Sentenza n.227 del 1985

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SENTENZA N. 227

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 8, con riferimento all'art. 7, l. 12 giugno 1962 n. 567 e 28 l. 11 febbraio 1971 n. 11 (affitto di fondi rustici), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 13 aprile 1977 dal Tribunale di Casale Monferrato nel procedimento civile vertente tra Sanlorenzo Pietro e De Grandi Pierino ed altra, iscritta al n. 320 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 237 dell'anno 1977; 2) ordinanza emessa il 30 marzo 1978 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Gambino Michele ed altro e Bovo Simone, iscritta al n. 610 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45 dell'anno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 maggio 1985 il Giudice relatore Francesco Saja.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Sanlorenzo Pietro, affittuario di un fondo rustico, e De Grandi Pierino ed altra, locatori, ed avente ad oggetto tra l'altro la ripetizione del canone eccedente il massimo tabellare per le annate dal 1962-1963 al 1970-1971, il Tribunale di Casale Monferrato con ordinanza del 13 aprile 1977 (reg. ord. n. 320 del 1977) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 l. 12 giugno 1962 n. 567, in riferimento all'art. 3 Cost.

Il Tribunale rilevava come l'art. 7 l. cit. consentisse ad entrambe le parti del rapporto di affitto agrario, nel caso in cui il canone fosse stato convenuto al di fuori dei limiti tabellari, di chiederne all'autorità giudiziaria la determinazione entro i detti limiti "durante il biennio di applicazione delle tabelle"; per contro, il successivo art. 8 permetteva al solo affittuario di ripetere le somme eventualmente corrisposte in eccedenza rispetto alla misura del canone dovuto "in qualunque momento e in ogni caso non oltre un anno dalla cessazione del contratto".

In queste norme il collegio rimettente ravvisava un ingiustificato trattamento di maggior favore dell'affittuario e quindi una lesione del principio di eguaglianza.

2. - In un procedimento civile vertente tra Gambino Michele, locatore di un fondo rustico, e Bovo Simone, affittuario, nel corso del quale quest'ultimo chiedeva in riconvenzionale il rimborso dei canoni da lui pagati in eccedenza dall'annata 1962-1963 fino al novembre 1976, il Tribunale di Torino con ordinanza del 30 marzo 1978 (reg. ord. n. 610 del 1978) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 l. 11 febbraio 1971 n. 11, in riferimento all'art. 3 Cost.

Ciò perché la norma impugnata - disponendo che al diritto dell'affittuario coltivatore diretto di ripetere le somme pagate, a titolo di canone, in eccedenza si applicassero i termini di prescrizione del lavoro subordinato, con decorrenza dalla data di cessazione del rapporto - sembrava contrastare col principio di eguaglianza, in quanto assimilava le differenti posizioni del lavoratore subordinato privo della garanzia di stabilità del rapporto e dell'affittuario coltivatore diretto, che invece da quella garanzia era assistito.

3. - Nessuna delle parti private si costituiva.

La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva, osservando che la posizione di maggior favore riservata all'affittuario da entrambe le disposizioni di legge denunciate era giustificata, data la più intensa tutela riservata dalla Costituzione a coloro che sui fondi rustici lavorano ed esercitano un'impresa.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze dei Tribunali di Casale Monferrato e di Torino sollevano due questioni di legittimità costituzionale strettamente connesse: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Il Tribunale di Casale Monferrato sospetta d’illegittimità costituzionale la disposizione dell'art. 8 l. 12 giugno 1962 n. 567, secondo cui nei contratti agrari l'affittuario può, entro un anno dalla cessazione del rapporto, ripetere la somma corrisposta in eccedenza alla misura del canone dovuto. Il giudice a quo ritiene tale norma in contrasto con l'art. 3, secondo comma, Cost. in quanto prevede - a suo avviso irrazionalmente - un trattamento differenziato tra affittuario e concedente, il quale ultimo si troverebbe in una situazione deteriore perché potrebbe richiedere il maggior canone, eventualmente a lui spettante, soltanto nel corso dell'esecuzione del contratto.

La censura non é fondata.

Invero la disposizione impugnata, che concede un più ampio termine all'affittuario rispetto al concedente, non può considerarsi arbitraria e irrazionale, trovando adeguata giustificazione nel fatto che il legislatore, come emerge anche dai lavori preparatori, ha considerato l'affittuario, con riguardo sia al sinallagma contrattuale sia alla realtà socio-economica, come parte più debole: la quale, appunto perché tale, può incontrare maggiore difficoltà per avvertire l'errore in cui é incorsa; sicché non irrazionalmente le é stato accordato un termine più lungo (peraltro limitato ad un anno dalla cessazione del rapporto) per ripetere quanto indebitamente pagato, ossia quanto eccedente la misura massima dell'equo canone di cui all'art. 1 l. cit.

3. - Del pari non può condividersi il dubbio di illegittimità costituzionale avanzato dal Tribunale di Torino con riguardo all'art. 28 l. 11 febbraio 1971 n. 11, il quale, ribadendo il suindicato diritto dell'affittuario-coltivatore diretto di ripetere le somme corrisposte in eccedenza al massimo tabellare, dispone che per l'esercizio del diritto medesimo si applicano i termini di prescrizione previsti per i rapporti di lavoro subordinato, con decorrenza dalla data di cessazione del rapporto. Secondo il giudice rimettente, la norma suddetta potrebbe ledere il principio di eguaglianza perché equipara due figure giuridiche del tutto differenti (affittuario e lavoratore subordinato) e perché, su tale presupposto, dispone che la prescrizione inizia il suo decorso allo spirare del termine finale del rapporto anziché, secondo la regola generale, con il maturare del relativo diritto. Il duplice ordine degli argomenti addotti non sembra però alla Corte convincente.

Rispetto al primo giova ricordare come l'affittuario-coltivatore diretto é bensì titolare, al pari di ogni imprenditore, di poteri di organizzazione dei fattori produttivi, ma si avvicina pur sempre al prestatore d'opera in quanto, a differenza del concedente, trae utilità dalla personale coltivazione del fondo, provvedendo al suo sostentamento attraverso l'esplicazione della propria energia lavorativa. Pertanto non può ritenersi irrazionale l'assimilazione de qua, disposta dal legislatore non già in linea generale, bensì in una specifica e determinata ipotesi in cui, secondo una discrezionale valutazione politico-sociale, egli ha ritenuto di attribuire all'affittuario una tutela più efficace per ripetere la parte di canone indebitamente corrisposta al concedente. Tutela che si completa con la disposizione relativa alla anzidetta decorrenza della prescrizione, la cui disciplina non può del pari ritenersi irrazionale, in considerazione della precarietà del rapporto, soggetto allora all'indeterminata proroga dei contratti agrari disposta dall'art. 14 della l. 15 settembre 1964 n. 756 e suscettibile di cessare in qualsiasi momento: invero, da questa situazione di precarietà poteva derivare il timore dell'affittuario che l'esercizio del diritto di ripetizione influisse sulla determinazione del concedente di non consentire un'ulteriore volontaria prosecuzione del rapporto. Sicché, in definitiva, la disposizione impugnata può considerarsi sostanzialmente in linea con l'orientamento di questa Corte rispetto alla prescrizione dei diritti del lavoratore subordinato (cfr. sentt. nn. 63 del 1966, 143 del 1969, 174 del 1972 e numerose altre). Né quanto ora esposto contrasta con la decisione n. 198 del 1971, trattandosi di situazioni del tutto distinte e pertanto non comparabili tra loro: senza dire della recente e continua evoluzione normativa nella soggetta materia - particolarmente favorevole al coltivatore diretto e culminata nella legge 3 maggio 1982 n. 203 - che comunque dà ragione della più effettiva tutela del diritto del coltivatore stesso, violato dall'ingiusta pretesa, realizzata dal concedente, di una somma maggiore di quella dovuta.

4. - In conclusione le censure dei due tribunali piemontesi non possono condividersi.

Naturalmente essi, nella decisione delle controversie loro sottoposte, dovranno tener conto, per le annate agrarie dal 1970-1971 in poi, della citata l. 3 maggio 1982 n. 203 (art. 15), sopravvenuta alle ordinanze di rimessione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 l. 12 giugno 1962 n. 567, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. dal Tribunale di Casale Monferrato con l'ordinanza indicata in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 l. 11 febbraio 1971 n. 11, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. dal Tribunale di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Francesco SAJA

Depositata in cancelleria il 17 ottobre 1985.