Sentenza n.213 del 1985

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SENTENZA N. 213

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2122, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1977 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Pozzi Gianfranca e Industrie Pirelli s.p.a. ed altri, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 148 dell'anno 1977.

Visto l'atto di costituzione della Fondazione Piero e Alberto Pirelli;

udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1985 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avv. Enrico Biamonti per la Fondazione Piero e Alberto Pirelli.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio promosso da Gianfranca Pozzi vedova Carini, per ottenere il riconoscimento del proprio esclusivo diritto alle indennità di preavviso e di anzianità del defunto marito, il quale ne aveva invece disposto per testamento in favore della Fondazione Pirelli, il Pretore di Milano ha sollevato - con ordinanza emessa il 17 febbraio 1977 - questione di legittimità costituzionale dell'art. 2122 cod. civ., in riferimento all'art. 3 Cost.; e ciò nella parte in cui si attribuirebbe - come precisa il dispositivo dell'ordinanza predetta - "il diritto alle indennità indicate agli artt. 2118 e 2120 cod. civ. al coniuge separato per colpa o al quale, anche in concorso con l'altro coniuge, sia stata addebitata la separazione, con sentenza passata in giudicato, e che non abbia avuto diritto ad assegno alimentare a carico del lavoratore defunto".

Il problema sarebbe rilevante nel giudizio a quo, poiché nella specie non vi erano figli od altri parenti o affini a carico del lavoratore defunto; mentre l'attrice risultava da questi separata, per colpa di entrambi, con sentenza passata in giudicato che le aveva negato il diritto a qualsiasi assegno. Né la questione potrebbe dirsi manifestamente infondata; giacché la norma in esame non troverebbe ragionevole giustificazione se non nell'esigenza di "sostentamento... dei componenti della... famiglia e dei soggetti cui il lavoratore é legato da un obbligo di alimenti,

.. nell'intento di privilegiare questo superiore interesse alla solidarietà lato sensu familiare rispetto all'interesse del lavoratore a disporre dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte"; ma non si giustificherebbe, invece, "ove l'esproprio sia disposto a favore esclusivo del coniuge, che ... si é posto da tempo al di fuori della comunità familiare, estraniandosi dagli obblighi di solidarietà che vi sono connessi".

In altre parole, sarebbe arbitrario beneficiare un "soggetto che, vivente il coniuge, non può invocare da questi alcuna assistenza o contributo economico e che la legge esclude dalla di lui successione legittima". E non varrebbe obiettare che, nel sistema attuale, "l'assetto patrimoniale dei rapporti tra coniugi separati non é mai stato definitivo": replica infatti il Pretore che, "se tale situazione mobile corrisponde effettivamente alla realtà legislativa, viventi ambedue i coniugi, é però vero che la stessa si stabilizza definitivamente ... con la morte di uno dei due, in base al secondo comma dell'art. 548 cod. civ..

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituita la Fondazione Pirelli, che ha concluso per la declaratoria d'illegittimità della norma denunciata, nei sensi e per i motivi indicati dal Pretore di Milano; ma subordinatamente ad una eventuale sentenza interpretativa di rigetto, fondata sulla premessa che la vedova od il vedovo, già separati per propria colpa e senza diritto agli alimenti, non vadano considerati come coniugi, agli effetti previsti dall'art. 2122 cod. civ.. E tali conclusioni sono state ribadite mediante una successiva memoria, depositata in vista dell'udienza pubblica.

 

Considerato in diritto

 

1. - Dispone il primo comma dell'art. 2122 cod. civ. che, "in caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli artt. 2118 e 2120 devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti in terzo grado e agli affini entro il secondo grado". Ad avviso del Pretore di Milano, tale norma sarebbe sicuramente applicabile nel giudizio a quo, sebbene instaurato - in mancanza di altri aventi diritto alle "indennità in caso di morte" - da una vedova separata per colpa di entrambi i coniugi, alla quale la sentenza di separazione non aveva riconosciuto il diritto al mantenimento, né attribuito alcun assegno alimentare a carico del lavoratore defunto. Ma, precisamente in tal senso, la norma stessa si paleserebbe irragionevole e dunque illegittima: cioé, non troverebbe, nel sistema, il fondamento giustificativo indispensabile per considerarla conforme al principio costituzionale d'eguaglianza.

In effetti, con la sentenza n. 8 del 1972 - cui l'ordinanza di rimessione fa espresso richiamo - questa Corte ha messo in luce la "funzione previdenziale" delle "indennità in caso di morte"; ed ha rilevato come, alla base della disciplina dettata dall'art. 2122 cod. civ., vada ravvisata l'esigenza "che persone facenti parte del nucleo familiare latamente inteso del lavoratore possano, con la riscossione delle indennità, affrontare le difficoltà immediatamente connesse al venir meno, per morte, di chi comunque provvedeva al loro sostentamento". Ma dove questa ratio non sussista, trattandosi invece di soggetti cui nulla era dovuto da parte del prestatore di lavoro, sarebbe ingiustificata la "deviazione" dalla norma generale che conferisce ad ogni testatore il potere di disporre, "per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse (cfr. il primo comma dell'art. 587 cod. civ.). E l'irragionevolezza del privilegio così spettante al coniuge separato senza assegni verrebbe confermata - secondo il giudice a quo - dal capoverso dell'art. 548 cod. civ., in forza del quale "il coniuge cui é stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto".

2. - Ora, se fosse fondata la premessa interpretativa da cui prende le mosse l'ordinanza di rimessione, le incongruenze e le disarmonie denunciate dal Pretore di Milano si dimostrerebbero ben difficilmente contestabili. Ma la Corte é dell'avviso che altre debbano essere la lettura e l'applicazione della norma in discussione.

Con ciò, la Corte non intende mettere in dubbio il dichiarato assunto del giudice a quo, per cui le indennità considerate dall'art. 2122 cod. civ. spetterebbero iure proprio, piuttosto che iure successionis, alle persone indicate nel primo comma dell'articolo stesso. Indipendentemente dall'intrinseca validità degli argomenti che in dottrina sono stati e sono addotti a sostegno delle opposte tesi, é infatti pacifico che nella giurisprudenza della. Cassazione si é consolidato da tempo l'orientamento per cui le indennità in esame non fanno parte del patrimonio del lavoratore e sono pertanto sottratte al suo potere di disposizione, venendo attribuite iure proprio ai vari possibili beneficiari. Del diritto vivente formatosi in tal senso la Corte non può non tener conto: tanto più che la configurazione delle somme di cui si controverte dinanzi al Pretore di Milano non risente della sopravvenuta legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui questa ha innovato la "disciplina del trattamento di fine rapporto", consentendo al lavoratore di richiedere anticipazioni sul trattamento medesimo.

Ma, quale che sia la natura del diritto alle indennità in caso di morte del prestatore di lavoro, va escluso che il "coniuge" di cui si ragiona nel primo comma dell'art. 2122 comprenda anche il vedovo o la vedova cui sia stata addebitata la separazione (o nei cui confronti fosse stata pronunciata - prima della riforma del diritto di famiglia - la separazione per colpa), senza alcuna conseguente corresponsione di assegni alimentari. Per evitare le discrasie delle quali si duole il Pretore di Milano, occorre cioé che la norma impugnata venga interpretata nel sistema, sul quale non ha sostanzialmente inciso - agli effetti di cui si discute - la novellazione disposta dalla legge 19 maggio 1975, n. 151. Da un lato, in altri termini, devono essere considerate la detta funzione previdenziale delle indennità in esame e la condizione di bisogno degli aventi diritto, sulla quale fa leva il secondo comma dell'art. 2122, in vista della ripartizione delle somme stesse. D'altro lato, si rende indispensabile coordinare l'art. 2122 con gli artt. 548 e 585 cod. civ., relativi alla successione del coniuge separato: cui non può dunque spettare il diritto alle indennità in caso di morte, qualora la separazione gli fosse stata addebitata ed egli non godesse di alimenti a carico del lavoratore. E giova ricordare che, in base al finale disposto dell'art. 548 cpv., il "caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi" (o quello in cui la separazione sia stata a suo tempo pronunciata per colpa di entrambi, come nella specie all'esame del Pretore di Milano) va equiparato al caso in cui la dichiarazione di addebito sia stata fatta nei confronti d'uno solo dei coniugi medesimi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2122, primo comma, del codice civile, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Livio PALADIN

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1985.