Sentenza n.112 del 1985

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SENTENZA N. 112

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 127, comma terzo, lett. d. t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico sulle imposte dirette) promosso con ordinanza emessa il 6 aprile 1983 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Pezzana Capranica del Grillo Maria Adelaide ed altra c/E.T.I., iscritta al n. 690 del registro ordinanze l983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 1984.

Visti gli atti di costituzione di Pezzana Capranica del Grillo M. Adelaide ed altra e dell'E.T.I.;

udito nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1984 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito l'avvocato Franco Voltaggio Lucchesi per Pezzana Capranica del Grillo M. Adelaide ed altra.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte di cassazione sez. I civile con ordinanza del 6 aprile 1983 ha sollevato d'ufficio questione incidentale di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 53 della Costituzione, dell'art. 127, terzo comma, lett. d), del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nella parte in cui prevedeva, anziché l'obbligo, soltanto la facoltà di rivalsa di quanto versato per ritenuta di acconto, per imposta di ricchezza mobile, da soggetti tenuti al pagamento di rendite vitalizie, consentendo così l'esonero dal pagamento del tributo dei beneficiari delle rendite.

Il giudizio a quo trae origine da un procedimento per ingiunzione introdotto davanti al Presidente del Tribunale di Roma da Irma Castren per inadempienza da parte dell'E.T.I. (Ente Teatrale Italiano) di un contratto di rendita vitalizia, dovuta in contropartita dell'alienazione del dominio diretto di un complesso immobiliare. L'E.T.I. si era difeso sostenendo di aver sottratto dalle mensilità l'ammontare della trattenuta di acconto I.R.P.E.F. ai sensi dell'art. 47 d.P.R. n. 597 del 1973 e chiedendo in via riconvenzionale la condanna della Castren al pagamento di quanto versato dall'ente stesso, quale sostituto d'imposta, per ritenute alla fonte sulle somme pagate alla Castren, in relazione alle quali non aveva operato la rivalsa.

Il Tribunale respingeva l'opposizione avanzata dall'E.T.I.. La Corte di Appello di Roma, su impugnazione dell'E.T.I., revocava invece il decreto ingiuntivo ed accoglieva la domanda riconvenzionale, ritenuta fondata in quanto la violazione degli artt. 47 d.P.R. n. 597/1973, 1 d.P.R. n. 600/1973 e 95 d.P.R. n. 602/1973 comportava la nullità del patto stipulato nell'atto di costituzione della rendita, che aveva accollato all'E.T.I. il peso di imposte presenti e future, lasciando la rendita pattuita al netto di ogni peso o imposta.

Avverso la sentenza hanno ricorso Maria Adelaide e Maria Sveva Capranica del Grillo, eredi universali della Castren, nel frattempo deceduta.

Ritiene la Corte di Cassazione che la nuova normativa sull'I.R.P.E.F., equiparando con l'art. 47, lett. e), d.P.R, n. 597/1973 le rendite vitalizie ai redditi di lavoro dipendente e rendendo così operante anche per esse l'obbligo della ritenuta di imposta alla fonte e di rivalsa verso i percipienti, abbia posto in essere un complesso di norme imperative che comportano la nullità dei patti ad esse contrari, ai sensi dell'art. 1418, primo comma, c.c. o comunque risolventesi nella loro concreta elusione (art. 1344 c.c.).

Senonché - secondo il giudice a quo - la nuova normativa sarebbe inapplicabile al caso di specie e la controversia andrebbe risolta sulla base della normativa vigente all'epoca della stipulazione del contratto, ossia del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, il cui art. 127 viene impugnato, perché in contrasto con il principio della proporzionalità dell'imposta alla capacità contributiva.

2. - Si sono costituite nel giudizio le parti private Maria Adelaide Pezzana Capranica del Grillo e Maria Sveva Capranica del Grillo, rappresentate dagli avv. Franco Voltaggio Lucchesi e Carlo d'Amelio, deducendo l'infondatezza della questione sollevata.

Innanzitutto - argomenta la parte - trattandosi di corrispettivo di trasferimento d'immobili verrebbe in considerazione l'art. 41 della Costituzione, essendo il meccanismo concordato liberamente dalle parti diretto ad assicurare l'equilibrio sinallagmatico della compravendita mediante la corresponsione nel tempo di un importo minimo e certo; cosicché una sua riduzione verrebbe a diminuire il corrispettivo, violando il principio dell'autonomia negoziale nonché lo stesso principio d'uguaglianza.

In secondo luogo, trattandosi di vitalizio a titolo oneroso, non vi sarebbe violazione dell'art. 53, primo comma, Cost., poiché di "reddito" si potrebbe parlare, nel caso di specie, soltanto dopo recuperato il capitale in corrispettivo del quale il vitalizio era stato costituito. Tassare l'intero ammontare - osserva la parte - equivale a tassare un reddito inesistente.

Infine la pretesa violazione dell'art. 53, secondo comma, Cost., che garantisce la progressività dell'imposta, sarebbe esclusa se si considera che il patto operava limitatamente alla ritenuta, proporzionale alla rendita, ma non aveva alcuna influenza in sede di imposta complementare (né successivamente di I.R.P.E.F.), dato che la rendita vitalizia concorreva pur sempre alla formazione del reddito complessivo della contribuente ed a determinare la aliquota d'imposta. Nulla quindi - secondo la parte - veniva sottratto al fisco né il prelievo non era commisurato alle condizioni economiche del cittadino, poiché la venditrice, obbligata ex art. 19 t.u. a presentare la dichiarazione dei redditi, ben subiva le conseguenze che il vitalizio, sommandosi ad altri redditi, comportava sull'ammontare dell'imposta progressiva.

In una successiva memoria le parti hanno ribadito le loro tesi, ponendo in risalto l'equivoco in cui sarebbe incorso il giudice rimettente, equiparando la clausola contrattuale generatrice della rendita vitalizia (oggetto del giudizio) con le clausole dirette a mantenere invariato lo stipendio dei lavoratori nonostante gli aumenti fiscali, che hanno presupposti e finalità completamente diversi.

3. - L'Ente Teatrale Italiano (E.T.I.), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo de Camelis, ha depositato l'atto di costituzione fuori del termine di venti giorni previsto dall'art. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e precisamente il 2 marzo 1984. Essendo stata, infatti, pubblicata l'ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 25 gennaio 1984, la costituzione avrebbe dovuto avvenire entro il 14 febbraio.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sottoposta all'esame della Corte é se contrasti o meno con l'art. 53 della Costituzione l'art. 127, terzo comma, lett. d, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nella parte in cui prevede la facoltà, e non l'obbligo, della rivalsa di quanto versato per ritenuta d'acconto, per imposta di ricchezza mobile, da soggetti tenuti al pagamento di rendite vitalizie.

Lo stesso articolo, al primo capoverso, prescrive invece per i redditi corrisposti ai prestatori di lavoro, oltre all'obbligo della ritenuta alla fonte, anche il corrispondente obbligo della rivalsa in favore del datore di lavoro che ha pagato l'imposta.

Tale sistema - vigente prima dell'introduzione della nuova normativa sull'I.R.P.E.F. (d.P.R. nn. 597, 600 e 602 del 1973) - consentiva quindi la stipulazione di patti, come quello di specie, in forza dei quali il percettore di un reddito, obiettivamente soggetto ad imposta e non esente, veniva ad essere sollevato dal carico fiscale gravante sul reddito percepito, trasferendone consensualmente il peso su soggetto non tenuto in proprio al pagamento dell'imposta.

Secondo la Corte di Cassazione, che ha sollevato la questione, tale disciplina violerebbe l'art. 53 della Costituzione (che prevede un prelievo fiscale commisurato alle condizioni economiche "subiettive" dei cittadini e non semplicemente calcolato in funzione "obiettiva" del reddito percepito), in quanto consente, mediante pattuizioni private, che il contribuente si sottragga a quanto dovuto in proporzione alle sue condizioni economiche effettive, trasferendo in tutto o in parte l'onere fiscale su un altro soggetto.

2. - É fuor di dubbio che la questione sollevata sarebbe superata se al caso di specie, oggetto del procedimento di merito, si dovesse applicare l'attuale normativa che regola la materia.

Infatti l'art. 47, lett. e, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 stabilisce che le rendite vitalizie costituite ai sensi dell'art. 1872 c.c. sono equiparabili ai redditi di lavoro dipendente e pertanto, ai sensi dell'art. 24, terzo comma, del d.P.R. n. 600 della stessa data, chi é tenuto alla corresponsione della rendita deve operare, all'atto del pagamento, una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta dovuta dal beneficiario con l'obbligo, e non più la facoltà, di esercitare la rivalsa. E l'art. 95 del d.P.R. n. 602, sempre del 29 settembre 1973, pone una sanzione a carico del debitore della rendita che non effettui la prescritta ritenuta alla fonte.

Questo complesso di norme imperative - come osserva il giudice a quo - comporta la nullità dei patti ad esse contrari ai sensi dell'art. 1418, primo comma, c.c., fra i quali rientra certamente quello oggetto della controversia di merito.

Si pone quindi in via preliminare il problema se la norma impugnata sia da applicare alla fattispecie in esame, perché in caso contrario la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza.

Sul punto l'ordinanza di rimessione difetta di adeguata motivazione, in quanto si riserva di accertare l'applicabilità della norma impugnata, e la conseguente liceità del patto intervenuto tra le parti, successivamente alla soluzione della questione di costituzionalità sollevata davanti a questa Corte.

In tanto la nuova normativa sull'I.R.P.E.F. sarebbe inapplicabile - ipotizza il giudice a quo - in quanto verrebbe non già ad incidere sull'esecuzione periodica del contratto, bensì a modificare la disciplina giuridica dell'atto generatore del rapporto. Ma la soluzione dell'ipotesi così prospettata (sulla base di una giurisprudenza ordinaria che non riguarda rapporti tributari, ma esclusivamente rapporti di natura privata) viene rimessa all'esito del giudizio di costituzionalità. Né va sottaciuto, peraltro, che la richiesta di esercitare il diritto di rivalsa da parte del vitaliziante non infirma l'originaria convenzione intervenuta con il beneficiario, ma attiene alla sua esecuzione nel periodo successivo all'entrata in vigore della nuova normativa, che rende obbligatoria la rivalsa.

La questione va quindi dichiarata inammissibile per difetto di adeguata motivazione in ordine alla sua rilevanza nel giudizio de quo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 127, terzo comma, lett. d, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico sulle imposte dirette), sollevata in relazione all'art. 53 della Costituzione dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 1985.

Leopoldo ELIA - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1985.