Sentenza n.41 del 1985

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SENTENZA N. 41

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

AVV. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

AVV. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma secondo, legge 3 aprile 1979, n. 95 (Provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) e 4, comma quarto, d.l. 9 dicembre 1981, n. 721 (Cessazione del mandato conferito all'ENI, ai sensi dell'articolo 2 della legge 28 novembre 1980, n. 784, e norme di attuazione del programma relativo alle società del gruppo SIR predisposto ai sensi dell'art. 4 della stessa legge) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 novembre 1980 dal Tribunale di Milano sui ricorsi riuniti proposti dalla S.a.s. Elektropol Cantoni e C. ed altre contro Sud Italia Resine ed altre, iscritta al n. 268 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 214 dell'anno 1981;

2) ordinanza emessa il 6 aprile 1982 dal Tribunale di Massa nel procedimento civile proposto da S.p.a. Rumianca contro Cervia Nandino ed altri, iscritta al n. 360 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 303 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 10 febbraio 1983 dal Tribunale di Milano nei procedimenti civili riuniti proposti da s.p.a. SIR ed altro contro Fallek Chemical Export Corporation ed altri, iscritta al n. 750 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 342 dell'anno 1983;

Visti gli atti di costituzione della Sud Italia Resine, della S.p.a. Ansaldo nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

uditi l'avv. Giorgio Tarzia e Lucio De Angelis per la società Sarda Industria Resine ed altre e l'Avvocato dello Stato Dante Corti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.1. - Avverso la sentenza 11 ottobre-4 dicembre 1980 con la quale il Pretore del lavoro di Carrara aveva riconosciuto il diritto a Cervia Nandino e altri otto impiegati dipendenti della s.p.a. Rumianca alla integrazione salariale per il periodo o per i periodi in cui erano stati posti in Cassa integrazione guadagni con sospensione totale della attività lavorativa propose avanti il Tribunale di Massa appello la Società con atto depositato il 28 novembre 1981, con il quale chiese in totale riforma della pronuncia impugnata dichiararsi essa società nulla dovere ai ricorrenti per il titolo dedotto in giudizio, revocarsi la provvisoria esecuzione della impugnata sentenza, condannare ciascuno dei ricorrenti alla restituzione delle somme percepite, in forza della pronuncia di primo grado, alla data di decisione della causa. I dipendenti, costituitisi con memoria depositata il 19 febbraio 1982, chiesero respingersi l'appello con la condanna della Società nelle spese.

1.2. - Con ordinanza emessa il 6 aprile 1982 (notificata il 13 dello stesso mese e comunicata il 7 maggio successivo; pubblicata nella G. U. n. 303 del 3 novembre 1982 e iscritta al n. 360 R.O. 1982), il Tribunale ha giudicato rilevante e, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma quarto d.l. 9 dicembre 1981, n. 721, conv. con modificazioni nella l. 5 febbraio 1982, n. 25, nella parte in cui prevede l'estinzione dei giudizi pendenti nei confronti di aziende del gruppo SIR senza somministrare altri adeguati mezzi di tutela giudiziaria, sul riflesso che la norma impugnata apparirebbe discriminatoria per coloro che abbiano in corso rapporti di carattere patrimoniale e giudiziale con le società facenti parte, come la s.p.a. Rumianca, del gruppo SIR rispetto ad altri che vantino crediti, giudizialmente azionati nei confronti di altre aziende.

2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo, con atto depositato il 23 novembre 1982, dichiararsi inammissibile per difetto di rilevanza la proposta questione e allegando a motivo che la norma impugnata ha formato oggetto di interpretazione autentica con l. 22 luglio 1982, n. 466, la quale ha chiarito che l'estinzione riguarda non indiscriminatamente tutti i giudizi ma solo quelli esecutivi considerati nella prima parte del comma quarto dell'art. 4.

3. - Con ordinanza emessa il 10 febbraio 1983 (comunicata il 9 e notificata il 13 del successivo maggio; pubblicata nella G. U. n. 342 del 14 dicembre 1983 e iscritta al n. 750 R.O. 1983), il Tribunale di Milano - premesso che con sent. 3-9 dicembre 1981, su ricorso della s.p.a. Idromeccanica, Fallek Chemical Export di NeW York e Fallek Chemical di Ginevra, aveva dichiarato, ai sensi dell'art. 1 l. 3 aprile 1979, n. 95, lo stato d'insolvenza della s.p.a. SIR - Società Italiana Resine, che, in una con Nino Rovelli, aveva interposto opposizione anche nei confronti del Ministero Industria e Commercio e Artigianato per non essere stato nominato il commissario straordinario, assumendo nel merito l'infondatezza della sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza e chiedendo in principalità la dichiarazione di "cessazione di ogni effetto, alla data dell'11 dicembre 1981, della sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza o in alternativa l'estinzione a quella data del giudizio per la declaratoria dello stato d'insolvenza" ai sensi dell'art. 4 comma quarto d.l. 9 dicembre 1981, n. 721 conv. in l. 5 febbraio 1982, n. 25 ("Sono sospese, fino al 31 dicembre 1983, le azioni esecutive anche concorsuali sul patrimonio del Gruppo SIR ... I provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto"), autenticamente interpretato con l. 22 luglio 1982, n. 468 - ha giudicato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma quarto d.l. 9 dicembre 1981, n. 721, conv. in l. 5 febbraio 1982, n. 25, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. non senza, al fine di verificare la rilevanza della eccepita questione, negare fondamento alle argomentazioni svolte nel merito dagli opponenti al fine di dimostrare che, stante il divieto di cui all'art. 5, l. 784/1980, non poteva essere dichiarato lo stato d'insolvenza della SIR. In punto alla non manifesta infondatezza, ha osservato I) che altre imprese (Liquichimica, Liquigas ecc.), pur facenti parte dello stesso contesto economico in cui il gruppo SIR aveva operato, erano state sottoposte a diversa disciplina e, pertanto, veniva meno l'argomento basato sulla esigenza di regolamentare in modo organico l'intero settore economico della chimica, II) che la norma impugnata, con lo stabilire la inefficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato, determinerebbe per i soli creditori di imprese del gruppo SIR una ingiustificata limitazione dei propri diritti rispetto ai creditori di altri gruppi industriali assoggettabili alla vigente normativa, III) che, sebbene non sia possibile in concreto stabilire se ai creditori della SIR sia, per effetto dell'art. 4 d.l. 721/1981, riservato un trattamento economico più o meno favorevole rispetto a quello assicurato ai creditori di altri gruppi dalla diversa normativa vigente, la impossibilità di adire l'autorità giudiziaria per la dichiarazione dello stato d'insolvenza, la sanzione di inefficacia dei provvedimenti giudiziali non passati in giudicato e la sospensione delle procedure esecutive anche concorsuali determinerebbero l'impossibilità del verificarsi di tutti gli effetti conseguenti alla dichiarazione di insolvenza, con lesione dei diritti dei creditori, senza corrispondentemente stabilire per questi alcun sistema normativo equivalente di tutela giurisdizionale, IV) ha poi negato forza persuasiva all'argomento diretto ad evidenziare che la finalità di risanamento perseguita dal legislatore con il d.l. 721/1981 mirerebbe a soddisfare interessi preminenti su quelli dei creditori ai quali finirebbe con giovare, con il rilievo che la procedura concorsuale prevista in via generale dal legislatore per tutte le grandi imprese in crisi provvede a regolare la predisposizione di piani di risanamento volti alla risoluzione della crisi delle imprese stesse, secondo le prescrizioni contenute nell'art. 2, comma secondo, l. 95/1979. Di conseguenza, il Tribunale ha reputato applicabile l'art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87, e ha ritenuto non ravvisabile il pur dedotto conflitto ex art. 134 Cost. tra poteri legislativo e giudiziario in riferimento all'art. 4, d.l. 9 dicembre 1981, n. 721 perché rientra nei poteri del legislatore dettare norme giuridiche incidenti anche su fatti anteriori in materia in cui l'efficacia retroattiva della legge non é proibita.

4. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 27 dicembre 1983, con il quale l'Avvocatura generale dello Stato ha concluso per la dichiarazione d'irrilevanza e, quanto meno, d'infondatezza della proposta questione. Ha basato la richiesta d'irrilevanza su ciò I) che l'art. 5, l. 784/1980 non avrebbe reso del tutto inoperante per le imprese del gruppo SIR l'art. 5, comma secondo, l. 95/1979 perché la prima disposizione avrebbe avuto riguardo agli interessi del consorzio bancario e la seconda avrebbe avuto di mira gli interessi dell'ENI e del Comitato pubblico di gestione, II) che, avendo lo stesso giudice a quo dichiarato di aver compiuto l'accertamento dello stato d'insolvenza in funzione della rilevanza della sollevata questione d'incostituzionalità, gli errori, da cui l'accertamento sarebbe viziato in punto alle rinunce dei creditori e alla mancata accettazione delle stesse da parte della SIR, si risolverebbero in vizi del giudizio di rilevanza. Ha poi affidato la conclusione d'infondatezza della questione a ciò I) che in presenza di interessi generali e sociali, ancorché correlati a vicende di imprese private, la normativa impugnata ha fatto carico allo Stato e ad eventi cui lo Stato partecipa di intervenire mediante impiego di denaro pubblico, II) che a fronte della sospensione dei procedimenti esecutivi in atto sarebbe stato dato ingresso ad una procedura di liquidazione sotto la vigilanza dell'Amministrazione e con caratteristiche concorsuali, III) che la procedura, cui il legislatore ha dato vita, sarebbe in tutto giustificabile sia per il riflettersi dello stato di crisi del gruppo SIR in sfere di interesse pubblico sia per l'impegno finanziario assunto dallo Stato in vista di una soluzione che andrebbe ben oltre la pura e semplice monetizzazione dei valori patrimoniali della società in crisi, IV) che, analogamente a quanto avvenuto nel campo delle liquidazioni coatte amministrative, non sarebbe troncato ogni rapporto dei creditori con il giudice, cui competono non solo l'accertamento delle pretese vantate per essere, anche alla luce dei chiarimenti offerti dalla interpretazione autentica data dalla l. 466/1982, la sospensione limitata alle sole azioni esecutive, ma anche il controllo sull'operato dei liquidatori e della stessa Amministrazione vigilante, V) che, infine, rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore l'assoggettamento a procedure di amministrazione straordinaria di alcune imprese e non di altre.

5. - Provvedendo sui ricorsi riuniti, proposti dall’Elektropol Cantoni s.a.s. e altri per la dichiarazione di fallimento o dello stato d’insolvenza della Sud Italia Resine, della Sarda Industria Resine, della Società Euteco Impianti, della Società SIR-Consorzio Industriale, della SIRFIN, della Stirosir, della SIR - Società italiana Resine e della Società Titansir, con ordinanza emessa il 21 novembre 1980 (comunicata il 30 dicembre dello stesso anno e notificata il 12 gennaio 1981; pubblicata nella G. U. n. 214 del 5 agosto l981 e iscritta al n. 268 R.O. 1981) il Tribunale di Milano ha giudicato rilevante e, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma secondo, l. 3 aprile 1979, n. 95, di conversione, con modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) nella parte in cui non prevede che la dichiarazione dello stato di insolvenza possa essere pronunciata, oltre che su domanda della società consortile, anche di ufficio o ad iniziativa dei soggetti indicati nell'art. 6 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, come é invece consentito nei casi previsti dagli artt. 1 e 3 l. 95/1979. Premesso che le nozioni dello stato di insolvenza disciplinato dal r.d. 267/1942 e dell'altro disciplinato dalla l. 95/1979 non corrispondono a situazioni sostanzialmente difformi per non potersi tale difformità ravvisare nella cosidetta esposizione debitoria qualificata prevista per la individuazione delle imprese sottoposte ad a.s., ha accertato l'attuale stato di dissesto delle società di cui si chiedeva la dichiarazione di fallimento o di insolvenza, così come la costituzione di una società consortile e l'approvazione di un piano di risanamento produttivo, la cui disapplicazione ha escluso di poter disporre, per avere desunto dagli atti che il 25 settembre 1979 istituti ed aziende di credito, negli atti stessi menzionati, avevano costituito, a seguito dell'autorizzazione del Comitato interministeriale per il Credito ed il Risparmio, la società consortile denominata Consorzio Bancario SIR società per azioni (C.B.S.), ai fini e per gli effetti di cui alla l. 787/1978, per intervenire nella SIR Finanziaria "allo scopo di realizzare il risanamento produttivo economico e finanziario delle imprese industriali controllate, direttamente o indirettamente, dalla stessa SIR Finanziaria, in conformità al piano di risanamento approvato dal CIPI in data 26 giugno 1979", che la durata della società era stata fissata in cinque anni dalla sua costituzione, e cioé fino al 24 settembre 1984, che scopo sociale esclusivo erano la sottoscrizione e la vendita di azioni ed obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla SIR Finanziaria e dalle società da essa controllate in connessione al piano di risanamento approvato dal CIPI in data 26 giugno 1979. In tal guisa assodata la rilevanza, ha posto a base del sospetto di non manifesta infondatezza della questione I) che, mentre i creditori di una grande impresa soggetta ad amministrazione straordinaria in dissesto possono chiedere la dichiarazione dell'insolvenza della debitrice ai sensi dell'art. 5, l. 95/1979, la costituzione del consorzio per l'esecuzione di un piano di risanamento, che non dà inizio ad una procedura in senso tecnico, non appresta alcun rimedio che valga ad evitare che in caso di insolvenza si depauperi l'attivo o vengano alterate fra loro le posizioni dei creditori, II) che non sussiste effettiva diversità tra le due specie perché in esse sono identiche le situazioni soggettiva (creditori di imprese soggette ad a.s.) e oggettiva (insolvenza del debitore), III) che non é idonea a legittimare la discrepanza la considerazione che la finalità di risanamento perseguita dal consorzio, oltre che diretta a soddisfare un interesse più ampio di quello dei singoli creditori, potrebbe di riflesso giovare anche a costoro perché la procedura predisposta in via generale prevede un piano di risanamento (art. 2) e non esclude che a tale fine sia indirizzato l'intervento di una società consortile (art. 5, comma primo), né per contro, é affatto assicurato che, applicandosi l'art. 5, comma secondo, risulti concretamente prevedibile l'attuazione del risanamento, perché l'esclusione del diritto dei creditori di domandare la dichiarazione di insolvenza dipenda non dal fatto che sia in corso l'esecuzione del piano di risanamento sibbene dalla costituzione della società consortile, IV) che non giova a giustificare la disparità di trattamento la natura pubblicistica dell'autorità che vigila sull'attività della società consortile, di cui all'art. 1, l. 787/1978, perché i principi che dominano la procedura fallimentare non tolgono ai creditori la legittimazione a proporre istanze al giudice a tutela dei propri interessi e a domandare, nella forma prevista dall'art. 5, r.d. 267/1942, la dichiarazione di fallimento di altri soci illimitatamente responsabili a norma dell'art. 147, comma secondo, r.d. 267/1942 (C. Cost. 16 luglio 1970, n. 142).

6.1. - Avanti la Corte si sono costituiti a) nell'interesse della s.p.a. Sarda Industria Resine, della s.p.a. Sud Italia Resine, della s.p.a. SIR Consorzio Industriale, della s.p.a. SIR-Società Italiana Resine, della s.p.a. SIRFIN, della s.p.a. Titansir, della s.p.a. Euteco Impianti, della s.p.a. Stirosir, gli avv.ti Giorgio Tarzia, Gioacchino Valenzano e Lucio De Angelis giusta procura speciale 4 agosto 1981, n. 69126 rep. per notar Domenico Acquarone instando per la dichiarazione d'infondatezza della questione con atto di deduzioni depositato il 6 agosto 1981, nel quale aI) han posto in luce che il giudice a quo poco o nulla avrebbe scritto sul contrasto con la norma denunciata e l'art. 24 Cost. e il poco scritto non sarebbe accettabile perché gli artt. 2740 e 2741 c.c. sono di carattere generale e coprono aree, sulle quali non si giustappongono a perfetta tenuta le norme sulle varie procedure concorsuali, e nei casi in cui la responsabilità patrimoniale non é realizzata mediante procedure concorsuali il diritto di difesa non può dirsi leso (in proposito si é richiamata per l'analoga problematica sulle azioni esecutive singolari la motivazione della C. Cost. 135/1963), aII) hanno evidenziato che i creditori dell'impresa o del gruppo d'imprese, assoggettati a a.s., sarebbero beneficiati dal tentativo di risanamento, aIII ) hanno negato che sia consumata offesa al principio di eguaglianza sia perché diverse sono le posizioni di grande impresa in crisi cui sia adietta la società consortile di risanamento, e di grande impresa in crisi per la quale non sia stata costituita società consortile di risanamento, sia perché la preferenza accordata dal legislatore al risanamento operato da società consortile sarebbe ragionevole, aIV) hanno infine sottolineato la "tenuità" della "corrispettiva" compressione del potere di iniziativa dei creditori rispetto ai vantaggi che costoro potrebbero ricavare dal risanamento, il cui tentativo rischierebbe di naufragare se realizzato mediante società consortile bersaglio di azioni esecutive dei creditori, b) nell'interesse della s.p.a. Ansaldo (nuova denominazione della s.p.a. Ansaldo Generale Elettromeccanica) gli avv.ti Bruno Manzella e Sergio Maria Carbone giusta delega in margine alla memoria depositata il 22 gennaio 1981, nella quale hanno concluso per la dichiarazione di infondatezza della questione sulla base della interpretazione, prospettata nel giudizio di merito, della norma impugnata ovvero per la dichiarazione d'incostituzionalità della norma, cosi come interpretata dal giudice di merito.

Nella memoria depositata il 12 giugno 1984, la difesa della s.p.a. Sarda Industrie Resine e consorti ha ampiamente illustrato la conclusione d'infondatezza della questione anzitutto inquadrando la norma impugnata in un contesto d'interventi legislativi accomunati dalla ratio del salvataggio delle imprese in difficoltà dalla legge 675/1977 (sulla ristrutturazione e riconversione industriale) alla legge n. 391/1978 (che ha ampliato la durata della procedura di amministrazione controllata), alla legge 787/1978 (sul risanamento finanziario delle imprese), fino appunto alla legge, cui la norma impugnata appartiene, sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. I due ultimi interventi costituiscono - secondo le società - un vero e proprio salto di qualità: rispetto alla legge 787 perché essa reintroduce quella figura di "banca mista", partecipante al capitale delle imprese che l'assetto dato al sistema creditizio nel 1936 aveva voluto rigorosamente escludere, e rispetto alla legge 95 perché essa non solo, con l'art. 2, consente la continuazione dell'impresa, così mostrando di privilegiare la conservazione di questa rispetto alla salvaguardia di altri valori, ma con l'art. 5 ter prevede altresì i cosiddetti consorzi "coattivi" (deliberati a maggioranza) delle banche creditrici dell'impresa, introducendo una sorta di penalizzazione degli istituti di credito che non si adeguano alla volontà maggioritaria. Siffatto sistema di soccorso bancario alle imprese in difficoltà con capitale di rischio era tuttavia così fortemente innovatore, rispetto al principio della separazione fra attività creditizia e rischio di impresa, che il legislatore adottò alquante cautele e, anzitutto, fissò limiti temporali, sia nel senso della possibilità di costituzione dei consorzi solo per tre anni dalla data di entrata in vigore della legge sia nel senso della loro durata massima di cinque anni.

La norma impugnata - si precisa nella memoria - sub'due modifiche in sede di conversione in legge: la prima (consistente nella sostituzione delle parole "finché é in corso il piano di risanamento" con le parole "dalla data di costituzione e per la durata della società consortile") non autorizza a ritenere - come adombrato nell'ordinanza di rimessione - che la tutela dell'intervento consortile sia stata svincolata dal piano di risanamento, ma ha lo scopo di attribuire più sicuri dies a quo e dies ad quem alla situazione di inesperibilità della procedura di amministrazione straordinaria; la seconda (con cui si é riservato alla società consortile il potere di richiedere la dichiarazione di insolvenza) risponde da un lato all'ovvia esigenza di non impedire la procedura concorsuale quando lo stesso consorzio bancario ritenga non più perseguibile il fine di risanamento, mentre dall'altro scioglie un dubbio interpretativo, che avrebbe potuto profilarsi nel senso della assoggettabilità al fallimento delle imprese per le quali era esclusa, in pendenza del consorzio, la possibilità di amministrazione straordinaria. Se vi é una insufficienza nella norma, essa consisterebbe - sempre ad avviso delle società - nel fatto che in pendenza di intervento consortile si sarebbe dovuta escludere non solo la possibilità di amministrazione straordinaria, ma anche, per le imprese non aventi i parametri di indebitamento indicati dall'art. 1 della legge 95, la possibilità di fallimento. Tale rilievo, formulato in dottrina, dimostrerebbe che la tutela dell'intervento consortile, lungi dall'essere ingiustificata, come prospettato nell'ordinanza di rimessione, avrebbe dovuto essere più estesa.

Osservano ancora le società del gruppo SIR che, se pur é innegabile che la procedura concorsuale (fallimento o amministrazione straordinaria) fornirebbe ai creditori maggior tutela in termini strettamente esecutivi (spossessamento, revocatorie fallimentari, ecc.), tuttavia non é affatto dimostrato che la "dimensione concorsuale" costituisca un valore costituzionalmente garantito, vero essendo invece a) che le procedure concorsuali sono escluse (e non, come nel caso in esame, per un periodo di tempo circoscritto) per i non imprenditori e per vaste categorie di imprenditori, b) che la Corte Costituzionale ha escluso (sentenza n. 259/1975) che il minor livello di tutela creditoria, realizzabile con la liquidazione coatta amministrativa, a paragone di quello ottenibile con il fallimento, integri violazione dell'art. 24 Cost., c) che la stessa compressione dell'azione esecutiva individuale può essere giustificata (come ha sancito la predetta Corte con la sentenza n. 135/1963) quando risponda ad esigenze di preminente valore pubblico. Non pertinente, infine, sarebbe il richiamo, contenuto nell'ordinanza di rimessione, alla sentenza n. 142/1970 della Corte Costituzionale, postoché non era in discussione, in tal caso, la scelta legislativa di soggetti passibili o non passibili di procedura concorsuale, ma unicamente l'iniziativa del creditore per l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile.

Quanto alla ipotizzata violazione del principio di eguaglianza si osserva nella memoria che, anche attribuendo alla verifica di costituzionalità il più vasto terreno di indagine delineato, ad es., dalla sentenza n. 118/1964 della Corte Costituzionale, anziche il più ristretto campo consentito dalla meno recente giurisprudenza (sentenza n. 28/1957), nondimeno si impone una conclusione negativa, avuto presente che la straordinarietà del soccorso bancario con capitale di rischio, rende pienamente giustificata e ragionevole una "norma di protezione" come quella oggetto dell'incidente in esame, senza la quale le banche non si avventurerebbero nell'esperimento. Né violazione del principio stesso potrebbe ravvisarsi sul riflesso che, anche nell'ambito dell'amministrazione straordinaria, é previsto un piano di risanamento con possibilità di costituzione di società consortile, ben diversa essendo la situazione - prevista dalla norma denunziata - in cui la società consortile già esiste ed il piano di risanamento é già certo e precostituito, rispetto alla situazione - propria della procedura di amministrazione straordinaria - in cui il piano deve essere predisposto dal commissario "in quanto possibile" ed é esposto alla approvazione, che potrebbe anche mancare, da parte del CIPI; senza dire che i consorzi bancari, di cui si tratta, possono operare il risanamento (a vantaggio anche dei creditori) con assai più agevole disponibilità di mezzi finanziari, e quindi con ben maggiori possibilità di successo, rispetto a quanto può accadere nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria. Infine, a dimostrazione che una disciplina, la quale esclude le procedure concorsuali, non é di per sé in contrasto col principio di uguaglianza, viene richiamata la sentenza n. 94/1970 della Corte Costituzionale, che ha escluso la illegittimità del diverso trattamento dell'insolvenza civile rispetto a quella commerciale (e, nell'ambito di questa ultima, dell'insolvenza del piccolo imprenditore).

Rilevano ancora le società del gruppo SIR che successivamente all'ordinanza di rinvio sono sopravvenuti due nuovi provvedimenti legislativi riguardanti il gruppo medesimo: la legge 28 novembre 1980, n. 784 e il d.l. 9 dicembre 1981 n. 721, convertito con modificazioni nella legge 5 febbraio 1982 n. 25. Il primo provvedimento, mentre disponeva l'ingresso di un organismo pubblico nel consorzio bancario (con conseguente rinvigorimento, anche finanziario, di questo ultimo) e l'affidamento all'ENI di un mandato fiduciario per la gestione del gruppo fino al 31 ottobre 1981, prevedeva altresì , fino alla stessa data, la sospensione delle azioni esecutive anche individuali, e tale limite alla tutela giurisdizionale veniva poi prorogato, dal secondo provvedimento legislativo, fino al 31 dicembre 1983. Tali norme - precisano peraltro le società - non incidono sulla rilevanza della questione di legittimità su cui la Corte é chiamata a decidere, né spostano i termini della verifica di costituzionalità, in quanto esse si sono semplicemente sovrapposte per un periodo di tempo limitato ed ormai concluso alla disciplina dell'impugnato art. 5 della legge n. 95/1979, la cui efficacia normativa continua a persistere nella fattispecie in esame, non avendo ancora esaurito i suoi compiti il consorzio bancario costituito per il risanamento del gruppo SIR.

Infine osservano le società che la situazione denunciata come lesiva della garanzia giurisdizionale e del principio di eguaglianza, lungi dall'aver pregiudicato la tutela dei creditori del gruppo SIR o comunque offerto ai medesimi un trattamento deteriore, avrebbe invece consentito la sanatoria del passivo maturato dal gruppo negli anni del dissesto con la sistemazione di circa 14.000 posizioni creditorie: risultato che certamente non sarebbe stato ottenibile attraverso la via dell'amministrazione straordinaria e che di fatto non é mai stato raggiunto per imprese assoggettate a tale procedura.

6.2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 25 agosto 1981, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato a) ha richiamato la, in allora sopravvenuta alla ordinanza di rimessione, l. 28 novembre 1980 n. 784 che ha previsto una specifica disciplina per la gestione SIR Finanziaria da parte dell'ENI disponendo tra l'altro la sospensione sino al 31 dicembre 1981 delle azioni esecutive anche concorsuali sul patrimonio del gruppo SIR (art. 5 comma secondo) e, pertanto, ha chiesto la restituzione degli atti al Tribunale di Milano vuoi perché sarebbe superato ogni dubbio connesso all'applicazione della norma impugnata vuoi perché le prospettive di soddisfacimento dei creditori sarebbero superate a seguito dei nuovi considerevoli apporti finanziari e della disposta redazione di un progetto di pagamento dei crediti (artt. 3, 5 comma secondo e 6 l. 784/1980), b) pur condividendo la motivazione dell'ordinanza di rimessione nella parte in cui il Tribunale, per giustificare la preclusione, a carico dei creditori de quibus comminata, dell'iniziativa di sollecitare l'accertamento giudiziale dello stato d'insolvenza qualificata (e la dichiarazione di fallimento) e di precostituire il presupposto del decreto ministeriale di ammissione alla a.s., ha contestato la validità della ulteriore conseguenza del deterioramento della posizione dei creditori la cui soddisfazione non sarebbe accelerata dalla apertura della procedura, il cui credito autorizza la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, perché l'apertura non comporta nell'immediato l'approntamento di mezzi e risorse finanziarie nuove, c) ha sottolineato che l'art. 4 bis, aggiunto con l. 95/1979 al testo della l. 787/1978, consentirebbe di respingere in gran parte le preoccupazioni espresse dal Tribunale circa un'eventuale alterazione della par condicio creditorum, originata dal divieto, per i principali creditori non partecipanti alla società consortile, di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio della impresa da risanare, anche perché non sarebbe precluso l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria di eventuali atti di disposizione posti in essere dalla società consortile e, comunque l'approvazione da parte del CIPI del piano di risanamento e la vigilanza della Banca d'Italia sull'attività della società consortile per consentire l'attuazione del piano somministrano sufficienti garanzie, d) in ordine alla "salvezza" di domandare in ogni momento la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza dell'impresa per gli effetti di cui alla l. 95/1979, nella quale il giudice a quo ha ravvisato offesa all'art. 24 Cost., ha osservato che nella fattispecie controversa, cui non é applicabile l'art. 4 bis l. 787/1978, sarebbero assicurati congrui mezzi di difesa, né riuscirebbe la norma costituzionale violata dell'essere alla sola società consortile riservata la legittimazione all'istanza di dichiarazione giudiziale di insolvenza perché sarebbe razionale tale riserva per essere la società consortile responsabile dell'esecuzione del piano (società consortile in posizione - ha rilevato l'Avvocatura erariale - non equiparabile a quelle dei singoli creditori, ove si rifletta alla sottoscrizione, da parte della società, di azioni e obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla impresa in connessione al piano di risanamento).

7. - L'incidente, iscritto al n. 268/1981, che aveva formato oggetto di trattazione orale alla pubblica udienza del 10 luglio 1984, é stato riportato sul ruolo, a seguito del decesso del giudice Maccarone, e assegnato alla pubblica udienza del 12 dicembre 1984, alla quale sono stati assegnati gli incidenti iscritti ai nn. 360/1982 e 750/1983. Il giudice Andrioli ha svolto unica relazione; l'avv. Tarzia per la Sarda Industrie Resine e consorti ha ampiamente illustrato le formulate con elusioni d'infondatezza precisando, tra l'altro, che la società consortile é stata sciolta e posta in liquidazione nel settembre 1984; l'avv. dello Stato Corti ha diffusamente svolto le argomentazioni a sostegno della conclusione di infondatezza.

 

Considerato in diritto

 

8. - Postoché successivamente alla ordinanza emessa il 6 aprile 1982 dal Tribunale di Massa (n. 360 R.O. 1982) e anteriormente alla ordinanza emessa il 10 febbraio 1983 dal Tribunale di Milano (n. 750 R.O. 1983) é entrata, sotto la data del 24 luglio 1982, in vigore la l. 22 luglio 1982 n. 460, il cui art. 1 comma primo prescrive che "Ai fini dell'applicazione del quarto comma dell'art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1981 n. 721 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 5 febbraio 1982 n. 25, l'espressione "sono dichiarati estinti d'ufficio i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto" é da intendersi riferita soltanto ai giudizi relativi ad azioni esecutive anche concorsuali", riesce agevole alla Corte constatare che ambo le specie, che hanno offerto occasione alle ordinanze di rimessione, rientrano nello schema delineato nella legge interpretativa: la specie coinvolta nell'incidente 360/1982 perché il Pretore di Carrara prima e il Tribunale di Massa poi erano stati chiamati a conoscere di controversia individuale di lavoro instaurata contro la s.p.a. Rumianca da nove dipendenti della medesima mentre avanti il Tribunale di Milano, che aveva dichiarato lo stato d'insolvenza della s.p.a. SIR-Società Italiana Resine avevano proposto opposizione la SIR e Nino Rovelli; giudizi di cognizione l'una e l'altra sottratti dalla legge interpretativa all'area di applicazione dell'art. 4 comma quarto d.l. 721/1981 che i due giudici avevano sospettato d'incostituzionalità nell'intento di superare l'ostacolo alla decisione di merito frapposto dalla dichiarazione d'ufficio di estinzione dei giudizi pendenti, prevista dalla disposizione impugnata.

Ne segue che, mentre gli atti, in aderenza a quanto ebbe questa Corte a disporre con la ordinanza 29 marzo 1983 n. 28, vanno restituiti al Tribunale di Massa, é da dichiarare inammissibile la questione di costituzionalità, che il Tribunale di Milano sol perché incurante della legge interpretativa già entrata in vigore ha sospettato d'incostituzionalità nell'intento di procedere a quell'esame del merito, che il ripetuto art. 1 comma primo l. 466/1982 gli consentiva di compiere senza provocare il controllo di costituzionalità dell'art. 4 comma quarto d.l. 721/1981 che lo precludeva.

9. - Dell'art. 5 comma secondo, inserito nel d.l. 30 gennaio 1979, n. 26 in sede di conversione, del quale il Tribunale di Milano ha sospettato l'incostituzionalità per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., mette conto di riprodurre il testo:

"Le disposizioni del presente decreto non si applicano, dalla data della costituzione e per la durata della società consortile, alle imprese per il cui risanamento sia stata autorizzata la costituzione di società consortili ai sensi della legge 5 dicembre 1978 n. 787, né alle società che le controllano a norma del secondo comma dell'art. 2 della legge medesima. Tuttavia la società consortile può in ogni momento domandare la dichiarazione giudiziaria dello stato di insolvenza di tali imprese ai sensi e per gli effetti del presente decreto".

Il testo del secondo comma che si é riprodotto, é stato - si ripete - formulato in sede di conversione e diverge dal testo originario del d.l. 26/1979 in ciò che il d. legge e non la legge di conversione non consente l'applicazione delle disposizioni del d. legge finché é in corso il piano di risanamento, e che, mentre il d. legge preclude l'applicazione delle disposizioni di cui consta se per il risanamento delle grandi imprese de quibus agitur sia stata autorizzata la costituzione di società consortili di cui alla l. 787/1978, la legge di conversione (non si limita a precisare che le disposizioni del d.l. non si applicano alla data della costituzione e per la durata della società consortile autorizzata al risanamento dell’impresa in crisi, ma) soggiunge che "Tuttavia la società consortile può in ogni momento domandare la dichiarazione giudiziaria dello stato d'insolvenza di tali imprese ai sensi e per gli effetti del presente decreto".

L'art. 1 l. 5 dicembre 1978 n. 787 (Disposizioni per agevolare il risanamento finanziario delle imprese), poi, dispone I) che le società consortili - costituite dopo l'entrata in vigore della legge 3 gennaio 1979 ed entro tre anni dalla stessa (3 gennaio 1982) - hanno per oggetto esclusivo la sottoscrizione e la vendita di azioni e di obbligazioni convertibili in azioni emesse da imprese industriali per aumenti di capitale od emissioni di obbligazioni convertibili connessi a piani di risanamento produttivo, economico e finanziario delle imprese emittenti (comma primo), II) che "se la società consortile di cui al primo comma é stata costituita con durata inferiore a cinque anni può essere prorogata fino a cinque anni dalla costituzione" (comma terzo) e III) che "alla scadenza dei cinque anni dalla costituzione la società é sciolta di diritto e ogni maggiore durata e proroga sono nulle" (comma quarto).

Nella vicenda, su cui il Tribunale di Milano ha emesso il 21 novembre 1980 l’ordinanza iscritta al n. 268 R.O. 1981, la società consortile é stata costituita il 25 settembre 1979 e, pertanto, era sciolta di diritto il 25 settembre 1984.

Poiché a seguito del decesso del relatore Maccarone l'incidente, già discusso nella pubblica udienza del 10 luglio 1984, é stato di bel nuovo posto sul ruolo della pubblica udienza del 12 dicembre 1984, nel corso di questa la difesa della società Sarda Resine e consorti non ha, su richiesta del giudice relatore Andrioli, mancato di confermare che la società consortile é stata sciolta e posta in liquidazione nel settembre 1984.

Non reputa la Corte che il sopravvenuto scioglimento della società consortile faccia venir meno l'istituzionale interesse della Corte stessa ad esaminare il merito della proposta questione vuoi perché il venir meno della società consortile é un fatto che, per incidere, in primis et ante omnia, sullo svolgimento del giudizio a quo, sospeso in virtù della ordinanza di rimessione, non influisce, ai sensi dell'art. 22 delle norme integrative 16 marzo 1956 per i giudizi avanti la Corte Costituzionale, sul modo e sul divenire dell'incoato giudizio di costituzionalità, vuoi per il principio generale per il quale - ammenoché non si tratti di evento normativo sopravvenuto che ponga nel nulla o imprima diverso contenuto alla disposizione impugnata - la sussistenza della controversa volontà normativa deve essere riferita in riferimento al tempo in cui il procedimento avanti la Corte ha avuto inizio (initium che nei giudizi di legittimità costituzionale s'identifica con la ordinanza di rimessione).

10. - Ribadito che nell'ambiente dominato dal testo del comma secondo dell'art. 5, quale configurato nella legge di conversione del d.l. 26/1979, non trovano posto il realizzarsi o meno del piano di risanamento né l'incidenza delle conseguenze che l'eventuale insuccesso di questo determini sull'utile esercizio delle azioni cognitive dei creditori concorsuali dell'impresa in crisi né sulla occupazione dei lavoratori né infine sulle possibilità di adempimento dei debiti sorti in dipendenza delle operazioni di risanamento (supra 9.) e precisato che il sospetto di incostituzionalità sollevato dal Tribunale di Milano si appunta sul se sia conforme agli artt. 3 e 24 Cost. il subordinare l'attività giurisdizionale di accertamento dello stato di insolvenza - quali che ne siano poi i risultati - alla iniziativa della sola società consortile, il quesito in tal modo puntualizzato non può non ricevere risposta affermativa se si consideri I) da un lato che l'art. 24 tutela non solo il diritto di difesa ma anche - anzi in prima linea - l'esercizio in giudizio dei diritti e degli interessi legittimi in guisa da dar vita al sommo bene del processo giusto descritto negli artt. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e 14 del Patto internazionale di New York del 19 ottobre 1966, relativo ai diritti civili e politici, e II) dall'altro lato che l'oggetto esclusivo delle società consortili, quale descritto nell'art. 1 l. 787/1978, e la invalicabile durata quinquennale delle stesse, che le esigenze del piano di risanamento - peraltro non assunte ad autosufficiente causa impeditiva di applicazione delle disposizioni del d. legge - non valgono a prolungare, non consente di rinvenire nella società consortile una fonte di elementi di convinzione sulla solvenza o meno della grande impresa in crisi sì ricca da elevarla ad unica titolare dell'azione di accertamento dello stato di insolvenza, in contrasto con le direttive collaudate da secolare esperienza che degradano le iniziative del debitore, dei creditori e dello stesso P.M. a denunce pur in difetto delle quali il giudice deve d'ufficio accertare lo stato d'insolvenza dell'imprenditore.

Grave é l'attentato all'art. 94 Cost. perpetrato nell'ultimo periodo dell'impugnato art. 5 comma secondo l. 95/1974 al fine di perpetuare la prassi di superspeciali leggi e decreti legge di varii gradi che rappresenta la non commendevole caratteristica della normativa sulla amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Qui si tratta non già di istituire paragoni tra vicenda in cui viene riconosciuta ai creditori la legittimazione ad instare per la dichiarazione dello stato di insolvenza e la presente vicenda di talché l'art. 3 Cost. non si appalesa esaustivo parametro, sibbene di ristabilire le condizioni di instaurazione e di svolgimento del processo giusto che la legge di conversione, la quale ha riconosciuto la esigenza di accertare lo stato d'insolvenza pur in costanza di attuazione del piano di risanamento, ha tenuto in non cale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Massa che li aveva rimessi con la ordinanza 6 aprile 1982 (n. 360 R.0. 1982),

2) dichiara la inammissibilità della questione d'illegittimità costituzionale dell'art. 4 comma quarto d.l. 9 dicembre 1981 n. 721 (Cessazione del mandato conferito all'ENI, ai sensi dell'art. 2 della legge 28 novembre 1980, n. 784, e norme di attuazione del programma relativo alle società del gruppo SIR predisposto ai sensi dell'art. 4 della stessa legge), conv. con legge 5 febbraio 1982 n. 25, sollevata dal Tribunale di Milano con la ordinanza 10 febbraio 1983 (n. 750 R.O. 1983) in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,

3) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 comma secondo della l. 3 aprile 1979 n. 95 di conversione del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26 (Provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) nella parte in cui non prevede che la dichiarazione dello stato d'insolvenza possa essere pronunciata, oltre che su domanda della società consortile, anche d'ufficio o ad iniziativa dei soggetti indicati nell'art. 6 r.d. 16 marzo 1942 n. 267.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 1985.

Leopoldo ELIA - Virgilio ANDRIOLI

Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1985.