Ordinanza n.208 del 1985

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ORDINANZA N. 208

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 554, n. 3, 576 e 578 cod. proc. pen. promosso con ordinanza emessa il 27 febbraio 1978 dal Pretore di Milano nell'incidente di esecuzione proposto da Galli Franco, iscritta al n. 271 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 dell'anno 1978.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1985 il Giudice relatore Livio Paladin.

Ritenuto che il Pretore di Milano, con l'ordinanza in epigrafe emessa nel corso di un incidente di esecuzione di una sentenza penale di condanna - dopo aver precisato che il reato in parola si era prescritto nelle more tra la pronunzia della detta sentenza ed il suo passaggio in giudicato ed essersi doluto che tale prescrizione non fosse da lui accertabile, alla stregua del combinato disposto degli artt. 554 n. 3, 576, 578 c.p.p. come pacificamente interpretati dalla Corte cassazione, nel senso della rilevabilità in sede di esecuzione delle sole cause estintive sopravvenute al giudicato, per quelle anteriori residuando l'unico possibile rimedio della revisione - ha sollevato questione di legittimità delle predette norme procedurali, nella parte appunto in cui non impediscono la formazione del giudicato e l'esecuzione della condanna anche nel caso in cui il reato (come nella specie) sia venuto meno per prescrizione verificatasi dopo la pronuncia, ma prima che sia divenuta irrevocabile la sentenza;

che, secondo il giudice a quo, risulterebbe violato il precetto costituzionale dell'art. 3 sotto il duplice profilo della irragionevolezza di una disciplina che consente il realizzarsi di una pretesa punitiva statuale in forza delle regole di rito (e dei relativi atti processuali) che costituiscono il cosiddetto giudicato e la sua intangibilità in relazione ad un fatto-reato che da un punto di vista sostanziale non esiste più, e della disparità di trattamento che si verificherebbe tra imputato e imputato, "a seconda che la causa estintiva del reato sia rilevata o meno dal giudice (di cognizione) e, quindi, sia dichiarata o meno prima che si costituisca il giudicato (art. 152 comma primo c.p.p.)";

e che, nel giudizio innanzi alla Corte, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo l'inammissibilità e, in subordine, l'infondatezza della sollevata questione.

Considerato che va respinta l'eccezione preliminare di inammissibilità - formulata dall'Avvocatura sul rilievo che quelli lamentati dal Pretore siano "inconvenienti... riflettentisi sul giudizio di cognizione ed attinenti al merito, che é sottratto al controllo del giudice dell'esecuzione" - in quanto é proprio tale controllo in sede di esecuzione che l'eventuale accoglimento della questione dovrebbe rendere attuabile: per cui, sotto tale profilo, ne é innegabile la rilevanza;

che, tuttavia, la questione stessa é manifestamente infondata poiché, attraverso l'incongruo riferimento al precetto costituzionale dell'eguaglianza, il Pretore ha di mira una radicale modificazione della disciplina dell'accertamento delle cause di estinzione del reato (in contraddizione con il principio dell'intangibilità del giudicato), per introdurre in sede di esecuzione un rimedio (declaratoria della prescrizione del reato maturata e non fatta valere nel giudizio di cognizione) che - secondo l'interpretazione accolta dallo stesso giudice a quo (in dichiarata aderenza alla giurisprudenza della Cassazione) - sarebbe pur sempre allo stato già attuabile nella sede più appropriata, del giudizio di revisione ex art. 554 n. 3 c.p.p.; e che, d'altronde, si mira con ciò ad eliminare inconvenienti relativi al solo momento applicativo delle disposizioni denunciate: i quali possono, al più, dar luogo a diseguaglianze di mero fatto, che non vengono come tali in rilievo ai fini del sindacato di costituzionalità (cfr. - da ultimo - la sent. n. 22 del 1982).

Visti gli artt. 26, comma secondo, l. 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 554 n. 3, 576, 578 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione con l'ordinanza in epigrafe del Pretore di Milano.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Livio PALADIN

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1985.