Sentenza n.233 del 1985

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SENTENZA N. 233

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 (Imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni) promosso con ordinanza emessa il 21 aprile 1977 dal Tribunale di Perugia nel procedimento civile vertente tra Standa S.p.A. e VIDE s.a.s., iscritta al n. 356 del registro ordinanze dell'anno 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 272 del 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 maggio 1985 il Giudice relatore Livio Paladin.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 21 aprile 1977, il Tribunale di Perugia ha sollevato - in riferimento all'art. 77 Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 n. 1 del d.P.R. 22 ottobre 1972, n. 633, per asserito contrasto con l'art. 12 n. 1 della legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825.

Secondo il giudice a quo, la norma legislativa delegata, non escludendo del tutto i "locali di somministrazione e adibiti alla vendita di prodotti al dettaglio" dall'applicazione dell'imposta comunale sulla pubblicità, violerebbe il chiaro ed univoco disposto della norma legislativa delegante: in vista del quale non sarebbe dato distinguere la pubblicità effettuata all'interno dei locali predetti da quella realizzata attraverso mezzi pubblicitari esposti nelle vetrine e sulle porte d'ingresso (come nella specie all'esame del giudice stesso).

2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo il rigetto dell'impugnativa.

L'Avvocatura dello Stato sostiene, infatti, che l'art. 12 n. 1 della legge n. 825, facendo espressamente propri "i criteri della legge 5 luglio 1961, n. 641", avrebbe per ciò solo mantenuta ferma la contrapposizione fra la "pubblicità interna" e quella "esterna" ai locali in questione: nei termini già fissati dall'art. 3 del decreto legislativo 8 novembre 1947, n. 1417, cui la legge n. 641 operava a sua volta un testuale richiamo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Per temperare il rigore del testo unico sulla finanza locale, che aveva sottoposto alla "tassa sulle insegne, entro il perimetro dell'abitato, le iscrizioni, avvisi, richiami di pubblicità od indirizzi,... tanto se collocati su porte o vetrate di accesso agli esercizi, sulle facciate dei fabbricati, nelle finestre o nei balconi ove gli esercizi stessi hanno sede, quanto se posti in località diverse" (cfr. l'art. 201, primo comma, del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175), l'art. 3, primo comma, del d. leg. 8 novembre 1947, n. 1417, ha stabilito che "non sono assoggettabili al pagamento dei diritti di pubblicità gli avvisi, cartelli ed altri mezzi pubblicitari esposti nelle vetrine dei locali di commercio... o collocati sulle tariffe o negli ingressi di tali locali, quando si riferiscano al commercio esercitato nei locali stessi" ovvero "a prodotti fabbricati dagli esercenti...": sia pure nei limiti contestualmente fissati dal secondo comma, ai sensi del quale si sono eccettuati i mezzi che "superino la superficie di 50 decimetri quadrati", consentendo che per essi fosse imposto il pagamento dei "diritti della rispettiva tariffa con una riduzione non inferiore al 50 per cento". E questi criteri informano tuttora, fondamentalmente, l'art. 20 n. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, in tema di applicazione dell'imposta sulla pubblicità, che esenta fra l'altro dall'imposta stessa "i mezzi pubblicitari, escluse le insegne, esposti nelle vetrine e sulle porte d'ingresso dei locali (di somministrazione e adibiti alla vendita di prodotti al dettaglio), purché si riferiscano all'attività in essi esercitata e non superino, nel complesso, la superficie di mezzo metro quadrato per ciascuna vetrina o ingresso".

Senonché il Tribunale di Perugia prospetta il dubbio che tale disciplina sia viziata da un eccesso di delega legislativa, in violazione del primo comma dell'art. 77 Cost.. Rileva infatti il giudice a quo che l'art. 12, secondo comma n. 1, della legge delegante 9 ottobre 1971, n. 825, ha previsto "l'istituzione... di una imposta comunale sulla pubblicità, sostitutiva della tassa sulle insegne e dell'imposta comunale sulla pubblicità affine, seguendo i criteri della legge 5 luglio 1961, n. 641", ed escludendo comunque "i locali di somministrazione e adibiti alla vendita di prodotti al dettaglio"; laddove la norma impugnata (erroneamente individuata con riguardo all'art. 20 n. 1 di un inesistente d.P.R. 22 ottobre 1972, n. 633) avrebbe reintrodotto i locali medesimi nell'ambito di applicazione dell'imposta in esame, relativamente ai mezzi pubblicitari di certe dimensioni.

2. - La questione non é fondata.

Per fissare l'effettiva portata della delega di cui si controverte, va considerato l'intero contesto dell'art. 12, secondo comma n. 1, della legge n. 825, nel quale assume un centrale rilievo il riferimento alla legge 5 luglio 1961, n. 641 (contenente "Disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine"): senza di che, d'altra parte, si potrebbe dubitare che il legislatore delegante abbia determinato con la necessaria precisione i principi e i criteri direttivi atti a condizionare, sul punto, l'esercizio della funzione legislativa delegata. Ora, é ben vero che l'art. 1 della legge n. 641, nel comprendere "sotto la denominazione di pubbliche affissioni" ogni "esposizione di manifesti, avvisi, fotografie od altri mezzi pubblicitari stampati, litografati o manoscritti su carta od altro materiale simile, in modo da essere totalmente visibile dalle vie o dalle piazze pubbliche", lasciava espressamente salvi i "disposti di cui ai commi primo e terzo dell'art. 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 8 novembre 1947, n. 1417" (cfr. il primo ed il quarto comma dell'articolo stesso); ma non faceva menzione del secondo comma, concernente appunto la tassabilità dei mezzi pubblicitari superiori a 50 decimetri quadrati, esposti nelle vetrine o negli ingressi dei locali di commercio. Giustamente, però, l'Avvocatura dello Stato osserva che un tale silenzio non implicava affatto l'abrogazione e la conseguente inapplicabilità del secondo comma (anche ai fini della delega disposta dall'art. 12, secondo comma n. 1, della legge n. 825 del 1971). Al contrario, il richiamo del terzo comma del citato art. 3, che testualmente dichiarava "esenti dai diritti di pubblicità, qualunque sia la loro superficie, i cartelli e gli altri mezzi di propaganda turistica obiettiva e generica esposti nelle vetrine od all'esterno dei locali delle agenzie di viaggio e delle associazioni d'interesse turistico", non avrebbe avuto un senso compiuto, se non fosse rimasta in vigore la regola stabilita dal comma precedente, quanto alla superficie minima tassabile e quanto alla misura della relativa tassa.

Una sicura riprova si desume, del resto, dal seguito della legge n. 641 e, in particolare, dal comma finale dell'art. 8, là dove si precisa che "le disposizioni di cui al secondo comma dell'art. 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 8 novembre 1947, n. 1417, non si applicano ai mezzi pubblicitari concernenti pubblici spettacoli": il che sta indubbiamente a significare che il detto secondo comma non era divenuto incompatibile con la disciplina del 1961, malgrado la mancata menzione da parte dell'art. 1 l. cit.. E, non a caso, fra le norme abrogate dal decreto presidenziale n. 639 del 1972, l'art. 58 del decreto stesso ricomprende ancora - senza operare distinzioni di sorta - il decreto legislativo 8 novembre 1947, n. 1417, al pari della legge 5 luglio 1961, n. 641.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 n. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 ("Imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni"), in riferimento all'art. 77, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Perugia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Livio PALADIN

Depositata in cancelleria il 25 ottobre 1985.