Sentenza n.201 del 1985

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SENTENZA N. 201

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Veneto, notificato il 22 marzo 1983, depositato in cancelleria il 30 successivo ed iscritto al n. 12 del registro 1983 per conflitto di attribuzione sorto a seguito del provvedimento dell'Ingegnere Capo del Distretto Minerario di Padova nn. 381/382 del 22 gennaio 1983 avente ad oggetto "concessione mineraria Malga Ofra in comune di Recoaro Terme (VI) s.p.a. Valdol - dichiarazione 12 novembre 1982 per la tutela del vincolo idrogeologico".

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1985 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

uditi gli avv.ti Giangiacomo Pancino e Guido Viola per la Regione Veneto e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

La Regione Veneto ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione avverso il provvedimento dell'Ingegnere Capo del distretto minerario di Padova comunicatole il 26 gennaio 1983, avente ad oggetto "concessione mineraria Malga Ofra comune di Recoaro Terme".

Nel ricorso si espone che - trascorsi senza risposta della Regione, trenta giorni dalla comunicazione da parte della ditta interessata dell'intenzione di iniziare i lavori di sfruttamento di una miniera - ritenendo verificata la previsione dell'art. 20 del r.d. 16 maggio 1926, n. 1126 con l'atto impugnato l'ingegnere capo aveva invitato la ditta ad iniziare i lavori di sfruttamento non ostante che la Regione avesse invitato la ditta a munirsi di autorizzazione ai sensi dell'art. 4 l. reg. 13 settembre 1978, n. 52, essendo la concessione ubicata in zona sottoposta a vincolo idrogeologico e la ditta non vi avesse ancora ottemperato.

Lamentando l'invasione della propria sfera di competenze, la Regione chiede che, previa sospensione dell'atto impugnato, questa Corte voglia dichiarare illegittimo e annullare l'atto impugnato, nonché dichiarare il difetto di attribuzione dello Stato in ordine all'autorizzazione allo sfruttamento di miniere ed "affermare l'appartenenza alla sfera di attribuzioni regionali del potere autorizzatorio del vincolo idrogeologico anche per lo sfruttamento delle miniere".

A sostegno del ricorso, la Regione deduce la violazione dell'art. 1 d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, dell'art. 1 l. 22 luglio 1975, n. 382, degli artt. 66, 68 e 69 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, dell'art. 4 l. reg. 13 settembre 1978, n. 52, dell'art. 7 r.d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267, degli artt. 19, 20 e 21 r.d. 16 maggio 1926, n. 1126, in relazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché la violazione dell'art. 55 delle prescrizioni di massima e di polizia forestale approvate dal Consiglio Regionale Veneto con provvedimento n. 83 del 18 dicembre 1980.

Davanti a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che il ricorso sia respinto perché infondato.

Secondo quanto esposto nelle deduzioni depositate, prima dell'instaurazione dell'ordinamento regionale, in base al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 e al r.d. 16 maggio 1926, n. 1126 "la gestione del vincolo idrogeologico" era articolata su tre livelli d’intervento, consistente:

a) nell'obbligo della preventiva autorizzazione per la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione (art. 7 r.d.l. n. 3267 del 1923);

b) nell'obbligo di osservanza delle "prescrizioni di massima e di polizia forestale" (artt. 8, 9 e 10 r.d.l. n. 3267 del 1923; art. 19 r.d. n. 1126 del 1926);

c) per tutti i lavori comportanti movimenti di terreno, diversi da quelli contemplati dall'art. 7, nell'obbligo di darne preventiva comunicazione all'Ufficio Forestale e di attenersi, nella loro esecuzione, alle modalità prescritte (art. 20 r.d. n. 1126 del 1926).

Fra le disposizioni dei su detti rr.dd., un riferimento specifico al campo minerario si rinveniva soltanto nell'art. 19 del r.d. 1126/1926 dove erano elencati gli oggetti che dovevano essere regolati dalle "prescrizioni di massima e di polizia forestale": tra questi, alla lettera m), figurano gli scavi e l'estrazione di minerali.

Da ciò, secondo l'Avvocatura dello Stato, deriverebbe che l'attività mineraria ricadeva sotto l'ipotesi di cui alla precedente lettera b), mentre quanto agli altri due livelli di intervento, rispettivamente previsti dall'art. 7 r.d.l. n. 3267 del 1923 e dall'art. 20 r.d. n. 1126 del 1926, queste due norme si porrebbero in un rapporto di genere a specie, dove la norma generale appare essere l'art. 20 che riguarda tutti i movimenti di terreno che non siano diretti alla trasformazione a coltura agraria dei boschi e dei terreni saldi, eccettuando così la fattispecie contemplata dall'art. 7.

Vero sarebbe che, secondo alcune pronunce del Consiglio di Stato, l'applicazione dell'art. 7 é stata contrassegnata da una estensione dell'impiego del controllo autorizzatorio oltre i casi testualmente previsti da quella norma, essenzialmente centrata, nella sua formulazione, sulle vicende connesse ad una utilizzazione agricola del territorio. Ma questo fenomeno espansivo ha essenzialmente riguardato l'attività edilizia e l'urbanizzazione del territorio, mentre non si é rivolta verso le attività di sfruttamento minerario, riguardo alle quali non vi é stata mai nessuna decisione del Consiglio di Stato che non si é pronunciato ex professo su alcun caso di autorizzazione idrogeologica, o diniego della stessa, alla coltivazione di una miniera.

Di fatto, comunque, prima del passaggio delle competenze alle regioni, il controllo idrogeologico sulle attività minerarie si svolgeva, sul piano procedurale, attraverso consultazione dell'Autorità Forestale da parte del Distretto Minerario; sul piano sostanziale, attraverso prescrizioni che non debordavano dai limiti di cui all'art. 20 r.d. n. 1126 del 1926.

Da ciò deriverebbe che la Regione non può pretendere di esercitare le sue funzioni inerenti al vincolo idrogeologico in forme e modi che comportino un potere di assenso - con il suo logico risvolto negativo - sulle attività di apertura e coltivazione delle miniere, giacché una simile latitudine ed intensità del controllo idrogeologico non é sostenibile in base all'assetto dei poteri amministrativi vigente nel periodo anteriore all'attuazione dell'ordinamento regionale.

Inoltre, le miniere costituiscono beni pubblici di pertinenza statale cosicché, da un lato é logico che competano allo Stato tutti i poteri inerenti alla garanzia di destinazione pubblica di questi beni, nel quadro di una razionale utilizzazione delle risorse minerarie nel generale interesse dell'economia nazionale, d'altro lato non appare compatibile con queste attribuzioni dello Stato una competenza regionale in materia di tutela idrogeologica che si esprima attraverso una incondizionata potestà autorizzatoria, trattandosi di una forma così penetrante di controllo che potrebbe estrinsecarsi in una completa preclusione alla coltivazione della miniera e quindi in una sostanziale pianificazione della concessione statale, attuativa della destinazione pubblica del bene.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il ricorso della regione Veneto é fondato e deve, quindi, essere accolto.

2. - Con l'impugnato provvedimento del 22 gennaio 1983 l'ingegnere capo del distretto minerario di Padova ha ordinato al titolare di una concessione mineraria sita in zona sottoposta a vincolo idrogeologico di dare inizio ai lavori minerari conseguenti alla detta concessione, nel presupposto che la zona medesima fosse ormai esente dal vincolo stesso in quanto i competenti uffici della Regione Veneto non si erano espressi su una richiesta all'uopo presentata dal concessionario nei termini di legge.

3. - Ciò premesso, il collegio deve ricordare che l'art. 1 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 ("Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e terreni montani"), stabilisce che sono soggetti a vincolo idrogeologico i terreni di qualsiasi natura e destinazione che per effetto di forma di utilizzazione contrastante con il disposto dei successivi artt. 7, 8 e 9 possono, con danno pubblico, subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque.

L'art. 7 (che maggiormente interessa nel caso di specie), a sua volta, stabilisce che nei terreni vincolati a norma dell'art. 1 la trasformazione dei boschi in altra qualità di coltura o la trasformazione dei terreni solidi in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinati ad autorizzazione della Camera di commercio... ed alle modalità da questa prescritte per prevenire i danni dei quali é cenno nell'art. 1.

Come é noto, si tratta di una legislazione di particolare importanza data la configurazione idrogeologica del nostro Paese: essa ha lo scopo di prevenire i gravi danni che possono agevolmente verificarsi come conseguenza di utilizzazioni indiscriminate e non controllate di terreni che si trovino in particolari condizioni naturali. Per questo motivo la legge da un lato ha imposto l’individuazione delle zone nelle quali é possibile il verificarsi di gravi conseguenze per effetto delle loro utilizzazioni e dall'altro, pur non vietando totalmente l’utilizzazione, l'ha sottoposta al controllo tecnico dell’autorità competente, che ormai, per effetto del disposto dell'art. 69, quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 é la Regione.

Sulla base di quest'ultima disposizione la Regione Veneto ha promulgato la legge regionale 13 settembre 1978, n. 52, la quale nell'art. 2 stabilisce che nel suo territorio si applica senz'altro il titolo I del predetto r.d. del 1923, n. 3267.

D'altro canto la giurisprudenza amministrativa ha avuto più volte modo di affermare che nelle zone nelle quali opera il vincolo idrogeologico l'autorizzazione di cui al citato art. 7 occorre per qualsiasi trasformazione del suolo (ivi compresi la edificazione ed i lavori conseguenti alla attuazione delle concessioni minerarie), dato che si tratta di lavori i quali per la loro natura sono capaci di arrecare ai terreni danni analoghi o peggiori di quelli conseguenti alle modifiche colturali alle quali le norme in esame espressamente si riferiscono.

Nello spirito di questa giurisprudenza si muove ora l'art. 4 della citata legge regionale veneta n. 52 del 1978, la quale ha precisato che nell'ambito del disposto dell'art. 7 del r.d. n. 3267 rientrano non soltanto le trasformazioni indicate nello stesso art. 7, ma più in generale "il mutamento permanente di destinazione dei terreni vincolati". E perciò nessun dubbio può sussistere, per il caso di specie, dopo l'intervento di detta legge regionale.

La stessa giurisprudenza ha altresì precisato, per quel che attiene ai rapporti fra l'atto amministrativo che ha ad oggetto i lavori che comportano trasformazione (licenza o concessione edilizia, concessione mineraria, ecc.) e la autorizzazione delle autorità forestali, che questa seconda non incide sulla legittimità della concessione mineraria (la quale, quindi, é legittima anche se quella autorizzazione manchi), ma incide sulla liceità della utilizzazione della miniera: nei territori soggetti a vincolo idrogeologico, cioé, i lavori conseguenti alla concessione mineraria non possono essere eseguiti ove manchi l'autorizzazione dell'autorità forestale, alla quale, ovviamente, non può sostituirsi quella mineraria.

Questa giurisprudenza, ad avviso della Corte, appare del tutto rispondente alla finalità delle disposizioni legislative che sono state ricordate, anche se merita osservare che sarebbe opportuno, soprattutto dopo che le attribuzioni della materia forestale sono state trasferite alle Regioni (per cui si pongono in essere, oggi, rapporti non più fra organi del medesimo soggetto ma fra lo Stato e le Regioni) un intervento del legislatore atto a porre in essere le norme occorrenti per raccordare le diverse competenze ed evitare inconvenienti del genere di quello verificatosi nel caso che ha dato luogo al presente conflitto di attribuzioni e cioé nello spirito delle sentenze di questa Corte n. 223 del 1984 e n. 239 del 1982.

Da queste premesse si é sicuramente discostato il capo del distretto minerario di Padova con il provvedimento impugnato, da un lato dando preminente rilievo all'interesse minerario (mentre invece é preminente l'interesse connesso alla situazione dei luoghi ed al mantenimento del loro assetto, che può essere anche gravemente turbato dai lavori che incidono profondamente sulla situazione stessa) e dall'altro - il che maggiormente conta ai fini del presente giudizio - negando qualsiasi valore all'intervento dell'autorità forestale regionale, da manifestarsi nella forma dell'autorizzazione: in tal modo quell'organo ha disconosciuto i poteri spettanti alla Regione e questa in realtà esercita una vera vindicatio potestatis.

L'Avvocatura dello Stato, nel tentativo di salvare la legittimità del provvedimento impugnato, afferma che nel caso di specie, trattandosi di attività mineraria, non occorrerebbe l'autorizzazione ex art. 7 del r.d. n. 3267, ma solo osservanza delle prescrizioni di massima e di polizia forestale di cui é cenno negli artt. 8, 9 e 10 dello stesso r.d.. Ma l'affermazione della difesa erariale é palesemente smentita dalla ricordata giurisprudenza amministrativa che, dinanzi alla lettera ed allo spirito delle norme statali e regionali applicabili, ha ritenuto necessaria l'autorizzazione ex art. 7, più volte citato, e ciò, ovviamente, in considerazione dei gravi danni che, come pur si è detto, possono essere provocati da lavori di carattere minerario.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara che spetta alla regione Veneto il potere di autorizzazione alla esecuzione dei lavori per lo sfruttamento delle miniere esistenti nella Regione laddove già sia stato imposto il vincolo idrogeologico;

2) annulla, per l'effetto, il provvedimento dell'ingegnere capo del distretto minerario di Padova, n. 381/382 del 22 gennaio 1983, avente ad oggetto "Concessione mineraria Malga Ofra" in Comune di Recoaro Terme (Vicenza) S.p.a. Valdol - Dichiarazione 12 novembre 1982 per la tutela del vincolo idrogeologico.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1985.