Sentenza n.157 del 1985

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SENTENZA N. 157

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 58 del c.p.m.p. promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1983 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Piotto Germano ed altro iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 dell'anno 1984.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 febbraio 1985 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'Avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 9 giugno 1983, emessa nel corso del processo penale contro il V. Brigadiere dei carabinieri Piotto Germano ed il carabiniere Biasibetti Martino, imputati di concorso in violata consegna pluriaggravata ed in distruzione di oggetti di armamento militare aggravata, il Tribunale militare di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 58 c.p.m.p. nella parte in cui prevede la rimozione dal grado nei riguardi del superiore che concorra con inferiore in un reato militare punito con pena detentiva: e ciò con riferimento all'art. 3 Cost..

Il Tribunale remittente ravvisa nella citata disposizione violazione del principio di uguaglianza in quanto, ove ricorra l'ipotesi come quella di causa, per la quale anche il concorrente inferiore é rivestito di grado (il carabiniere, infatti, é graduato di truppa in quanto equiparato al caporale delle altre Armi), solo il superiore, in caso di condanna, viene rimosso dal grado. Per altro aspetto, poi, il contrasto si verificherebbe anche perché la legge penale comune non prevede trattamento punitivo cosi rigoroso per i pubblici impiegati concorrenti in reati non infamanti.

É intervenuta nel giudizio l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Ad avviso dell'Avvocatura, infatti, ciò che conta nella ratio della disposizione impugnata non é tanto il fatto che il concorrente sia rivestito di grado, quanto la gravità della circostanza che il superiore in grado concorra in un reato di certo rilievo coll'inferiore.

É il primo - rileva l'Avvocatura - che, a causa della sua posizione di comando sul concorrente, offende il prestigio tutelato dalla norma.

Non sarebbe, perciò, irragionevole che la pena accessoria sia prevista soltanto per il primo: così come non é irrazionale che essa non sia prevista per analoghe fattispecie del diritto penale ordinario riguardanti i pubblici impiegati, trattandosi di situazioni diverse che contemplano una diversa intensità del prestigio della Pubblica Amministrazione.

 

Considerato in diritto

 

La pena accessoria prevista nell'art. 58 c.p.m.p. suscita perplessità nel giudice a quo: perplessità che trovano effettivamente qualche giustificazione soprattutto nella rigorosa automaticità della misura che impedisce qualsiasi valutazione in ordine all'entità del fatto, e alla misura del concorso. Inoltre, sembra eccessivo che, quando il concorso si verifica con inferiore pure provvisto di grado, il superiore debba essere ridotto addirittura allo stato di soldato o equiparato: specie allorché fra i due concorrenti nel reato vi sia lieve differenza di grado.

Tutte situazioni, però, sulle quali evidentemente é auspicabile l'intervento del legislatore, soprattutto per consentire al potere discrezionale del giudice la valutazione di tutte le modalità e le circostanze che accompagnano il fatto, adeguando ad esse, e all'intensità del dolo, l'uso ed una graduale commisurazione della sanzione accessoria. Ma la Corte non potrebbe, comunque, emettere sul punto decisioni autoapplicative così articolate, contenenti previsioni diversificate o alternative.

Il vero é che - fatti salvi i rilievi di cui sopra per una più corretta e adeguata amministrazione della Giustizia militare - la norma impugnata non é di per se stessa priva di razionalità, e particolarmente non lo é per i motivi esposti nell'ordinanza di rimessione.

Che la sanzione accessoria sia comminata solo al superiore in grado trova, infatti, giustificazione proprio nella ratio della norma. La quale non tanto é diretta - come suggerisce l'Avvocatura - a tutelare il prestigio della posizione di comando sul concorrente, quanto la responsabilità che il superiore assume nella funzione di comando rispetto ai sottordinati, specie in relazione all'esempio che é tenuto a dare nella scrupolosa osservanza della legge. Situazione di grande delicatezza nel contesto dell'ordinamento militare, come tale non paragonabile alla ben diversa qualità dei rapporti intercorrenti nell'ambito della gerarchia degl'impieghi civili: non rileva, perciò, in relazione al parametro costituzionale invocato, che analoga sanzione accessoria non sia prevista nel diritto penale ordinario.

La questione, pertanto, non é fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58 c.p.m.p., sollevata con riferimento all'art. 3 Cost. dal Tribunale militare di Padova con ordinanza 9 giugno 1983.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 1985.

Leopoldo ELIA - Ettore GALLO

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1985.