Sentenza n.73 del 1985

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SENTENZA N. 73

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3, lett. c) della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), promossi con ordinanze emesse il 2 gennaio 1979 dal Pretore di Lecce, il 13 giugno 1980 dal Pretore di Roma, il 21 maggio 1982 dal Pretore di Perugia, il 19 ottobre 1982 dal Pretore di Cagliari, il 25 gennaio 1983 dal Pretore di Como, il 26 gennaio 1983 dal Pretore di Chieti, il 9 novembre 1982 dal Pretore di Roma, il 22 gennaio 1983 dal Pretore di Ferrara, il 7 giugno 1983 dal Pretore di Mantova, il 18 novembre 1983 dal Pretore di Pescara, il 15 febbraio 1984 dal Pretore di Bologna, il 18 ottobre 1983 dal Pretore di L'Aquila, il 19 dicembre 1983 dal Pretore di Firenze, iscritte al n. 304 del registro ordinanze 1979; al n. 643 del registro ordinanze 1980; ai nn. 616 e 843 del registro ordinanze 1982; ai nn. 154, 155, 240, 241 e 700 del registro ordinanze 1983; ai nn. 74, 364, 583 e 593 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 dell'anno 1979, n. 304 dell'anno 1980, nn. 46, 121, 198, 212, 219 dell'anno 1983 e nn. 141, 259, 294 dell'anno 1984.

Visti gli atti di costituzione di De Vito Agostino, Pianigiani Vittorio, Grossi Raffaele e Visconti Ermando;

udito nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1985 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi l'avv. Mario De Giorgi per De Vito Agostino e Visconti Ermando e l'avv. Piergiovanni Piscione per Pianigiani Vittorio.

 

Ritenuto in fatto

 

I Pretori di Lecce, con ordinanza emessa il 2 gennaio 1979, in causa De Vito c/INADEL, di Roma con ordinanze 13 giugno 1980 in causa Pianigiani c/INADEL e 9 novembre 1982 in causa Sergi c/INADEL, di Perugia con ordinanza 21 maggio 1982 in causa Moretti c/INADEL, di Cagliari con ordinanza 19 ottobre 1982 in causa Mainas c/INADEL, di Ferrara con ordinanza 22 gennaio 1983 in causa La Rosa c/INADEL, di Como con ordinanza 25 gennaio 1983 in causa Vago c/INADEL, di Chieti con ordinanza 26 gennaio 1983 in causa Dell'Osa c/INADEL, di Mantova con ordinanza 7 giugno 1983 in causa Grossi c/INADEL, de L'Aquila con ordinanza 18 ottobre 1983 in causa Visconti c/INADEL, di Pescara con ordinanza 18 novembre 1983 in causa Faricelli c/INADEL, di Firenze con ordinanza 19 dicembre 1983 in causa Labrun c/INADEL, di Bologna con ordinanza 15 febbraio 1984 in causa Landi c/INADEL, rimettevano a questa Corte la decisione della questione ritenuta rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata, sollevata dinanzi a loro in via subordinata, della legittimità costituzionale dell'art. 3 lett. c) della legge 8 marzo 1968, n. 152 per violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto sussisteva disparità di trattamento tra la vedova dell'assicurato INADEL ed il vedovo.

Rilevavano che la detta norma, mentre per la vedova sposata prima del cinquantesimo anno di età richiedeva solo la condizione dell’insussistenza della separazione legale per colpa, dichiarata con sentenza passata in giudicato, per il vedovo richiedeva, oltre detta condizione, anche quella del vivenza a carico della moglie alla data della di lei morte, l’inabilità a proficuo lavoro oppure il compimento di sessantacinque anni di età.

Osservavano i giudici a quibus che la sancita disparità di trattamento in danno del vedovo era fondata solo sulla diversità di sesso.

Il Pretore di Roma, inoltre, con l'ordinanza emessa in data 13 giugno 1980, riferiva il dubbio di costituzionalità della citata norma anche alla disparità di trattamento del vedovo di assicurata presso l'INADEL rispetto al vedovo della dipendente statale deceduta in attività di servizio in tema di riscossione dell’indennità di buonuscita per cui non si richiedeva alcun requisito particolare.

Rilevava che la norma di previsione del trattamento paritario del vedovo e della vedova dei dipendenti statali deceduti in attività di servizio ossia l'art. 5, primo comma, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 177 non sancisce alcuna differenza in ragione del sesso tra i coniugi superstiti aventi diritto all’indennità di buonuscita.

Gli stessi Pretori disattendevano la questione principale sollevata dinanzi ad essi secondo cui l'art. 3 lett. c) della legge 8 marzo l968, n. 152, che disciplinava la corresponsione in forma indiretta da parte dell'INADEL al vedovo dell'assicurata, della indennità premio di servizio in modo difforme rispetto alla vedova in quanto per questa ultima richiedeva solo la condizione della insussistenza di separazione legale per colpa, dichiarata con sentenza passata in giudicato, mentre per il vedovo richiedeva, oltre la detta condizione, anche quella della vivenza a carico della moglie al momento della di lei morte, la inabilità a proficuo lavoro oppure il compimento del sessantacinquesimo anno di età, era stato abrogato dall'art. 19 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 perché l'art. 11 della stessa legge n. 903 del 1977, anche per la corresponsione in forma indiretta della indennità premio di presenza, aveva parificato il trattamento dell'uomo a quello fatto alla donna.

Il Pretore di Lecce riteneva che nella fattispecie sottoposta al suo esame, la norma non trovava applicazione in quanto la morte dell'assicurata era avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge 903 del 1977, mentre essa, per espressa disposizione, si applicava solo ai casi in cui la morte era avvenuta posteriormente alla sua entrata in vigore.

Gli altri Pretori ritenevano, invece, che l'indennità premio di servizio non poteva considerarsi disciplinata dalla norma suddetta in quanto la previsione normativa si riferiva solo ai trattamenti pensionistici propriamente detti, intesi cioé in senso restrittivo.

I Pretori di Cagliari, di Como, di Roma, di Firenze denunciavano anche il contrasto della norma de qua con l'art. 29 Cost.. Ed osservavano che i redditi provenienti dall'attività della moglie e del marito, in costanza di matrimonio, hanno l’identica e paritaria destinazione al soddisfacimento dei bisogni della famiglia secondo quanto stabilito dall'art. 143 c.c. (testo vigente), in attuazione proprio del principio contenuto nella citata norma costituzionale.

Detta norma, infatti, diretta a garantire la parità dei coniugi nell'ambito del rapporto matrimoniale, conterrebbe, a loro avviso, una garanzia sostanzialmente identica anche oltre la morte di uno di essi, dal momento che la situazione del presunto bisogno, cui la indennità premio di servizio in forma indiretta é destinata a sopperire, si pone negli stessi termini quale che sia il coniuge, soprattutto in considerazione della frequenza assunta dal lavoro femminile nell'odierno assetto economico-sociale.

Il Pretore di Como denunciava altresì la violazione dell'art. 38 Cost. rilevando che la detta norma, nel proclamare il diritto all’assistenza sociale di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere, "non distingue tra diritto all'assistenza della moglie e diritto all'assistenza del marito".

Il Pretore di Firenze denunciava anche la violazione dell'art. 37 Cost. come norma che specifica il più generale principio di uguaglianza, con riferimento ai lavoratori, la cui parità di trattamento deve prescindere dal sesso.

I Pretori di Lecce, di Chieti, di Ferrara, di Pescara, di Bologna, de L'Aquila, di Firenze, investivano anche l'ulteriore condizione posta dalla medesima norma, vale a dire quella dell'avvenuta contrazione del matrimonio, da parte dell'iscritta, prima del cinquantesimo anno di età.

Tutte le ordinanze de quibus sono state regolarmente pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

Nei giudizi promossi con le ordinanze del Pretore di Lecce, di Roma, di Mantova e de L'Aquila si sono costituite le parti private, depositando memorie di contenuto adesivo alle argomentazioni svolte con detti atti di rimessione.

Nell' imminenza della pubblica udienza ha presentato memoria Visconti Ermando. Con essa, egli ha insistito sulla tesi dell’avvenuta abrogazione dell'art. 3. secondo comma. lett. c) della legge n. 152 del 1968 da parte del combinato disposto degli artt. 11 e 19 della legge n. 903 del 1977 sulla parità tra uomo e donna ed ha poi dedotto che, a suo avviso, la declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma denunciata si imporrebbe anche alla luce della sentenza di questa Corte n. 6 del 1980.

 

Considerato in diritto

 

I giudizi, che hanno per oggetto questioni sostanzialmente identiche, possono essere riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

1. - I Pretori, con le ordinanze di rimessione a questa Corte della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 lett. c) della legge 8 marzo 1968, n. 152 in quanto sancirebbe una disparità di trattamento tra vedove e vedovi di persone assicurate presso l'INADEL per il diritto alla riscossione in forma indiretta dell'indennità premio di servizio richiedendo per le une e per gli altri condizioni diverse, hanno disatteso la tesi principale sostenuta dagli attori e cioé l'avvenuta abrogazione di detta norma ai sensi dell'art. 19 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 per essere stata la materia disciplinata dall'art. 11 della detta legge n. 903 del 1977 sulla parità in materia di lavoro tra uomo e donna.

Questa norma, secondo l'assunto degli attori, avrebbe esteso, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata, tra le altre prestazioni e trattamenti, anche l'indennità premio al servizio.

La questione é stata riproposta specificamente in questa sede dalla difesa di Visconti Ermando (ord. del 18 ottobre 1983 del Pretore de L'Aquila), ribadita nella memoria presentata in occasione dell'udienza pubblica.

I detti Pretori hanno motivato la loro decisione con due distinte considerazioni: una formulata dal Pretore di Lecce (ord. 2 gennaio 1979 in causa De Vito Agostino c/INADEL) e l'altra, di contenuto sostanzialmente identico, da tutti gli altri Pretori.

Il Pretore di Lecce ha ritenuto che l'art. 11 della legge n. 903 del 1977 non trovava applicazione nella fattispecie sottoposta al suo giudizio in quanto la morte dell'assicurata era avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 mentre la legge avrebbe trovato applicazione solo se la morte fosse avvenuta posteriormente alla sua entrata in vigore.

Gli altri Pretori hanno, invece, negato l'applicazione della norma de qua in quanto essa disciplinerebbe solo i trattamenti pensionistici in senso stretto tra i quali, a loro avviso, non poteva comprendersi l'indennità premio di servizio.

Ora, la considerazione del Pretore di Lecce non ha giuridico fondamento in quanto questa Corte, con la sentenza n. 6 del 26 gennaio 1980 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'ultimo inciso del richiamato art. 11, primo comma, della legge in esame proprio limitatamente alle parole "deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge". La norma, quindi, trova applicazione in tutte le fattispecie, sia che la morte sia avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge, sia prima, e, quindi, anche nella fattispecie esaminata dal Pretore di Lecce. Questi, in verità, non aveva potuto tenere conto della decisione surrichiamata in quanto la sua ordinanza é stata emanata in epoca anteriore (2 gennaio 1979).

2. - Va rilevato che la norma de qua é stata interpretata nel senso dell’applicabilità anche all’indennità premio di servizio da altri giudici di merito (Pret. Ferrara, n. 34/82; Trib. Ferrara, 7 giugno 1982; Trib. Roma, 16 febbraio 1983), ma non risulta essere stata sottoposta al giudizio della Corte di Cassazione. Pertanto, l' oscillante interpretazione di cui hanno dato prova i giudici di merito e la carenza di pronunce del giudice cui spetta la funzione di nomofilachia, impongono alla Corte di procedere in via autonoma alla individuazione del significato da assegnarsi alla norma stessa.

3. - Giova riportare il testo dell'art. 11 (ovviamente senza l'inciso di cui é stata dichiarata la illegittimità costituzionale). Esso, al primo comma, dispone che "le prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata"; al secondo comma stabilisce, tra l'altro, che "la disposizione di cui al precedente comma si applica anche ai dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici nonché in materia di trattamenti pensionistici sostitutivi od integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti".

L'art. 19 della stessa legge stabilisce che "sono abrogate le disposizioni legislative in contrasto con le norme della presente legge".

Ritiene anzitutto la Corte che, tale essendo il riportato testo legislativo, l’interpretazione restrittiva seguita dai giudici a quibus, secondo cui la norma disciplina solo i trattamenti pensionistici in senso stretto, non trova fondamento in relazione alla lettera della legge dando alle parole usate dal legislatore l'esatto e corretto significato.

Questi invero ha fatto uso di una parola generica pluricomprensiva. E cioé ha considerato "i trattamenti" fatti ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici senza peraltro far riferimento a determinati istituti o enti erogatori, onde é quanto meno azzardato ritenere che tale termine sia riferibile solo alle pensioni in senso stretto. Tanto più se l'espressione usata si raffronti con quella usata nel primo comma, ove risultano disciplinate "le prestazioni", termine questo comprensivo certamente dei trattamenti anche diversi dalle pensioni. Vale, poi, anche quanto é espressamente detto nel secondo comma, in cui ci si é riferiti ai "trattamenti sostitutivi ed integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per la vecchiaia, l'invalidità ed i superstiti" nonché "ai trattamenti" senza alcuna qualificazione.

Ma a fugare ogni residuo dubbio ed a sorreggere la più corretta interpretazione soccorre la stessa ratio della legge.

É certo che il legislatore ha voluto attuare l’eguaglianza di trattamento per l'uomo e per la donna in materia di lavoro, sia in costanza del rapporto di lavoro, sia successivamente, alla cessazione del rapporto, per tutti i profili assicurativi, assistenziali e previdenziali, in osservanza dei principi costituzionali tra cui quelli dettati dagli artt. 3, 29, 37 Cost., cui peraltro il legislatore si era specificamente adeguato con la legge 19 maggio 1975, n. 151 di riforma del diritto di famiglia, cui la moglie, in perfetta parità con il marito, é tenuta a soddisfare i bisogni della famiglia in relazione alle proprie sostanze, alle proprie capacità di lavoro, professionale e casalingo (sent. Corte cost. 214/84).

Una diversa e restrittiva interpretazione renderebbe la norma parziale e settoriale e frustrerebbe le intenzioni del legislatore.

Riscontro dell’esattezza di quanto é ritenuto si rinviene nella relazione del ministro del lavoro dell'epoca, allegata al disegno di legge poi approvato dal Parlamento, ove é testualmente detto che, analogamente, modifiche devono intendersi apportate alla disciplina vigente apprestata da tutti gli ordinamenti pensionistici, nonché nei lavori preparatori ove é specificamente detto che la legge ha voluto accogliere ed applicare il principio di parità anche nel campo previdenziale, eliminando ogni residua discriminazione e che il significato di quanto previsto nell'art. 11 in termini di affermazione di principio, si deve inquadrare nella condizione generale del sistema previdenziale.

Di questo sistema fa parte indubbiamente l’indennità premio di servizio che, secondo quanto ritenuto anche da questa Corte (sent. 25 luglio 1979, n. 115; sent. 28 gennaio 1983, n. 46) nonché dalla Corte di Cassazione (sent. 2551/84; 6043/ 83; 2886/83; 4792/82; 1316/79), ha natura previdenziale ed assistenziale ed é un vero e proprio trattamento integrativo della pensione; si pone, cioé, accanto alla pensione, alle altre indennità o prestazioni, nell'ambito del trattamento di quiescenza in favore del personale collocato a riposo o comunque cessato dal servizio o di altri superstiti.

La detta qualificazione trova fondamento nelle leggi che l'hanno istituita e disciplinata, tra cui quella fondamentale dell'8 marzo 1968, n. 152 che in vari articoli (artt. 1, 2) la indica come trattamento di previdenza.

Essa é correlata a contribuzioni versate dai dipendenti assicurati e dalle stesse amministrazioni pubbliche a titolo di trattamento previdenziale; é erogata dall'apposito ente (l'INADEL) che riscuote e gestisce i contributi che danno vita ad un fondo di previdenza ad integrazione della pensione. Proprio per la suindicata natura questa Corte ne ha esteso l’erogazione anche a coloro che, pur avendo diritto alla pensione di riversibilità, non erano compresi specificamente nella disciplina normativa, dichiarata, per tale ragione, costituzionalmente illegittima (sent. 115/79; 110/81; ord. 26 novembre 1981, n. 197).

L'art. 17 della stessa legge n. 152 del 1968 faceva poi divieto alle amministrazioni degli enti locali di corrispondere trattamenti supplementari di fine servizio e pensionistici in favore dei propri iscritti in aggiunta al trattamento dovuto dagli enti previdenziali, ai quali il personale medesimo é iscritto per legge.

Inoltre, la legge 20 marzo 1975, n. 70, che ha riordinato gli enti pubblici ed il rapporto di lavoro del personale dipendente, ha previsto a favore del personale, all'atto della cessazione del servizio, un’indennità di anzianità a totale carico dell'ente (art. 13), ma ha mantenuto (art. 14) per il personale in servizio o cessato dal servizio, al momento della sua entrata in vigore, i fondi integrativi di previdenza, tra i quali é da comprendersi l'indennità premio di servizio (Cass. 6043/83) accanto ai trattamenti pensionistici variamente disciplinati (o dalla legge sull'assicurazione generale obbligatoria o da speciali disposizioni di legge che prevedono trattamenti pensionistici sostitutivi o che comportano l’esclusione o l'esonero dall'assicurazione stessa).

Pertanto, in base alla seguita interpretazione, l'art. 11 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 regola anche la erogazione da parte dell'INADEL della indennità premio di servizio in forma indiretta al vedovo della iscritta che ne ha maturato il diritto, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'iscritto.

Conseguentemente, per effetto dell'art. 19 della stessa legge n. 903 del 1977, che ha intento abrogativo generale, stante la inconciliabilità delle norme con riferimento alla diversa ratio dei due ordini normativi, l'art. 3 lett. c) della legge n. 152 del 1968 risulta abrogato, e quindi inapplicabile nei giudizi a quibus, nella parte in cui richiede, per l'erogazione dell'indennità premio di servizio al vedovo dell'iscritta, condizioni diverse e più limitative di quelle richieste per la vedova e cioé soltanto la non avvenuta separazione legale per colpa, dichiarata con sentenza passata in giudicato.

Non sono, quindi, fondate le questioni di costituzionalità per tutti i profili indicati dalle ordinanze.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 lett. c) della legge 8 marzo 1968, n. 152, sollevate, con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 29, 37 e 38 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1985.

Leopoldo ELIA - Francesco GRECO

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1985.