Sentenza n.133 del 1985

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SENTENZA N. 133

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 16 ter della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (Modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249), in connessione con l'art. 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 febbraio 1977 dalla Corte dei conti su ricorso proposto da Marletta Giuseppe, iscritta al n. 399 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa l'8 marzo 1980 dal Pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Scarpinelli Lorenzo e E.N.P.A.S., iscritta al n. 301 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 166 dell'anno 1980;

3) ordinanza emessa il 16 febbraio 1977 dalla Corte dei conti su ricorso proposto da Della Corte Giuseppe, iscritta al n. 79 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 111 dell'anno 1981;

4) ordinanza emessa il 16 febbraio 1977 dalla Corte dei conti su ricorso proposto da Amatucci Giovanni, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 111 dell'anno 1981;

5) ordinanza emessa il 3 giugno 1981 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna sui ricorsi riuniti proposti da Righi Gino ed altri contro il Ministero di Grazia e Giustizia, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 dell'anno 1982;

6) ordinanza emessa il 16 febbraio 1977 dalla Corte dei conti su ricorso proposto da Cerreti Alfredo iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 dell'anno 1983.

Visti gli atti di costituzione di Marletta Giuseppe, dell'E.N.P.A.S., di Della Corte Giuseppe, di Amatucci Giovanni, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1985 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avv. Umberto Coronas per Marletta Giuseppe, Della Corte Giuseppe e Amatucci Giovanni e l'avvocato dello Stato Giuseppe Del Greco, per l'E.N.P.A.S. e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In un giudizio promosso da un magistrato a riposo, nel corso del quale il ricorrente aveva concluso perché fosse riconosciuto il suo diritto alla più favorevole misura della base pensionabile derivante dall'agganciamento della retribuzione del consigliere di Cassazione al livello A della dirigenza statale, la sezione III giurisdizionale della Corte dei conti ha sollevato d'ufficio - con ordinanza in data 16 febbraio 1977 - questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 ter della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (in connessione con l'art. 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748): impugnandolo "nella parte in cui non prevede, in interrelazione con gli artt. 16 e 16 bis della stessa legge di delega, che per funzionario con qualifica di direttore generale, cui é ancorato il consigliere di Cassazione ai fini retribuitivi, debba intendersi l'organo che riveste la massima qualifica dell'amministrazione attiva (livello A)". E ciò per preteso contrasto con gli artt. 3 e 36 (in quanto non sarebbe rispettata la "proporzionalità retributiva") nonché con gli artt. 103 (in relazione all'art. 104, primo comma) e 107, terzo comma, della Costituzione.

Nell'argomentare la non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo fa richiamo alla sentenza n. 219 del 1975, con cui la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 16 bis della legge n. 249 del 1968 (nel testo modificato dalla legge n. 775 del 1970) e 47 del d.P.R. n. 748 del 1972, nella parte in cui non estendevano il livello retributivo A ai professori universitari di ruolo, titolari del diritto all'ultima classe di stipendio (parametro 825); ed osserva che le considerazioni di ordine storico, esegetico e logico-giuridico, poste a base della sentenza anzidetta, suggerirebbero "una stretta analogia di posizione" fra la normativa parzialmente dichiarata incostituzionale e quella identica o parallela, dettata dall'art. 16 ter. In particolare, la Corte dei conti sottolinea gli assunti della sentenza n. 219, nei quali si dà rilievo "al fatto di avere il legislatore..., per più decenni, costantemente attribuito al personale docente ed ai direttivi dello Stato una identica potenzialità di sviluppo di carriera; di avere, cioé, in altre parole, considerato naturale, per la carriera dei professori universitari, lo sbocco verso il medesimo tetto retributivo stabilito per i funzionari direttivi dello Stato": desumendone che l'"uniforme ripetizione in un notevole arco temporale" si traduceva in "un giudizio di valore espresso dal legislatore ex suo ore, in termini di equivalenza, fra le due categorie pur strutturalmente diverse dei docenti e dei dirigenti", di guisa che "non poteva non porsi come un limite alla permanente discrezionalità del legislatore medesimo".

La conclusione così raggiunta dalla Corte, in tema di collegamento fra trattamento economico dei professori universitari e dei dirigenti, sarebbe "altamente emblematica", nel senso di "richiamare molto fedelmente il similare caso dei consiglieri di Cassazione": i quali si presenterebbero allo stesso modo assistiti da "una secolare posizione di status non suscettibile di una immotivata ed incoerente modifica". Ricorda infatti la Corte dei conti che già con la legge n. 3213 del 1876 e con il regio decreto n. 77 del 1881 "sembra aver preso permanente assetto l'anzidetta equiparazione del consigliere di Cassazione.... allorquando il legislatore ha operato retributivamente a favore dei livelli di vertice dell'amministrazione". Successivamente - dopo la parentesi del regime fascista - il primato della toga sarebbe stato addirittura rafforzato con la fondamentale legge n. 392 del 1951, che attuò "lo sganciamento della Magistratura, quale ordine autonomo dello Stato, dagli organismi della pubblica amministrazione, mediante retribuzioni corrispondenti alla dignità delle funzioni": retribuzioni che, per i consiglieri di Cassazione, furono poste al di sopra di quelle di ogni grado dell'ordinamento burocratico, ambasciatori compresi.

Si é giunti così - prosegue la Corte dei conti - alla legge di delega n. 249 del 1968, modificata ed integrata dalla legge n. 775 del 1970, che ha invece inteso tracciare lo schema di un'ampia ed articolata riforma dell'amministrazione dello Stato, individuando nella funzione del "direttore generale" il vertice dell'ordinamento. Con l'art. 16 ter il legislatore delegante ha nuovamente legato la magistratura alla dirigenza, ancorando lo stipendio dei consiglieri di Cassazione a quello definitivamente spettante, in applicazione dell'art. 16 bis, ai funzionari con la qualifica predetta. E l'art. 3 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, ha quindi ribadito il criterio per cui ogni variazione del trattamento dei direttori generali si estende di diritto ai consiglieri di Cassazione e, proporzionalmente, alle altre categorie di magistrati.

In questo contesto si é però inserito il d.P.R. n. 748 del 1972, il cui art. 47, modificando il precedente sistema unitario, ha differenziato tre livelli di direttori generali, senza individuare quello corrispondente al consigliere di Cassazione: poi identificato nel livello B dalla conforme giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti a sezioni riunite. Ma il giudice a quo esprime in proposito "il convincimento che, posta una scala di valori e la volontà di attuare un'equiparazione, questa non avrebbe potuto e dovuto discostarsi dal massimo livello, uniformandosi ai principi costituzionali e a quelli di cui alla legge n. 392/1951 conformi ai precedenti storici non contraddetti dalla successiva produzione normativa". E la sentenza n. 219/1975 della Corte costituzionale concorre - secondo il giudice stesso - a far dubitare che sia ulteriormente sostenibile un'equiparazione per linee intermedie, anziché di vertice, in formale contrasto con il giudizio di valore espresso dal legislatore in termini di equivalenza e costantemente confermato nel tempo.

2. - La medesima questione di legittimità costituzionale é stata riproposta dalla sezione III giurisdizionale della Corte dei conti con altre tre coeve ordinanze (in data 16 febbraio 1977, ma pervenute alla Corte costituzionale il 28 gennaio 1981 ed il 22 aprile 1983); ed é stata altresì sollevata - con ordinanza 8 marzo 1980 - dal Pretore di Modena, in qualità di giudice del lavoro, con riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, 104, primo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione. Sostanzialmente nei medesimi termini - ma con riferimento agli artt. 3, 36, 103 e 104 Cost. - si é infine rivolto alla Corte il T.A.R. dell'Emilia-Romagna, mediante un'ordinanza del 3 giugno 1981, emessa in seguito ai ricorsi promossi da alcuni magistrati in servizio contro il Ministero di Grazia e giustizia, per vedere adeguato il proprio trattamento economico.

Alle argomentazioni della Corte dei conti, cui tanto il Pretore quanto il T.A.R. hanno fatto rinvio, il secondo ha aggiunto il rilievo che i professori di università in materia giuridica possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di Cassazione (in base al terzo comma dell'art. 106 Cost.): il che presupporrebbe l'esistenza di uno status di tali magistrati "almeno non inferiore a quello dei docenti universitari" e conseguenzialmente non inferiore a quello degli ambasciatori, cui tali docenti sono stati appunto equiparati con la citata sentenza della Corte costituzionale.

3.a) Dinanzi a questa Corte, nei quattro giudizi instaurati dalla Corte dei conti, si sono costituiti i magistrati ricorrenti Marletta, Della Corte e Amatucci, che hanno concluso per la declaratoria d'illegittimità della normativa impugnata, nei sensi e per i motivi esposti nelle ordinanze di rinvio.

Nel giudizio relativo all'ordinanza del Pretore di Modena s'é invece costituito il resistente E.N.P.A.S., che ha eccepito l'inammissibilità dell'impugnativa sollevata, negando che essa assurga "al rango di questione di legittimità costituzionale".

b) In tutti i giudizi é infine intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo alla Corte: di dichiarare inammissibile l'impugnativa in esame, che potrebbe e dovrebbe - come rilevato anche dall'E.N.P.A.S. - essere risolta sulla base dell'interpretazione delle norme denunciate, analogamente a quanto già deciso dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti a sezioni riunite; in via subordinata, di dichiarare che la detta interpretazione, adottata dalle magistrature amministrative, non contrasta con i principi costituzionali; in via ancor più subordinata, di dichiarare infondata la questione così come prospettata dai giudici a quibus.

Infatti - secondo l'Avvocatura dello Stato - l'art. 16 bis della legge n. 775 del 1970, autorizzando il Governo a "stabilire il trattamento economico dei funzionari direttivi aventi qualifiche di direttore generale o equiparata o superiore", presupponeva che nell'amministrazione dello Stato vi fossero tali qualifiche superiori; ed in questi termini l'art. 47 del d.P.R. n. 748 del 1972 avrebbe appunto considerato la qualifica dell'ambasciatore, date le funzioni essenziali di rappresentanza dello Stato all'estero che questi svolge al di fuori della burocrazia amministrativa, godendo pertanto di una posizione extra ordinem, al pari di alcuni alti magistrati ai quali era prima equiparato agli effetti economici (cioé il Procuratore generale e il Presidente aggiunto della Corte di cassazione, il Presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, il Presidente del Consiglio di Stato ed il Presidente della Corte dei conti, nonché l'avvocato Generale dello Stato).

Né la conclusione sarebbe ormai sovvertita dalla sentenza con cui questa Corte ha esteso ai docenti universitari il livello retributivo A: non sussistendo - ad avviso dell'Avvocatura - "l'asserita analogia di presupposti tra la fattispecie esaminata e decisa con tale sentenza e la fattispecie ora in esame". La Corte avrebbe infatti, censurato, con la ricordata pronuncia, l'immotivata interruzione del consolidato rapporto di equivalenza tra docenti e dirigenti, derivante dal fatto che mentre era stato elevato il trattamento economico dell'ambasciatore e degli altri funzionari che già godevano del parametro 825, era invece rimasto immutato il trattamento dei docenti universitari, anch'essi già titolari del parametro medesimo; laddove nulla di tutto questo si sarebbe verificato per i magistrati.

Inoltre andrebbe ancora considerato che "il livello retributivo A é il punto di arrivo per la carriera diplomatica e per i docenti universitari, mentre per i magistrati il massimo del trattamento economico che possa essere raggiunto é superiore a quello connesso al livello retributivo A... non soltanto per il Primo Presidente della Corte di Cassazione (una volta grado primo dell'ordinamento burocratico), ma anche per i magistrati di qualifica immediatamente inferiore (una volta grado secondo)".

4. - In vista della pubblica udienza, i ricorrenti hanno depositato memorie aggiunte (di identico contenuto), per replicare alle conclusioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

Contro l'eccezione d'inammissibilità, i ricorrenti stessi hanno dedotto che essa non coglie "la differenza fra l'interpretazione di legge condotta, nelle menzionate decisioni del 1974 e del 1975, sui testi della legge delegante e dei decreti delegati, e i dubbi di costituzionalità prospettati dall’ordinanza di rinvio direttamente sul testo della legge di delega". Nel merito, i ricorrenti hanno poi contestato la consistenza giuridica degli argomenti addotti dall'Avvocatura dello Stato: sia in ordine all'eccepita inequiparabilità delle funzioni dell'ambasciatore e del magistrato (stante che, nell'analoga fattispecie presa in considerazione dalla Corte, l'equiparabilità o meno delle funzioni sarebbe già stata considerata del tutto irrilevante); sia in ordine alla ritenuta atipicità della carriera di ambasciatore, la cui pertinenza sarebbe esclusa dal fatto che questi é stato comunque considerato il "dirigente" al quale é attribuito il livello retributivo di vertice (livello A) fra i tre livelli stabiliti, in generale, dall'art. 47 del decreto delegato n. 748 del 1972.

 

Considerato in diritto

 

1. - Malgrado la varietà dei giudizi nel corso dei quali sono state emesse, tutte le ordinanze di rimessione si dimostrano accomunate dall'impugnativa dell'art. 16 ter della legge 28 ottobre 1970, n. 775, nella parte in cui non si é previsto che ai consiglieri di Cassazione dovesse spettare il trattamento economico proprio dell'"organo che riveste la massima qualifica dell'amministrazione attiva" (secondo l'espressione utilizzata nei dispositivi dei provvedimenti adottati dalla sezione III giurisdizionale della Corte dei conti): cioé il trattamento dei dirigenti generali inquadrati nel livello A, in base al conseguente art. 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748. Tutte le ordinanze, inoltre, denunciano sostanzialmente due tipi di vizi di legittimità, consistenti da un lato nella violazione del principio di "proporzionalità retributiva", desunto dal combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost., e d'altro lato nella menomazione delle garanzie costituzionali relative allo status dei magistrati, sia pure variamente identificate, talvolta con riferimento all'art. 104, primo comma, talaltra richiamando l'art. 107, terzo comma, talaltra ancora servendosi dello stesso art. 103 della Costituzione.

Pertanto, i sei giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Preliminarmente conviene ricordare nei suoi dati essenziali - come in parte hanno fatto le ordinanze della Corte dei conti - la complessa vicenda del trattamento economico dei magistrati, ora agganciati ed ora sganciati rispetto ai funzionari preposti agli uffici più elevati dell'amministrazione attiva dello Stato.

É all'agganciamento che s'informa il regime retributivo del personale della magistratura, tanto nell'ordinamento statutario quanto nell'ordinamento fascista. A questo criterio sono infatti ispirati - fra l'altro - sia la legge 7 luglio 1876, n. 3213 (rectius: n. 3212) ed il regio decreto 3 marzo 1881, n. 77, cui fa espresso richiamo la Corte dei conti; sia la legge 30 giugno 1908, n. 304, che pareggiava gli stipendi dei consiglieri della Corte stessa e del Consiglio di Stato alle retribuzioni spettanti ai direttori generali di ministero; sia, conclusivamente, il regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395, che nel classificare il personale dello Stato "per gruppi e per gradi" assegnava agli ambasciatori il grado secondo (con il relativo trattamento economico), mentre ai consiglieri e sostituti procuratori generali di Corte di cassazione veniva attribuito il grado quarto, sul medesimo piano dei direttori generali, del provveditore generale, del ragioniere generale dello Stato e via dicendo.

Nel periodo repubblicano, viceversa, prevale dapprima la tendenza allo sganciamento, realizzata dalla legge 24 maggio 1951, n. 392, in nome dell'indipendenza dell'ordine giudiziario e della connessa esigenza di separare i magistrati dai componenti l'organizzazione gerarchica dell'amministrazione: con il che, tuttavia, si attua semplicemente un trattamento economico differenziato, sulla base di apposite tabelle annesse alla legge n. 392, senza affatto imporre retribuzioni maggiori di quelle conferite ai gradi o parametri più alti dell'apparato burocratico statale (anche se, in concreto, fu proprio questo l'esito dell'operazione, come ancora risulta dal confronto fra gli stipendi dei magistrati e gli stipendi degli stessi ambasciatori, rispettivamente previsti dalle tabelle allegate ai d.P.R. n. 1079 e n. 1080 del 1970).

Successivamente, in virtù dell'impugnato art. 16 ter della legge n. 775 del 1970, si ritorna ad agganciare le retribuzioni dei magistrati agli stipendi dei funzionari strettamente intesi, pareggiando il trattamento dei magistrati di Cassazione a quello "definitivamente spettante... ai funzionari con qualifiche di direttore generale o equiparata": ma in termini resi inizialmente problematici dalla distinzione fra i vari livelli funzionali e retributivi previsti al riguardo dall'art. 47 del citato d.P.R. n. 748 del 1972 (sulla "disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni generali dello Stato"); sicché si sono resi necessari i chiarimenti effettuati - in sede applicativa - dalla quarta sezione del Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti a sezioni riunite, che hanno fatto concorde riferimento al livello B (cioé al trattamento dei prefetti di prima classe ed equiparati), piuttosto che al livello C (proprio degli altri dirigenti generali) ovvero al livello A (peculiare dei soli ambasciatori).

Per altro, la vicenda non si é certo conclusa a questo punto; ed anzi la soluzione voluta dalla legge delegante del '70 si é rivelata quanto mai precaria. Dapprima, infatti, la sopravvenuta legge 20 dicembre 1973, n. 831, ha molto allargato la categoria dei magistrati di Cassazione, includendovi - specialmente agli effetti retributivi, sui quali non ha inciso la sentenza n. 86/1982 di questa Corte - tutti coloro che siano favorevolmente valutati dal Consiglio superiore della magistratura, ai sensi dell'art. 1 della legge stessa. Ed a pochi anni di distanza la legge 2 aprile 1979, n. 97 (per non dire delle conseguenti leggi 19 febbraio 1981, n. 27, e 6 agosto 1984, n. 425) ha nuovamente seguito la logica dello sganciamento, prevedendo un differenziato trattamento economico dei magistrati: per il quale valgono, in sostanza, le stesse considerazioni cui si é fatto cenno nei riguardi della "legge Piccioni" del 1951.

3. - Come si vede, la vicenda in esame é stata ed é troppo mutevole, se non contraddittoria, perché si possa dar credito alla tesi sostenuta dalle ordinanze della Corte dei conti, che vi ravvisano invece - se non altro fino agli anni 1970-1972 - "una ininterrotta trama storica", tale da illustrare e confermare "la continuità di uno status particolare attribuito costantemente alla magistratura": status che nella specie imporrebbe di assegnare ai consiglieri di Cassazione il predetto livello retributivo A. Del resto, non é certo in una chiave puramente storica che vanno risolti i problemi sollevati dalle ordinanze medesime. Nell'interpretare l'art. 47 del d.P.R. n. 748 del 1972, il Consiglio di Stato ha giustamente messo in rilievo, al contrario, l'indiscutibile discrezionalità della quale il legislatore dispone, indipendentemente dalle soluzioni adottate in precedenza, nel regolare il trattamento economico dei dipendenti pubblici in genere, magistrati compresi. E questa avvertenza si rivela tanto più pertinente, in quanto i tertia comparationis, sui quali si reggono i giudizi costituzionali d'eguaglianza, non possono venire ricavati se non dall'ordinamento giuridico vigente, a pena d'irrigidire e di rendere immodificabile l'ordinamento stesso.

A ciò si aggiunge, in particolar modo, che la figura dell'ambasciatore si presenta troppo singolare e caratterizzata, non solo sul piano funzionale ma anche dal punto di vista del trattamento giuridico ed economico, perché sia corretto compararla alla figura del consigliere di Cassazione, sia pure ai soli effetti retributivi. Già nello Statuto albertino, le disposizioni dell'art. 33 non avvalorano ma anzi smentiscono l'assunto della Corte dei conti, là dove differenziano e privilegiano gli ambasciatori, ai fini delle nomine dei senatori, sia nei confronti degli "Intendenti Generali", sia nei confronti degli stessi "Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei conti", nonché dei "Consiglieri di Stato". Ma la distinta considerazione delle ambasciate e dei loro titolari trova ancora un preciso riscontro nella legge-delega 18 marzo 1968, n. 249, che nell'ultimo comma dell'art. 1 fa salvi "i servizi delle Amministrazioni degli affari esteri e della difesa", ad eccezione delle "eventuali norme di coordinamento" con la legge medesima; sicché, su questa base, l'art. 27 del d.P.R. n. 748 del 1972 dispone che "la carriera diplomatica continua ad essere regolata dall'ordinamento speciale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18". Ed é precisamente con tale fondamento che la quarta sezione del Consiglio di Stato e le sezioni riunite della Corte dei conti hanno escluso - come già si é ricordato - che l'equiparazione fra i consiglieri di Cassazione ed i dirigenti generali potesse venire effettuata al livello retributivo A, previsto per i soli ambasciatori dall'art. 47 del predetto decreto presidenziale.

4. - In realtà, non si possono intendere le censure proposte dalle ordinanze di rimessone, se non si tiene presente la sentenza 17 luglio 1975, n. 219, con cui questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 16 bis della legge n. 249 del 1968 (come modificata dalla legge n. 775 del 1970) e 47 del d.P.R. n. 748 del 1972, nella parte in cui non estendevano "ai professori universitari di ruolo aventi diritto all'ultima classe di stipendio... il trattamento retributivo stabilito per la qualifica A ed ex parametro 825". Secondo le dette ordinanze, le medesime ragioni che hanno spinto la Corte a collocare i professori universitari c.d. di prima classe al livello dei vertici della dirigenza dovrebbero, infatti, applicarsi ai consiglieri di Cassazione: per l'essenziale motivo che anche in questo caso si riscontrerebbe - come ha precisato la Corte dei conti - "una secolare posizione di status non suscettibile di una immotivata ed incoerente modifica".

Ma il richiamo non é adeguato allo scopo, giacché non tiene conto - a parte ogni altra considerazione - della ratio decidendi cui s'informa la sentenza n. 219/1975. In quella stessa pronuncia, preliminare e fondamentale é l'affermazione "che resti nella discrezionalità del legislatore il differenziare (anche in rispondenza a contingenti esigenze di convogliamento delle nuove leve verso l'uno o l'altro settore della organizzazione dei pubblici uffici) il trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, senza per questo incorrere in violazione dei precetti costituzionali dell'art. 3 o 36". Data una tale premessa, la conclusione dell'accoglimento in parte qua si spiega soltanto per chi abbia presente il tipo di raffronto che la Corte ha effettuato: non già comparando ai dirigenti generali la generalità dei professori universitari, bensì rilevando e facendo valere l'esigenza che la carriera dei professori in questione potesse pervenire al "medesimo tetto... stabilito per i funzionari direttivi dello Stato", anziché "decapitare il vertice" di quella categoria, "impedendone lo sviluppo fino al massimo retributivo stabilito per l'altra".

Ciò posto, però, é chiaro che la decisione riguardante le retribuzioni dei professori universitari di prima classe non può essere invocata a beneficio dei consiglieri di Cassazione: non foss'altro perché si trattava e si tratta, con particolare evidenza dopo l'entrata in vigore della legge n. 831 del 1973, di magistrati cui spetta nell'ordinamento giudiziario una posizione eminente ma non di vertice (come ha messo in luce la quarta sezione del Consiglio di Stato). Al vertice della magistratura ordinaria si collocano invece - nell'ordine - il primo Presidente della Cassazione, il Procuratore generale ed il Presidente aggiunto della Cassazione stessa, nonché i Presidenti di sezione ed i magistrati a questi equiparati (almeno una parte dei quali godeva, anche in seguito all'attuazione della legge-delega n. 775 del 1970, di trattamenti economici superiori a quello degli ambasciatori). Il che concorre ad evidenziare la disomogeneità delle situazioni che si vorrebbero mettere a confronto: vale a dire, quella dei consiglieri di Cassazione, quella dei professori universitari di prima classe e quella dei dirigenti di livello A.

5. - Nei termini in cui la prospettano le ordinanze di rimessione, l'impugnativa in esame si presenta, dunque, come una questione di legittimità costituzionale (e non si risolve in un problema d'interpretazione di norme legislative ordinarie, secondo la tesi proposta in via principale dall'Avvocatura dello Stato). Ma la questione é infondata, sotto entrambi i suoi aspetti.

Per un verso, cioé, le considerazioni già svolte valgono ad escludere che sussista la pretesa violazione del principio di "proporzionalità retributiva", ricavabile dagli artt. 3 e 36 Cost.. Per un altro verso, non si riscontra nessuna violazione delle norme costituzionali sulla magistratura, variamente invocate dai giudici a quibus. Quanto all'art. 103 della Costituzione, relativo alla giurisdizione degli organi di giustizia amministrativa, della Corte dei conti e dei tribunali militari, questa Corte non riesce ad intendere in qual modo esso influisca sul regime retributivo dei magistrati ordinari; quanto all'art. 104, primo comma, le ordinanze di rimessione non chiariscono affatto in che senso la disciplina impugnata lederebbe l'indipendenza dell'ordine giudiziario e dei suoi componenti (le cui retribuzioni devono essere adeguate, ma non vanno necessariamente determinate secondo canoni rigidi e prestabiliti); e quanto, infine, al terzo comma dell'art. 107, ben altro é l'intento - già illustrato dalla Corte nella sentenza n. 86 del 1982 - con cui la Costituente ha proclamato che "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni".

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 ter della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (in connessione con l'art. 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748), sollevata dalla Corte dei conti, dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna e dal Pretore di Modena con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 36, 103, 104, primo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1985.

Leopoldo ELIA - Livio PALADIN

Depositata in cancelleria il 6 maggio 1985.