Sentenza n. 105 del 1985

 

SENTENZA N. 105

ANNO 1985

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN, Presidente

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Dott. FRANCESCO SAIA

Prof. GIOVANNI CONSO

Prof. ETTORE GALLO

Dott. ALDO CORASANITI

Prof. GIUSEPPE BORZELLINO

Dott. FRANCESCO GRECO. Giudici.

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 35 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (T.U. sugli assegni familiari), promosso con ordinanza emessa il 15 luglio 1977 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Francescutto Giuseppe e Pasticceria-Confetteria Cova ed altro, iscritta al n. 494 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 353 dell'anno 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 1985 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Il Pretore di Milano con ordinanza del 15 luglio 1977 ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 36 e 38 della Costituzione, dell'art. 35 d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, nella parte in cui dispone per particolari categorie di lavoratori che i contributi e gli assegni familiari loro dovuti siano riferiti a salari medi ed a periodi di occupazione media mensile stabiliti convenzionalmente con decreto del Ministro del Lavoro, sentiti il Comitato speciale per gli assegni familiari e le associazioni professionali interessate.

Dubita il giudice a quo che tale sistema di determinazione delle medie retributive, una volta applicato - per effetto del sistema normativo vigente - alla commisurazione delle pensioni, violi il principio della integrale rispondenza fra retribuzione globale di fatto, onere contributivo e misura del trattamento pensionistico, nonché il principio di uguaglianza, non definendo alcun criterio nella individuazione delle "particolari categorie" di lavoratori, da sottrarre al principio generale della determinazione della pensione sulla base della retribuzione effettivamente percepita.

Il procedimento di merito trae origine dalla doglianza di un pensionato per aver ricevuto dall'INPS (Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale) una pensione determinata in base alle medie retributive convenzionali anziché alla retribuzione realmente percepita.

2. - Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, osservando in via preliminare che la questione sollevata con l'ordinanza di rimessione avrebbe ad oggetto non tanto la norma impugnata (art. 35 d.P.R. n. 797/1955), che riguarda la base imponibile dei contributi e degli assegni familiari, quanto l'art. 2, sub 6, ultimo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218 (che ha modificato l'art. 6 R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636), il quale, consentendo di rapportare la pensione ad una retribuzione non reale ma convenzionale, verrebbe eventualmente a contrastare con i citati parametri costituzionali.

Nel merito la difesa dello Stato contesta comunque che la normativa impugnata contrasti con le norme costituzionali invocate.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - La Corte é chiamata a decidere se contrasti o meno con gli artt. 1, 2, 3, 4, 36 e 38 della Costituzione l'art. 35 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (testo unico sugli assegni familiari), nella parte in cui consentirebbe per alcune particolari categorie di lavoratori di commisurare i contributi previdenziali, e di conseguenza le pensioni di vecchiaia e di anzianità, a retribuzioni medie convenzionali determinate con decreto del Ministro del Lavoro anziché alle retribuzioni effettivamente percepite; per il dubbio che tale disposizione violi il principio della integrale corrispondenza tra retribuzioni di fatto, onere contributivo e trattamento pensionistico, nonché il principio di uguaglianza, consentendo arbitrarie discriminazioni tra lavoratori.

2. - In via preliminare va individuata la disposizione che il giudice a quo intende effettivamente impugnare, come giustamente rileva la difesa dello Stato.

L'art. 35 del d.P.R. n. 797 del 1955 dispone, infatti, che per particolari categorie di lavoratori i contributi e gli assegni familiari possono essere riferiti rispettivamente ad apposite tabelle di salari medi e di periodi di occupazione media mensile, stabilite con decreto del Ministro del Lavoro, sentito il Comitato speciale per gli assegni familiari e le associazioni professionali interessate. La questione sollevata però ha ad oggetto le modalità di commisurazione delle pensioni (d'invalidità, vecchiaia e anzianità) per le suddette categorie di lavoratori, da liquidarsi con decorrenza successiva al 30 aprile 1968 (art. 1 d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488), denunciandosi che essa venga riferita alle retribuzioni medie convenzionali, in base alle disposizioni vigenti ai fini del calcolo dei contributi dovuti per gli assegni familiari (art. 17, comma primo, legge 4 aprile 1952, n. 218). L'art. 35 impugnato viene quindi in considerazione soltanto mediatamente, mentre la norma da cui discende la situazione denunciata - come in contrasto con gli invocati parametri costituzionali, in quanto consente di rapportare la pensione ad una retribuzione non reale, ma convenzionale - é piuttosto l'art. 2 della citata legge 4 aprile 1952, n. 218 (riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria), il quale recita nel primo comma: "I contributi per le assicurazioni base per la invalidità, vecchiaia e superstiti ... sono dovuti nella misura stabilita dalle tabelle A e B allegate al presente decreto e per ogni periodo di lavoro nelle medesime indicato" e nel quarto comma: "Per particolari categorie di lavoratori ed anche per limitate zone del territorio nazionale, il Ministero per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, può stabilire apposite tabelle di retribuzioni medie agli effetti del calcolo del contributo e fissare altresì i periodi medi di attività lavorativa".

La questione sollevata dal giudice a quo e rilevante nel procedimento di merito riguarda pertanto più l'art. 2 della legge n. 218 del 1952 che non l'art. 35 d.P.R. n. 797 del 1955.

3. - La questione comunque non é fondata.

La normativa impugnata, così come sopra individuata, non contrasta infatti con nessuno dei parametri costituzionali invocati.

Gli artt. 1 e 2 della Costituzione pongono rispettivamente il lavoro a fondamento della Repubblica, affermando la preminenza di ogni attività lavorativa nel sistema dei diritti-doveri del cittadino, e tutelano i diritti inviolabili dell'uomo; ma dettano specifici criteri cui dovrebbe attenersi il legislatore nel disciplinare i diritti dei lavoratori.

Quanto all'art. 3 della Costituzione la lamentata differenza di disciplina tra lavoratori a seconda che la pensione sia collegata alla retribuzione reale o a quella convenzionale trova razionale giustificazione nell'impossibilità di accertare in concreto la retribuzione effettiva di talune categorie di lavoratori che percepiscono compensi non fissi ma variabili, per essere i salari calcolati in misura percentuale sugli incassi delle imprese (es. esercizi pubblici) o correlati con servizi non continuativi. L'adozione, di concerto con le organizzazioni di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro, di medie retributive convenzionali per determinate categorie di lavoratori e per zone limitate del territorio nazionale costituisce pertanto un criterio legislativo seguito, specie nel passato, ogni volta che non fosse possibile, o fosse estremamente oneroso, ricostruire le retribuzioni effettive per le caratteristiche peculiari di alcune attività lavorative. Nessuna lesione quindi del principio di uguaglianza può essere attribuita alla normativa impugnata.

A sua volta l'art. 4 della Costituzione ha valenza programmatica e impegna il legislatore ad intervenire per garantire il diritto al lavoro a tutti i cittadini, ma non comporta alcun divieto specifico circa il collegamento delle pensioni sociali assicurative alle retribuzioni convenzionali anziché a quelle reali.

Né infine si ravvisano violazioni degli artt. 36 e 38 della Costituzione, rientrando nei poteri del legislatore ordinario - come si é più volte pronunciata questa Corte - "determinare, con una razionale considerazione delle esigenze di vita dei lavoratori e delle effettive disponibilità finanziarie, l'ammontare delle prestazioni e di modificarne la misura allo scopo di rendere sempre attuale e costante il rapporto tra i termini che dovessero subire variazioni" (sent. n. 128 del 1973).

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 sollevata dal Pretore di Milano con l'ordinanza del 15 luglio 1977 (r.o. n. 494/1977), in relazione agli artt. 1, 2, 3, 4, 36 e 38 della Costituzione

 

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1985.

GUGLIELMO ROEHRSSEN, PRESIDENTE

BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1985.