di incostituzionalità delle norme già dette, gli artt. 28 e 30 l. cit.;

che i giudici rimettenti facevano riferimento alle seguenti norme della Costituzione:

- art. 3, in quanto la conversione é rimessa al mero arbitrio dei concessionari, che vengono così posti in una ingiustificata situazione di privilegio di fronte ai concedenti;

- ancora art. 3, in quanto la conversione lascia in vita le imprese mezzadrili più deboli, chiamate dall'art. 31 l. cit. "unità produttive insufficienti", e sacrifica quelle più prospere, così palesando una intrinseca irragionevolezza (Trib. Ancona);

- art. 4, in quanto l'iniziativa del mezzadro può porre il concedente - imprenditore nella necessità di abbandonare la propria attività professionale;

- art. 41, in quanto la conversione annulla la libertà di iniziativa economica del concedente, intesa come libertà di destinare un capitale a fini produttivi;

- ancora art. 41, in quanto l'affidamento della conversione al mero arbitrio del mezzadro contrasta con la riserva di legge in materia di valutazione dell'"utilità sociale", quale condizione necessaria del sacrificio dell'iniziativa economica privata;

- artt. 42 e 43, in quanto il concedente é sostanzialmente espropriato del suo fondo, ossia della propria azienda, senza indennizzo e senza che l'espropriazione possa servire a realizzare più equi rapporti sociali;

che nelle cause nn. da 586 a 588 e 908 del 1984 interveniva la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo che le questioni venissero dichiarate non fondate (nelle cause n. 586, 587, 588 l'interveniente chiedeva che fosse dichiarata la manifesta infondatezza, richiamando le sentenze di questa Corte nn. 138 e 140 del 1984);

che nella causa n. 908/1984 si costituiva il concedente Istituto "Muzio Gallo", il quale aderiva alle censure formulate dal Tribunale di Ancona.

Considerato che tutti i giudizi vanno riuniti per la loro identità o connessione;

che le questioni sono state già decise con sentenza 7 maggio 1984 n. 138;

che in essa la Corte ha premesso come il legislatore, attraverso l'istituto della trasformazione della mezzadria in affitto, abbia confermato il disfavore, già espresso nella precedente normativa, verso il primo tipo di contratto agrario ed abbia perseguito la duplice finalità di incrementare la produzione ed evitare la persistente conflittualità tra le parti del rapporto, considerando peraltro con particolare favore la posizione del mezzadro, il quale all'attività di condirezione dell'impresa unisce il lavoro manuale e perciò ha un più intenso e diretto vincolo con il fondo;

che del resto - come la Corte ha precisato - l'istituto della cosiddetta conversione, attualmente in questione, consiste in un mutamento più formale che sostanziale del tipo di contratto, da associativo in commutativo, giacché il legislatore si é limitato a prendere atto che nella generalità dei casi la collaborazione tra concedente e mezzadro era solo apparente: infatti l'impresa mezzadrile veniva gestita solo dal secondo, ed il primo si era trasformato in un puro percettore di reddito;

che per tali considerazioni sono state ritenute giustificate così l'attribuzione del diritto di conversione automatica al mezzadro e non anche al concedente, come la non operatività dell'istituto per le unità produttive insufficienti (art. 31 l. cit.), dovendosi conseguentemente escludere le prospettate violazioni dell'art. 3 Cost.;

che la Corte ha altresì osservato come alla conversione sia estranea qualsiasi fattispecie espropriativa, ossia di trasferimento coattivo di beni, verificandosi solo una limitazione dell'autonomia privata giustificata dai suddetti fini di utilità sociale e così non potendo ravvisarsi la violazione degli artt. 42 e 43 Cost.;

che le giustificazioni sopra dette, e in particolare l'assenteismo del concedente - riscontrabile, secondo l'espressione contenuta nei lavori preparatori della legge, nella maggioranza dei casi - escludono in linea di principio anche la violazione dell'art. 41 Cost.;

che, tuttavia, poiché l'assenteismo del concedente non é sempre riscontrabile, la Corte ha ritenuto che l'art. 25 l. cit. contrasti con gli artt. 41 e 44 Cost. nella parte in cui prevede che, nel caso di concedente imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 l. n. 153 del 1975 o che comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti associativi previsti nel primo comma dello stesso art. 25, la conversione abbia luogo senza il consenso del concedente stesso;

che in conseguenza la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, oltre che, parzialmente, dell'art. 25, anche dell'art. 30 l. cit.;

che la detta pronuncia assorbe anche la censura relativa all'art. 4 Cost.;

che, in conclusione, le dette questioni, in quanto già decise ed ora non sorrette da alcun nuovo motivo, debbono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26 l. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, 26, 28, 30 e 31 l. 3 maggio 1982 n. 203, sollevate in riferimento agli artt. 3, 4, 41, 42 e 43 Cost. dai Tribunali di Reggio Emilia, Ancona e Fermo con le ordinanze indicate in epigrafe, in quanto già decise con la sent. n. 138 del 1984.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 1985.

Livio PALADIN - Francesco SAJA