Sentenza n.107 del 1985

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SENTENZA N. 107

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 512 del codice penale, promossi con quattro ordinanze del Tribunale di Rovereto emesse il 23 giugno 1978, il 9 febbraio 1979, il 25 gennaio 1980 e il 18 giugno 1981, iscritte al n. 517 del registro ordinanze 1978, al n. 294 del registro ordinanze 1979, al n. 162 del registro ordinanze 1980 e al n. 834 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 168 del 1979, n. 131 del 1980 e n. 96 del 1982.

Udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 1985 il Giudice relatore Antonio La Pergola.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Rovereto, con quattro ordinanze emesse il 23 giugno 1978, 9 febbraio 1979, 25 gennaio 1980 e 18 giugno 1981, ha sollevato, nel corso di altrettanti procedimenti penali per il reato di cui all'art. 508 del codice penale ("Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio"), questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 dello stesso codice, in riferimento all'art. 39 della Costituzione e, in una delle ordinanze, anche all'art. 18 del Testo fondamentale.

La norma censurata prevede la pena accessoria dell'"interdizione da ogni ufficio sindacale per la durata di anni cinque" in caso di condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 502 e seguenti del codice.

Il giudice a quo, premesso, in punto di rilevanza della questione, che l'applicazione della norma censurata (cioé l'irrogazione dell’indicata pena accessoria) seguirebbe ex lege l'eventuale condanna degli imputati per il reato loro contestato, rileva che detta norma appare "indissolubilmente legata all'ordinamento corporativo fascista" e, pertanto, incompatibile con l'art. 39 della Costituzione, in particolare con il secondo comma di tale parametro.

Nell'ordinanza del 25 gennaio 1980 (R.O. 162/80), che delle quattro é la più articolata, il giudice rimettente rileva che l'art. 512 c.p. é stato dichiarato vigente e la relativa pena accessoria "attualmente irrogabile" dalla Corte di Cassazione con sentenza del 15 gennaio 1958; la "temporanea inoperatività" della norma, affermata dalla stessa Cassazione non offrirebbe, d'altra parte, sufficienti garanzie circa l'assenza di qualsiasi eventuale pregiudizio per gli imputati, tanto più, prosegue il giudice a quo, che anche oggi vi sarebbero alcune attività sindacali, quali l'intervento dei rappresentanti delle associazioni di categoria nelle cause di lavoro, qualificabili come "uffici" con rilievo pure pubblicistico. In ogni caso, nonostante l'astratta possibilità di sostenere, in via interpretativa, l'abrogazione implicita o la desuetudine della norma in questione, dette interpretazioni non sarebbero tuttavia vincolanti per la generalità dei giudici, con il conseguente rischio che qualsiasi organo giurisdizionale si senta vincolato ad irrogare la pena accessoria in questione e che qualsiasi dirigente sindacale sia condizionato, nell'esercizio delle sue funzioni, dalla perdurante efficacia intimidatrice della norma.

In conclusione, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata offenderebbe sia l'art. 39 Cost., risolvendosi in un sostanziale limite alla libertà sindacale, non potendo essere imposto ai sindacati altro obbligo che quello della registrazione, sia il generale principio della libertà di associazione, costituendo i sindacati libere associazioni di cittadini (art. 18 Cost.: R.O. 162/80).

Va, infine, rilevato che il Tribunale di Rovereto, nelle ordinanze nn. 294/79 e 162/80, aggiunge che non osta al sollevamento della questione di costituzionalità l'astratta applicabilità nei casi di specie della causa di estinzione del reato costituita dall'amnistia concessa con d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, in quanto l'art. 5 del detto decreto presidenziale consente all'imputato, fino alla pronuncia della sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, di fare dichiarazione di non voler usufruire del beneficio.

2. - In nessuno dei giudizi instaurati con le ordinanze in esame si sono costituite parti private, né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La presente questione, promossa con varie ordinanze dal Tribunale di Rovereto, trae origine da procedimenti penali in cui agli imputati é contestato il reato previsto dall'art. 508 c.p. ("Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio"). Oggetto della censura é l'art. 512 c.p.. Tale norma contempla l'interdizione da ogni ufficio sindacale, per la durata di anni cinque, come pena accessoria, la cui applicazione, nel caso di cui é investito il giudice a quo, dovrebbe quindi necessariamente conseguire all'accertamento della responsabilità penale dei giudicabili. Il Tribunale di Rovereto osserva che la norma dedotta in giudizio é indissolubilmente legata al cessato ordinamento corporativo fascista, ma non é stata ancora rimossa ed é considerata vigente dalla Corte di cassazione. Il Supremo Collegio, soggiunge il giudice a quo, ha infatti considerato l'applicazione della pena in discorso come "inoperante", ma solo fino a quando non siano inserite nell'attuale ordinamento le norme previste dall'art. 39 Cost.: per modo che, verificata questa condizione, la norma riprenderebbe il suo vigore nei confronti di coloro ai quali la sanzione accessoria é stata inflitta. D'altra parte, sempre ad avviso del giudice rimettente, "uffici sindacali" sono previsti, con rilievo pubblicistico, anche al presente stato della legislazione e così, prima di tutto, dallo Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), specie con riguardo all'intervento processuale dei rappresentanti delle associazioni di categorie nelle cause di lavoro. L'ordinanza di rinvio denuncia, in conseguenza, come "effettivo" il "rischio che qualsiasi organo giurisdizionale si senta vincolato ad irrogare" la qui contestata pena accessoria, mentre la relativa previsione, e l'efficacia intimidatrice da essa spiegata sulla condotta dei dirigenti sindacali, concreterebbero un'indebita interferenza nella sfera di libertà e di organizzazione garantita al sindacato, sia dallo specifico disposto dell'art. 39 Cost., sia dal precetto dettato in via generale dall'art. 18 Cost. a tutela del diritto di associazione. La declaratoria d’incostituzionalità é dunque richiesta nell'esplicito presupposto che la norma in esame non risulta caducata, per abrogazione implicita o desuetudine, in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo fascista.

2. - I giudizi promossi con tutti gli anzidetti provvedimenti di rimessione, data l'identità della questione, vanno riuniti e congiuntamente decisi.

3. - Giova all'analisi del problema sottoposto a questa Corte riflettere, in primo luogo, su quel che il giudice a quo deduce in ordine all'attuale applicabilità della disposizione in esame. La pena accessoria consiste, nella specie, nell’interdizione quinquennale dagli uffici sindacali. Non si può, allora, non convenire con il Tribunale di Rovereto che si tratti di una norma penale, la quale - prevista nel codice sotto il capo dei delitti contro l'economia pubblica, in relazione, precisamente, agli illeciti di cui si occupano gli artt. 502 e seguenti - deve ritenersi intimamente connessa con l'ordinamento corporativo fascista, e quindi con la funzione da esso riservata al sindacato. Corretta, del pari, é l'affermazione che la norma in questione, non abrogata né caducata ad altro titolo, vige nell'attuale ordinamento. Diversamente, difetterebbero gli estremi perché essa fosse suscettibile d’impugnazione in questa sede. Posto ciò, va però disatteso il risultato al quale il giudice a quo, muovendo dalle premesse sopra condivise, ritiene di dover pervenire, in merito al disposto della norma dedotta in giudizio e al relativo ambito di applicazione. Il Tribunale di Rovereto ritiene che la pena accessoria in discorso possa essere comminata con riguardo agli uffici sindacali, quali risultano sulla base dell'ordinamento in vigore. Senonché così ragionando, si contraddice l'assunto, avanzato dallo stesso giudice a quo, secondo cui il codice penale fa qui riferimento agli uffici sindacali, quali sussistevano all'epoca e nel contesto del sistema corporativo fascista. Ora, la figura del munus individuata nella norma in esame alla stregua del cessato ordinamento, é diversa dalla carica direttiva, quale può essere rivestita dagli imputati nel procedimento rimesso al giudice a quo, d'un sindacato che secondo le leggi vigenti s'inquadra nello schema, costituzionalmente garantito, della libera associazione di natura privatistica. Basta ciò per escludere che la pena accessoria prevista nell'art. 512 c.p. sia suscettibile d’irrogazione allo stato dell'attuale ordinamento sindacale. Depone comunque per tale conclusione il divieto, sancito nell'art. 14 delle disposizioni preliminari del codice civile, di applicare le leggi penali oltre i tempi ed i casi in esse contemplati. Se così é, ci troviamo di fronte ad una norma punitiva che non collide con i precetti costituzionali invocati nella presente controversia. In questo senso, la questione non é fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 18 e 39 Cost., dal Tribunale di Rovereto con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1985.

Leopoldo ELIA - Antonio LA PERGOLA

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1985.