Sentenza n.93 del 1985

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SENTENZA N. 93

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 della legge 2 aprile 1968, n. 482 (Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso la pubblica amministrazione e le aziende private), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 9 giugno 1981 dal pretore di Asti nel procedimento penale a carico di Gallo Luigi ed altro, iscritta al n. 546 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 318 dell'anno 1981;

2) ordinanza emessa il 12 gennaio 1982 dal pretore di Salò nel procedimento civile vertente tra Levangi Virgilio e la S.p.a. Ferriera Valsabbia, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 185 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 21 giugno 1982 dal pretore di Borgo a Mozzano nel procedimento penale a carico di Palagi Pietro, iscritta al n. 569 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 dell'anno 1983.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri:

udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1985 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'Avvocato dello Stato Carlo Carbone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con tre diverse ordinanze, i pretori di Asti (ordinanza emessa in data 9 giugno 1981, n. 546 del reg. ord. 1981), di Salò (ordinanza emessa in data 12 gennaio 1982, n. 107 del reg. ord. 1982) e di Borgo a Mozzano (ordinanza emessa in data 21 giugno 1982, n. 569 del reg. ord. 1982) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 2 aprile 1968, n. 482, che disciplina l'obbligo di assunzione di lavoratori invalidi da parte di aziende private, laddove detta norma non prevede la facoltà del datore di lavoro di rifiutare l'assunzione di lavoratore precedentemente licenziato per giusta causa, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione.

Devesi rilevare che la questione suddetta é stata sollevata dai pretori di Asti e di Borgo a Mozzano nel corso di procedimenti penali che vedono imputati datori di lavoro rifiutatisi di assumere lavoratori invalidi precedentemente licenziati per giusta causa, mentre il pretore di Salò, nel corso di un procedimento di lavoro promosso da un lavoratore invalido avviato all'assunzione obbligatoria e non assunto siccome aveva in precedenza rassegnato le dimissioni dalla stessa azienda per non incorrere in denuncia penale, ha sollevato questione di costituzionalità oltreché dell'art. 10 anche dell'art. 11 della citata legge n. 482 del 1968 nella parte in cui le dette norme non prevedono la possibilità, per il datore di lavoro, di rifiutare l'assunzione di lavoratori precedentemente licenziati o comunque dimessisi per motivi riguardanti il rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro.

A sostegno della prospettata questione si assume che il quinto comma dell'art. 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264, espressamente prevede, per ciò che attiene al collocamento ordinario, che il datore di lavoro possa rifiutare di assumere lavoratori, avviati dall'ufficio competente, i quali siano stati da lui licenziati per giusta causa.

Tale facoltà non é prevista in caso di collocamento obbligatorio; la disparità di trattamento che ne consegue violerebbe l'art. 3 della Costituzione, in quanto la ratio delle disposizioni di cui all'art. 15 della legge n. 264 del 1949, appare pienamente operante anche nel caso di collocamento obbligatorio.

Una siffatta disciplina violerebbe altresì l'art. 41 della Costituzione, in quanto inciderebbe sull'organizzazione economica dell'impresa imponendo all'imprenditore di rivedere la propria organizzazione produttiva per reinserire un lavoratore in precedenza licenziato per giusta causa.

La rilevanza della cennata questione é motivata in tutti e tre i giudizi; va al riguardo rilevato che il pretore di Salò cita giurisprudenza secondo la quale le dimissioni del lavoratore originate da timore di denuncia penale sono assimilabili al licenziamento per giusta causa.

É intervenuto in tutti e tre i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata "non rilevante o comunque infondata".

Assume l'Avvocatura nell'atto d’intervento che il dubbio di costituzionalità avanzato dai tre giudici a quo sia frutto di un non adeguato sforzo ermeneutico; in realtà, l'art. 15, quinto comma, della legge n. 264 del 1949 sarebbe riferibile anche al collocamento obbligatorio, "in quanto enunciativo di un principio generale".

Se la distinzione fra le due ipotesi di avviamento al lavoro riguarda la modalità con cui si perviene alla costituzione del rapporto, per il resto la disciplina generale del rapporto di lavoro rimane immutata; ne consegue che non potrebbe dirsi elusa dalla disciplina peculiare del collocamento obbligatorio la necessità che l'inserimento della persona nell'organizzazione produttiva risponda a quei naturali requisiti del rapporto di lavoro attinenti alla reciproca fiducia e collaborazione tra le parti.

Un dato normativo in tal senso sarebbe ravvisabile nell'art. 10 della legge n. 482 del 1968, laddove chiarisce che il trattamento giuridico e normativo del rapporto instauratosi a seguito di collocamento obbligatorio é identico a quello dell'ordinario rapporto di lavoro.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze dei tre pretori di Asti, di Salò e di Borgo a Mozzano indicate in epigrafe e riassunte in narrativa, ancorché emesse due in sede di giudizio penale e una in sede di procedimento di lavoro, sollevano la stessa questione. I relativi giudizi possono quindi essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - L'art. 15, comma quinto, della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori disoccupati) stabilisce che "il datore di lavoro può rifiutare di assumere lavoratori, avviati dall'ufficio competente, i quali siano stati precedentemente da lui licenziati per giusta causa".

Una simile disposizione non é contenuta né nell'art. 11 né nell'art. 10 della legge 2 aprile 1968, n. 482 (Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private) che regolano rispettivamente l'obbligo dei privati datori di lavoro con oltre 35 dipendenti di "assumere lavoratori appartenenti alle categorie indicate nel precedente titolo" (cioé: invalidi di guerra e per servizio, invalidi del lavoro, invalidi civili, non vedenti, sordomuti, orfani e vedove di guerra, per servizio e per lavoro), e l'applicazione, "a coloro che sono assunti al lavoro in forza della presente legge", del "normale trattamento economico giuridico e normativo".

I pretori di Asti e di Borgo a Mozzano (n. 546 del reg. ord. 1981 e n. 569 del reg. ord. 1982), chiamati a giudicare in sede penale della violazione dell'obbligo di assunzione di due lavoratori già loro dipendenti licenziati per giusta causa, e il pretore di Salò (n. 107 del reg. ord. 1982), chiamato in sede civile a ordinare l'assunzione di un lavoratore che in precedenza si era dimesso volontariamente per evitare il licenziamento (situazione che il pretore, in conformità della giurisprudenza della Cassazione, reputa assimilabile al licenziamento per giusta causa), ritengono tutti che la mancata espressa previsione anche nella normativa relativa alle assunzioni obbligatorie della facoltà del datore di lavoro di rifiutare l'assunzione di lavoratori precedentemente da lui licenziati per giusta causa vada interpretata come negazione di tale facoltà. Dal che conseguirebbe per il pretore di Borgo a Mozzano la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per i pretori di Asti e di Salò la violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione.

3. - La questione non é fondata.

Come giustamente eccepisce l'Avvocatura dello Stato nel suo atto d’intervento, é errata l’interpretazione della normativa che ne costituisce il presupposto.

Infatti é vero che né l'art. 10 della legge n. 482 del 1968 denunciato di incostituzionalità dai pretori di Asti e di Borgo a Mozzano, né l'art. 11, insieme col 10, denunciato dal pretore di Salò, riproducono le disposizioni dell'art. 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264 che accorda al datore di lavoro la facoltà di rifiutare l'assunzione di lavoratori avviati dall'Ufficio competente, precedentemente dallo stesso datore licenziati per giusta causa, ma da ciò non consegue che il legislatore della legge n. 482 abbia voluto escludere tale facoltà, perché essa era scritta, con valore di principio generale, nella legge n. 264 che regola l'avviamento al lavoro, attraverso gli uffici di collocamento, dei lavoratori involontariamente disoccupati.

Basti considerare che anche gli aventi diritto all'assunzione obbligatoria di cui alla legge n. 482 appartengono alla categoria dei disoccupati involontari che vengono assunti attraverso gli uffici di collocamento.

Infatti tanto il datore di lavoro che deve assumere lavoratori per le esigenze della sua azienda, a sua richiesta e nel numero da lui determinato, tanto il datore di lavoro tenuto ad assumere lavoratori disoccupati delle categorie indicate nella legge n. 482, sono obbligati ad assumere i lavoratori iscritti nelle rispettive liste dell'Ufficio di collocamento (titolo II della legge n. 264 del 1949; titolo III della legge n. 482 del 1968). Quindi deve ritenersi che anche nelle assunzioni obbligatorie valgano i principi generali del collocamento dei lavoratori disoccupati non incompatibili con i principi specifici delle assunzioni obbligatorie.

Si può dunque pervenire alla conclusione (accolta espressamente in qualche decisione di merito e che appare implicita nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno ritenuto valida, anche per i contratti di assunzione obbligatoria, l'inserzione del patto di prova) che la disposizione del quinto comma dell'art. 15 della legge n. 264 sia fra quelle applicabili anche nell'ambito delle assunzioni obbligatorie di cui alla legge n. 482 del 1968.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 della legge 2 aprile 1968, n. 482 (Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso la pubblica amministrazione e le aziende private) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dai pretori di Asti, Salò e Borgo a Mozzano con le ordinanze di cui in epigrafe (n. 516 del reg. ord. 1981 e nn. 107 e 569 del reg. ord. 1982).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 marzo 1985.

Leopoldo ELIA - Oronzo REALE

Depositata in cancelleria il 1 aprile 1985.