Sentenza n.71 del 1985

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SENTENZA N. 71

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

AVV. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

AVV. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, legge 24 maggio 1970, n. 336 (Norme in favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati), art. 3, ultimo comma, legge 9 ottobre 1971, n. 824, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1978 dal Pretore di Napoli nella causa di lavoro vertente tra Renzulli Francesco e A.M.A.N., iscritta al n. 577 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 1979.

Visto l'atto di costituzione di Renzulli Francesco, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984 il Giudice relatore Ettore Gallo;

uditi l'avv. Claudio Rossano per Renzulli e l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente dei Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso della causa del lavoro vertente fra Renzulli Francesco, dirigente, e l'Azienda municipalizzata dell'Acquedotto di Napoli (AMAN), il pretore di Napoli, con ordinanza 30 maggio 1978, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma primo, l. 24 maggio 1970, n. 336 e dell'art. 3, ultimo comma, l. 9 ottobre 1971, n. 824 per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.: e ciò nella parte in cui le dette disposizioni prevedono che gli aumenti periodici di stipendio, attribuiti in aggiunta a quelli consentiti come limite massimo dai rispettivi ordinamenti o contratti collettivi di lavoro, siano concessi nella misura prevista per i dipendenti civili dello Stato.

Secondo l'ordinanza, ciò costituirebbe un'ingiustificata disparità di trattamento all'interno della generale categoria dei dipendenti pubblici, in quanto i dipendenti dello Stato percepiscono tutti gli aumenti periodici (e non soltanto quelli eccedenti il limite massimo previsto) in misura inferiore a quella prevista per talune categorie di dipendenti da Enti pubblici diversi dallo Stato.

Nella specie i dipendenti dell'AMAN, percependo scatti quinquennali pari al decimo dello stipendio o salario ultimo goduto, vengono a ricevere, per i tre aumenti straordinari previsti dalle leggi impugnate, un aumento del 30% complessivo rapportato all'ultimo stipendio: mentre per gli statali, essendo gli scatti biennali del 2,50%, l'aumento complessivo per i tre scatti straordinari concessi é del 7,50%.

La violazione, poi, dell'art. 97 Cost. sarebbe una conseguenza ulteriore della denunciata sperequazione, in quanto pregiudizievole anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Si é costituito nel giudizio Francesco Renzolli, in allora rappresentato e difeso dal compianto prof. avv. Aldo Sandulli, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

Con successiva memoria 30 aprile 1984, presentata dai nuovi difensori prof. avv. Claudio Rossano e avv. Guido Parlato, veniva anche dedotta l'inammissibilità per difetto di rilevanza, osservandosi che all'udienza davanti al pretore le parti erano virtualmente addivenute ad un accordo negoziale in ordine al saldo netto dovuto, di cui il Giudice avrebbe già in allora dovuto prendere atto pronunziando sentenza di condanna. Irrilevante, perciò, sarebbe un'eventuale declaratoria d’illegittimità costituzionale, che il giudice comunque non potrebbe utilizzare dovendo soltanto sanzionare con sentenza quell'accordo.

D'altra parte, poi, il Renzulli in tanto aveva presentato domanda di quiescenza in quanto l'AMAN si era impegnata a corrispondere quel trattamento, ai dipendenti interessati alle leggi di esodo, mediante Delibera n. 18/1973, mai revocata. Il che avrebbe posto in essere un atto rilevante sul piano sostanziale che - secondo il diritto vivente - conserverebbe validità quand'anche la norma su cui si fonda avesse perduto efficacia.

É intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione venga dichiarata infondata, in quando la diversificazione del trattamento economico non deriva dalla normativa denunziata, bensì dai trattamenti differenziati in atto nei settori pubblici sulla base delle vigenti relative disposizioni, riconosciute legittime dallo stesso remittente.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza, dedotta dalla difesa, dev'essere respinta.

La delibera n. 18/1973 dell'AMAN si limita, infatti, a stabilire i criteri da seguire per la concreta applicazione delle leggi in esame ai dipendenti interessati all'esodo. Essa, pertanto, pur implicando una generale disponibilità, non significa tuttavia l'assunzione di un impegno irreversibile, tale da costringere l'Amministrazione a continuare l'applicazione di quelle norme anche dopo l'eventuale declaratoria della loro illegittimità costituzionale.

Più consistente, invece, anche perché sorretto dal diritto vivente, é l'altro profilo dedotto. In effetti, se fosse vero che nella prima udienza davanti al Pretore l'AMAN, senza contestare il fondamento della pretesa attorea, si fosse limitata a contestare l'ammontare richiesto, presentando un suo diverso conteggio cui l'attore si sarebbe prontamente adeguato, si dovrebbe riconoscere la formazione di un accordo negoziale in corso di causa a fronte del quale la decisione sulla legittimità delle leggi impugnate non svolgerebbe effettivamente veruna influenza. Ma la vicenda processuale ha avuto, invece, uno svolgimento diverso. Nella comparsa di costituzione l'AMAN affermava testualmente di "impugnare parola per parola il contenuto del ricorso", e concludeva, in via principale, per l'infondatezza della domanda di cui chiedeva, perciò la rejezione.

Soltanto al punto 2) delle conclusioni osservava che i conteggi erano comunque inesatti, proponendo i propri. In tali condizioni é da escludere che possa essersi verificato il preteso accordo negoziale.

2. - Tuttavia, anche la questione di merito sollevata d'ufficio dal Giudice remittente non é fondata.

Il Pretore lamenta, infatti, che il principio di uguaglianza, e quello concernente il buon andamento della Pubblica Amministrazione, sarebbero violati dal combinato disposto delle norme impugnate: e ciò nella parte in cui il legislatore, consentendo che i tre aumenti periodici straordinari attribuiti agli ex combattenti ed assimilati, siano calcolati eventualmente anche in aggiunta a quelli massimi già conseguiti dall'impiegato, dispone tuttavia che, in tal caso, i detti aumenti straordinari siano calcolati, non più secondo le percentuali previste dai singoli ordinamenti delle varie Amministrazioni, bensì secondo quelle statuite per gli impiegati civili dello Stato.

Nella specie, il Renzulli, anziché l'aumento complessivo del 30% (e cioé il 10% 3), avrebbe percepito soltanto il 7,50%, pari a tre scatti periodici del 2,50% previsti per i dipendenti civili dello Stato.

Orbene, se davvero - come sostiene il Pretore - un'ingiustificata disparità di trattamento si verificasse all'interno della generale categoria dei dipendenti pubblici a causa della sensibile diversità delle percentuali di aumento previste per le varie amministrazioni (nessuna delle quali inferiore a quella del 2,50% stabilita per gli statali civili), dovrebbe riconoscersi allora proprio alle norme impugnate una funzione perequatrice della lamentata disuguaglianza.

Ed invero - come esattamente ha rilevato l'Avvocatura - non dalle norme impugnate deriva la disparità denunciata dal Pretore, ma semmai dalle singole disposizioni che determinano trattamenti differenziati nei vari settori impiegatizi pubblici. Senonché é lo stesso Pretore a riconoscere la legittimità di queste ultime disposizioni che, concernendo situazioni ed ordinamento obbiettivamente differenziati, sono ispirate ad una logica coerente e razionale. Ma, se così é, e se - come pure il Giudice remittente riconosce - parimenti giustificata e razionale é la logica che presiede ai provvedimenti di favore per gli ex combattenti (cfr. sent. 28 luglio 1976, n. 194 di questa Corte), non si vede perché mai il necessario riferimento dei provvedimenti combattentistici a quelle disposizioni determinerebbe situazione di disuguaglianza.

É contraddittorio, infatti, riconoscere legittimo per i dipendenti dell'AMAN l'aumento periodico ordinario del 10%, e pretendere ch'esso diventi illegittimo quando la legge ad esso si richiami per gli aumenti periodici straordinari concessi agli ex combattenti. Il provvedimento di favore, infatti, che s'inserisce in una differenziata situazione retributiva, non può che rispecchiarla così com'é: e il criterio di eguaglianza é rispettato nell'attribuzione a tutti dello stesso numero di aumenti straordinari.

Solo per quelli che superino il tetto massimo degli aumenti consentiti da ciascun ordinamento, il legislatore ha fatto uso del suo potere discrezionale, perequandoli tutti al livello minimo previsto dalla disciplina concernente gl'impiegati civili dello Stato. Ma nemmeno in questa disposizione vi é alcun contrasto con gl'invocati parametri costituzionali, dato che si tratta di ulteriori aumenti che, superando il tetto massimo, eccedono qualunque aspettativa degli interessati in relazione alla logica dei singoli ordinamenti.

Peraltro, proprio questa é la parte della disposizione non impugnata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza in epigrafe dal Pretore del lavoro di Napoli nei confronti dell'art. 2, comma primo, l. 24 maggio 1970, n. 336 e dell'art. 3, ultimo comma, l. 9 ottobre 1971, n. 824, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1985.

Leopoldo ELIA - Ettore GALLO

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1985