Sentenza n.85 del 1985

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SENTENZA N. 85

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), promossi con ordinanze emesse il 9 maggio 1977, il 9 dicembre 1977, il 12 ottobre 1977, il 7 giugno 1978 e il 13 marzo 1979 dalle Commissioni tributarie di 1 grado di Verbania, Latina, Como, Milano e Pistoia, iscritte al n. 427 del registro ordinanze 1977, ai nn. 143, 328 del registro ordinanze 1978, ai nn. 89 e 839 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 306 dell'anno 1977, nn. 138 e 271 dell'anno 1978, n. 112 dell'anno 1980 e n. 56 dell'anno 1981.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1985 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Le Commissioni tributarie di primo grado di Verbania, Latina e Milano, con ordinanze rispettivamente del 9 maggio e 9 dicembre 1977 e del 7 giugno 1978, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell'art. 3 Legge 12 novembre 1976, n. 751 (norme per la determinazione e riscossione delle imposte dirette sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria) nella parte in cui subordina l'imputabilità dei redditi dei figli minori per metà a ciascuno dei genitori a condizione che essi siano entrambi titolari di reddito proprio.

Secondo i giudici a quibus tale disposizione violerebbe i principi di uguaglianza e di proporzionalità dell’imposizione alla capacità contributiva, in quanto, nei casi in cui, come in quelli di specie, sussistono redditi imponibili di un solo genitore e del figlio, il primo é sottoposto al cumulo dei due redditi, con conseguente aliquota maggiore; mentre quando anche la madre del minore sia titolare di reddito, sia pur minimo, il reddito del figlio si cumula per metà con quello di ciascuno dei genitori, che viene quindi assoggettato ad un’aliquota inferiore.

2. - Anche la Commissione tributaria di primo grado di Pistoia solleva la stessa questione (ordinanza del 13 marzo 1979) impugnando però l'art. 1 della legge n. 751/1976, sempre nella parte (commi primo e secondo) in cui dispone che i redditi dei figli minori siano imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare solo allorché entrambi i genitori siano provvisti di redditi propri.

3. - Infine la Commissione tributaria di primo grado di Como, con l'ordinanza del 12 ottobre 1977, impugna le stesse norme (artt. 1, primo comma, e 3, primo comma, della legge n. 751/1976), ma oltre che sotto il profilo di cui al n. 1, anche sotto quello della mancata esclusione dai redditi imputabili ai genitori dei redditi di lavoro dei figli minori. Assume l'ordinanza di rimessione che per effetto della nuova formulazione dell'art. 324 c.c. (che esclude dall'usufrutto legale i beni acquistati dai figli con i proventi del loro lavoro) non si vede perché ai fini dell'imposizione tributaria, i genitori debbano presentare una maggiore capacità contributiva per l'esistenza di redditi, come quelli dei minori, di cui non hanno legalmente la disponibilità.

Risulterebbero quindi violati secondo il giudice a quo: il principio della proporzionalità dell'imposizione alla capacità contributiva (art. 53 Cost.); quello dell'uguaglianza giuridica dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.); della loro parità di doveri nel mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.); della tutela della famiglia e dell'agevolazione dei compiti relativi (art. 31 Cost.), per il maggiore onere tributario che deriva dal concorso dei redditi in capo al solo genitore reddituario.

4. - É intervenuto in tutti i giudizi (salvo quello proposto dalla Commissione tributaria di Pistoia) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato con atti tutti anteriori alla sentenza n. 266/1983 di questa Corte, assumendo l'infondatezza delle questioni sollevate.

Ragionevole appare, infatti, secondo l'Avvocatura dello Stato, la scelta del legislatore di imputare i redditi dei figli minori in parti uguali al reddito complessivo di ciascuno dei coniugi. Altrimenti - si argomenta - dividendo per metà, nell'ipotesi in cui uno dei genitori non abbia alcun reddito, si esonererebbe dall'imposizione tributaria la metà del reddito dei figli. L'Avvocatura osserva, inoltre, che le norme - di carattere peraltro transitorio - non contrastano con il sistema normale relativo alla cumulabilità dei redditi dei figli minori, ai sensi dell'art. 4, lett. b), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (che dispone che al reddito del contribuente si cumulano i redditi dei figli minori non emancipati con lui conviventi, compresi i figli naturali, i figli adottivi, gli affiliati e i figli dell'altro coniuge; dei quali cioé il contribuente abbia sostanzialmente la disponibilità) e dell'art. 4, lett. e), Legge 13 aprile 1977, n. 114, emanato dopo l'entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia, il quale dispone che i redditi dei beni dei figli minori soggetti all'usufrutto legale dei genitori siano imputati per metà del loro ammontare netto a ciascun genitore, e che se vi sia un solo genitore o se ad uno solo spetti l'usufrutto legale, i redditi gli siano imputati per l'intero ammontare.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze in epigrafe prospettano questioni di costituzionalità sostanzialmente identiche e comunque connesse: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - La questione sollevata con le ordinanze delle Commissioni tributarie di primo grado di Verbania, Latina e Milano é stata già risolta sotto gli stessi profili da questa Corte con la sentenza n. 266 del 20 settembre 1983, che ne ha dichiarato l'infondatezza; essa va quindi dichiarata manifestamente infondata.

3. - La Commissione tributaria di Pistoia solleva la medesima questione (essendo anche identica la disposizione impugnata, che risulta dal combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge n. 751 del 1976) sotto due profili: il primo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, identico a quello prospettato nel giudizio deciso con la sentenza già sopra indicata il secondo, in relazione all'art. 29 della Costituzione, per il dubbio che la norma impugnata - considerando in sostanza il lavoro della "casalinga" in seno alla famiglia non di pari dignità rispetto a quello prestato per conto terzi, tanto da negarle di essere produttrice di reddito - collocherebbe "la donna in una posizione subalterna rispetto al marito", in contrasto con il principio della parità morale e giuridica dei coniugi.

Anche questo profilo, tuttavia, viene ad essere ricompreso nel principio affermato nella citata sentenza di questa Corte n. 266 del 1983, secondo il quale compete al legislatore apprestare adeguati rimedi ai possibili effetti distorsivi del sistema di tassazione separata del reddito dei coniugi, operando le più convenienti scelte normative nell'ambito del suo potere discrezionale, il cui esercizio si sottrae al sindacato di legittimità costituzionale tutte le volte che non sconfini nell'irrazionalità o nell'arbitrio. E la scelta del legislatore con la norma impugnata "non é censurabile - si legge nella sentenza - in sede di legittimità costituzionale perché trova razionale giustificazione nel proposito di non conferire soggettività tributaria al coniuge privo di reddito solo per effetto della sussistenza di reddito proprio dei figli minori".

Anche tale questione risulta pertanto manifestamente infondata.

4. - Le questioni sollevate dalla Commissione tributaria di primo grado di Como sono sostanzialmente due. Con la prima di esse vengono impugnate le stesse norme (artt. 1, primo comma, e 3, primo comma, della legge n. 751 del 1976) nella parte in cui subordinano l'imputabilità dei redditi dei minori per metà a ciascuno dei coniugi solo se entrambi siano titolari di reddito; con la seconda questione invece le stesse norme vengono impugnate, in riferimento agli artt. 53 e 31 - nonché agli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione, senza peraltro offrire un'adeguata motivazione - nella parte in cui esse imputano ai genitori i redditi da lavoro dei figli minori.

La prima questione - come si é detto - é stata già risolta dalla sentenza di questa Corte più volte citata n. 266 del 1983 e conseguentemente va dichiarata manifestamente infondata.

La seconda, per il diverso profilo con cui le norme vengono denunciate, si presenta in modo del tutto diverso in quanto censura il criterio di attribuire al reddito dei genitori quello dei figli minori provenienti da attività lavorative. La questione tuttavia é da ritenersi infondata, proprio alla luce dei principi affermati da questa Corte nelle sue precedenti decisioni (sentenze nn. 76 e 266 del 1983).

Infatti, dovendo il legislatore adattare in via transitoria, e quindi limitatamente ai redditi per gli anni 1974 e precedenti, la preesistente normativa al nuovo sistema di tassazione separata del reddito dei coniugi, rientrava pienamente nell'ambito della sua scelta discrezionale rispettare, per quanto riguardava il reddito dei figli minori, il criterio di tassazione all'epoca vigente, quale era definito dall'art. 4, lett. b) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che imputava al padre, ai fini della determinazione del reddito complessivo, "i redditi dei figli minori non emancipati conviventi con il contribuente, compresi i figli naturali, i figli adottivi, gli affiliati e i figli dell'altro coniuge".

Senza toccare, quindi, il criterio generale di imputare ai genitori i redditi dei figli minori, il legislatore si é limitato ad attribuirli per metà a ciascuno di essi, purché titolare di reddito proprio. Né infirmava la razionalità della sua scelta l'intervenuta riforma del diritto di famiglia, a seguito della legge 19 maggio 1975, n. 151, dal momento che si trattava di regolare in via transitoria la tassazione relativa al 1974 ed agli anni precedenti; quindi ad un'epoca anteriore alla sopraggiunta riforma.

Del tutto razionale - rispetto al sistema normativo vigente nel periodo considerato - era pertanto il criterio adottato dal legislatore con la norma impugnata ed esorbita, quindi, dal giudizio di questa Corte sindacare l'esercizio del suo potere discrezionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) - dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 12 novembre 1976, n. 751 sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 29 della Costituzione, dalle Commissioni tributarie di primo grado di Verbania, Latina, Milano, Como e Pistoia con le ordinanze indicate in epigrafe;

b) - dichiara non fondata la seconda questione di legittimità costituzionale delle stesse norme sollevata, in relazione agli artt. 3, 53, 29, 30 e 31 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Como con l'ordinanza del 12 ottobre 1977 (r.o. n. 328/1978).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Depositata in cancelleria il 28 marzo 1985.