Sentenza n.46 del 1985

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SENTENZA N. 46

ANNO 1985

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 7, lett. h. legge 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica) e 58, lett. i, d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 3 dicembre 1981 dal TAR per il Veneto sul ricorso proposto da Perillo Ezio contro Università degli Studi di Padova, iscritta al n. 296 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 262 dell'anno 1982;

2) ordinanza emessa il 16 giugno 1982 dal TAR per il Piemonte sui ricorsi riuniti proposti da Madama Giuseppe ed altro contro Università degli Studi di Torino ed altri, iscritta al n. 316 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 dell'anno 1983.

Visti gli atti di costituzione di Cattaneo Umberto ed altro e di Madama Giuseppe ed altri nonché gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984 il Giudice relatore Bucciarelli Ducci:

udito l'Avvocato dello Stato Umberto Tarin per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 3 dicembre 1981 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 51, 76 e 97 della Costituzione, dell'art. 58, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui - nell'ammettere ai giudizi di idoneità per l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati coloro che abbiano svolto la loro attività per almeno due anni, anche non consecutivi, nel periodo compreso tra il 31 dicembre 1973 e il 31 ottobre 1979, in una o più delle qualifiche elencate nel primo comma dello stesso articolo (cosiddetti contrattisti, borsisti, assistenti incaricati e supplenti, lettori, ecc.) - precisa che tale biennio può essere realizzato "anche con periodi di effettivo servizio di almeno sei mesi in ciascuno dei due anni accademici".

Dubita il giudice a quo che con tale precisazione, il legislatore delegato, escludendo chi abbia svolto l'identica attività in due anni solari, con due periodi ciascuno di sei mesi di servizio, abbia violato:

a) l'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega, limitando i due periodi semestrali validi per l'idoneità a quelli svolti nel corso di due anni accademici, mentre l'art. 7, lett. d, della legge delega 21 febbraio 1980, n. 28, comprendeva anche i periodi realizzati in due distinti anni solari;

b) l'art. 3 della Costituzione, discriminando arbitrariamente tra candidati che, rispetto al criterio fondamentale della durata del servizio stabilito dalla legge delega, si trovano nell'identica situazione, non essendovi alcuna ragionevole differenza, ai fini della valutazione, tra chi abbia prestato servizio in due periodi di almeno sei mesi distribuiti in due anni solari e chi lo abbia invece prestato in due periodi di ugual durata distribuiti in due distinti anni accademici;

c) l'art. 51 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza con particolare riguardo all'accesso dei cittadini ai pubblici uffici;

d) l'art. 97 della Costituzione, che afferma i principi del buon andamento e dell'imparzialità dell'Amministrazione, consentendo "l'accertamento della razionalità e della non arbitrarietà della disciplina legislativa in relazione ai fini che la norma costituzionale prescrive".

Il TAR richiama in proposito le sentenze di questa Corte n 8 del 4 febbraio 1967 e n. 123 del 9 dicembre 1968.

2. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, assumendo l'infondatezza della questione sollevata.

Innanzitutto sarebbe legittima - secondo la difesa dello Stato - l'equiparazione da parte del legislatore delegato del periodo di un semestre, considerato quale frazione minima sufficiente per ciascun anno, al periodo fissato dalla legge n. 28/80, facendo così venir meno ogni dubbio di costituzionalità in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

Ma neppure sarebbe irragionevole, o fonte di disuguaglianza o di cattivo andamento dell'attività amministrativa, o di parzialità della Pubblica Amministrazione, la scelta di far coincidere i predetti semestri nell'ambito di ciascun anno accademico anziché di ciascun anno solare. Ai fini, infatti, di un' utile valutazione dell'attività, sia scientifica che didattica, dei candidati non appare indifferente riferirsi ad un periodo, come l'anno accademico, durante il quale si svolge normalmente l'insegnamento, anziché ad un altro periodo qualunque, nel quale tale attività é ridotta o addirittura sospesa.

3. - Il TAR per il Piemonte con ordinanza del 16 giugno 1982 ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 3, primo comma, della Costituzione, degli artt. 7, lett. h della legge 21 febbraio 1980, n. 28 e 58, primo comma, lett. i del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui richiede ai medici interni universitari, per l'ammissione al giudizio d’idoneità per l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati, che la loro assunzione per delibera nominativa promani dal Consiglio d'Amministrazione dell'Università, con esclusione, quindi, dei candidati che siano stati assunti nominativamente dal Consiglio di Facoltà.

Ritiene il TAR che tale disposizione violi il principio di uguaglianza, determinando una discriminazione tra medici che si trovano nelle identiche condizioni e svolgono identiche mansioni, avendo quindi acquisito lo stesso livello di professionalità, a seconda che la loro assunzione nominativa sia avvenuta con delibera del Consiglio di Facoltà o del Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo.

4. - Si sono costituite in giudizio con atto 11 marzo 1983 le parti private e precisamente quaranta medici interni della Facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Torino, tutti indicati in rubrica, rappresentati e difesi dagli avv.ti Vincenzo Enrichens, Ennio Lenti e Francesco Paolo Videtta.

Nel ribadire le argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione le parti private rilevano l'assoluta identità di presupposti per l'assunzione da parte tanto del Consiglio di Facoltà quanto del Consiglio di Amministrazione, stante - peraltro - l'assenza di criteri obiettivi, normativamente determinati in entrambi i casi, cosicché il privilegio accordato ai sanitari assunti con delibera del Consiglio di Amministrazione é privo di qualsiasi giustificazione.

5. - É intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione sollevata dal TAR di Torino.

Assume l'Avvocatura che la scelta del legislatore risponde ad un'obiettiva diversità di situazioni, in quanto i medici interni assunti dal Consiglio di Facoltà, addirittura in sede di ratifica di provvedimenti dei titolari di cattedra, hanno acquisito uno status, che non comportava alcun onere finanziario per l'Università - secondo la stessa Avvocatura - e dava solo titolo a partecipare ai concorsi per i contratti quadriennali previsti dall'art. 5 del D.L. 5 ottobre 1973, n. 580 convertito con modificazioni con L. 30 novembre 1973, n. 766.

Diverso sarebbe lo status dei medici interni nominati dal Consiglio di Amministrazione dell'Università, che é l'unico organo legittimato - ai sensi dell'art. 15 del Regolamento generale universitario approvato con R.D. 6 aprile 1924, n. 674 - a deliberare su tutti i provvedimenti che comportino un onere per il bilancio. Tali nomine, infatti, rispondevano a precise esigenze delle cliniche e degli istituti di cura universitari.

Le due situazioni, quindi, sarebbero diverse sia soggettivamente, per il diverso tipo di nomina (per delibera del Consiglio di Amministrazione) sia oggettivamente, per le esigenze che tali nomine avevano determinato

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sollevata dal TAR per il Veneto con l'ordinanza n. 296/1982 é se contrasti o meno con gli artt. 3, 51, 76 e 97 della Costituzione l'art. 58, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui - nell'ammettere ai giudizi di idoneità per l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati coloro che abbiano svolto l'attività di contrattisti, borsisti, assistenti, lettori, ecc. per almeno due anni, anche non consecutivi, nel periodo tra il 31 dicembre 1973 e il 31 ottobre 1979 - precisa che tale biennio può essere realizzato anche con periodi di effettivo servizio di almeno sei mesi in ciascuno dei due anni accademici.

Con questa norma il legislatore delegato avrebbe escluso dal giudizio di idoneità chi abbia svolto tale attività in due periodi semestrali ricadenti in due distinti anni solari, anziché in due anni accademici. Da ciò risulterebbe sia un eccesso della delega conferita al Governo dall'art. 7, lett. d. della legge 21 febbraio 1980, n. 28 dove non si fa mai riferimento all'anno accademico; sia una violazione del principio di uguaglianza con particolare riguardo all'accesso dei cittadini ai pubblici uffici; sia infine una lesione del principio del buon andamento e della imparzialità dell'amministrazione.

2. - La questione, nei suoi diversi profili, non é fondata.

La legge 21 febbraio 1980, n. 28 (delega al Governo per il riordino della docenza universitaria) prevede all'art. 7, comma ottavo, che nella prima applicazione della nuova disciplina siano inquadrati, a domanda, nella fascia dei ricercatori confermati, previo giudizio di idoneità, gli appartenenti alle categorie ivi indicate (tra cui quella degli assistenti incaricati) che "abbiano svolto la loro attività per almeno due anni anche non consecutivi entro il periodo compreso tra il 31 dicembre 1973 e il 31 ottobre 1979".

La norma impugnata (art. 58, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382), nel ribadire i requisiti prescritti dalla legge delega, stabilisce che i due anni pur non consecutivi "si intendono realizzati anche con periodi di effettivo servizio di almeno sei mesi in ciascuno dei due anni accademici".

L'ordinanza di rimessione non pone in dubbio la legittimità costituzionale (sotto il profilo del rispetto dei limiti della delega) della norma mediante la quale il legislatore delegato ha indicato il semestre quale frazione minima sufficiente per ciascun anno ad integrare il periodo fissato dalla legge di delega (indicazione che chiaramente favorisce i destinatari della norma, riducendo a sei mesi la attività richiesta); si denuncia invece l'aver prescritto che questi sei mesi si svolgano nell'ambito dell'anno accademico, anziché dell'anno solare. E si assume inoltre che tale disposizione leda i parametri costituzionali che vengono invocati.

Senonché razionale e giustificata si rivela la prescrizione del legislatore delegato nel momento in cui, nel favorire l'applicazione della legge riducendo a sei mesi il periodo annuale richiesto, vuole nel contempo che esso si riferisca alla normale attività didattica dell'università e non invece al periodo feriale.

Nessun eccesso di delega, sotto il profilo denunciato dall'ordinanza di rimessione, ha quindi commesso il legislatore delegato nel formulare la norma impugnata che si ispira ad un criterio razionale e sostanzialmente più favorevole ai destinatari della norma stessa.

Né si ravvisa violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione per disparità di trattamento con categorie similari, dal momento che la norma impugnata (secondo comma dell'art. 58 cit.) si riferisce a tutte le categorie indicate al primo comma dello stesso articolo (compresi i borsisti e i lettori menzionati nell'ordinanza di rinvio), che coincidono con quelle previste dalla norma delega (art. 7 legge n. 28/1980).

Né infine, v'é lesione dell'art. 97 della Costituzione, non determinando la norma impugnata, per le ragioni su esposte, né parzialità dell'amministrazione, né pregiudizio del suo buon andamento, essendo essa al contrario diretta proprio a conferire maggior razionalità al funzionamento delle attività accademiche e alla selezione del personale ad esse destinato.

3. - Con l'ordinanza del TAR del Piemonte del 16 giugno 1982 si chiede alla Corte se contrastino o meno con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, gli artt. 7, lett. h. della legge 11 febbraio 1980, n. 28, e 58, primo comma, lett. i, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui richiedono ai medici interni universitari, per l'ammissione al giudizio di idoneità per l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati, che la loro assunzione sia avvenuta con delibera nominativa del Consiglio di Amministrazione dell'Università o a seguito di pubblico concorso.

Si dubita nell'ordinanza di rimessione che tali norme, escludendo dal giudizio di idoneità i medici interni assunti a seguito di delibera nominativa del Consiglio di Facoltà, determinino una ingiustificata disparità di trattamento tra candidati che si trovano nelle medesime condizioni, avendo svolto identiche mansioni ed acquisito lo stesso livello di professionalità.

4. - La questione, nei termini proposti, é fondata

Prima dell'emanazione della legge n. 28/1980 e del d.P.R. n. 382/1980 la posizione giuridica dei medici interni universitari con compiti assistenziali difettava di una disciplina specifica, attributiva di competenza a provvedere in ordine alla loro assunzione. Infatti l'art. 5 del D.L. 1 ottobre 1973, n. 580 convertito con modificazioni con legge 30 novembre 1973, n. 766, nel prevedere per la prima volta la figura atipica di "docente precario", per la stipulazione di contratti quadriennali con le Università, non definl'le funzioni e la figura professionale né disciplinò le modalità di reclutamento, che restarono così affidate all'autodeterminazione discrezionale delle singole università. In alcuni atenei, quindi, le assunzioni potevano avvenire per pubblico concorso, in altri a seguito di deliberazioni nominative del Consiglio di Amministrazione, in altri ancora con deliberazioni nominative del Consiglio di Facoltà, come nel caso dell'Università di Torino - cui si riferisce il procedimento de quo - dove appunto le assunzioni dei medici interni universitari con compiti assistenziali sono avvenute con delibera del Consiglio di Facoltà e nel rispetto delle prescrizioni contenute nel provvedimento rettorato del 7 luglio 1976, prot. 27985.

Al momento delle nomine oggetto di contestazione queste infatti provenivano da un organo che, in assenza di normativa contraria, era perfettamente legittimato ad adottarle, essendo tra l'altro il Consiglio di Facoltà l'unico organo collegiale idoneo a valutare sia le motivate esigenze delle cliniche e degli istituti di cura universitari (presupposto giustificativo del ricorso all'opera dei medici interni universitari con compiti assistenziali), sia le qualità professionali dei candidati alla luce dell'attività da essi già svolta nelle cliniche e negli istituti stessi. Nessun rilievo aveva all'epoca che l'assunzione nominativa fosse stata deliberata, o anche semplicemente ratificata - come é avvenuto in alcuni atenei - dal Consiglio di Amministrazione dell'Università, i cui compiti istituzionali riguardano l'impegno finanziario dell'ateneo e non le valutazioni di merito circa l'idoneità o meno dei candidati alla assunzione.

Nel caso dell'Università di Torino, inoltre, la nomina a medico interno universitario era stata sollecitamente comunicata dal Consiglio di Facoltà agli organi amministrativi dell'ateneo per quanto di loro competenza (cfr. citato provvedimento del Rettore del 7 luglio 1976), senza che venissero sollevati rilievi di sorta.

In tale situazione giuridica il legislatore del 1980 ha disciplinato in modo diverso posizioni sostanzialmente uguali, sia sul piano di fatto che di diritto, in base a distinzioni formali che non trovavano riscontro in alcuna normativa precedente.

Pertanto con le norme denunciate si sono create irrazionali e ingiustificate disparità di trattamento tra medici interni che avevano svolto le stesse mansioni (nel periodo considerato e per una durata minima determinata) ed erano stati assunti nelle cliniche e negli istituti universitari in base agli stessi presupposti obiettivi e soggettivi (esigenze delle cliniche ed adeguatezza delle qualità professionali) e con le medesime garanzie di imparzialità e obiettività di criteri.

Le norme impugnate con l'ordinanza del TAR piemontese vanno quindi dichiarate costituzionalmente illegittime nella parte in cui non prevedono l'ammissione al giudizio di idoneità per ricercatori confermati anche dei medici interni universitari assunti a seguito di delibera nominativa del Consiglio di Facoltà per esigenze motivate delle cliniche o degli istituti di cura

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, lett. h. della legge 21 febbraio 1980, n. 28 e 58, lett. i, d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (riordinamento della docenza universitaria), in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono l'inclusione - ai fini della ammissione al giudizio d’idoneità per l'inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati - anche dei medici interni universitari assunti con delibera nominativa del Consiglio di Facoltà per motivate esigenze delle cliniche o degli istituti di cura universitari.

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, secondo comma, d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 sollevata dal TAR del Veneto, in relazione agli artt. 3, 51, 76 e 97 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 1985.

Leopoldo ELIA - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Depositata in cancelleria il 22 febbraio 1985.